la Repubblica, 28 agosto 2016
Dalla Kidman alla Seydoux, passando per le settantenni Charlotte Rampling e Helen. Tutte le attrici del calendario Pirelli, ancora una volta senza italiane
Si annuncia come una parata di stelle il calendario Pirelli 2017, anche se il fotografo si ostina a definirle «donne normali». Che nomi, mai tanti premi Oscar tutti insieme: nessuna modella ma solo attrici, tutte famose e di età disparata, da Nicole Kidman a Penelope Cruz, da Uma Thurman a Kate Winslet, da Julianne Moore a Rooney Mara, alle splendide settantenni Charlotte Rampling a Helen Mirren. E ancora: Alicia Vikander, Zhang Ziyi, Robin Wright, Jessica Chastain, Lupita Nyong’o, Lea Seydoux, Anastasia Ignatova. Ancora una volta nessuna italiana.
A fotografare il calendario, che sarà presentato il 29 novembre a Parigi, è stato convocato un grande: Peter Lindbergh. Lo abbiamo intercettato a New York a fine maggio, in pieno shooting durato quattro settimane e distribuito in cinque locations diverse, tutte in chiave minimalista: New York, Los Angeles, Parigi, Londra, Berlino. Come set il caos di Times Square, e lui che scatta confuso tra la folla, quasi travolto. A 72 anni e al suo terzo Pirelli, Peter Lindbergh è molto lontano dalla prospettiva di andare in pensione. Sorridente, calmo, vestito di nero, ripete: «Noi fotografi dovremmo tutti sentire come nostra la responsabilità di liberare le donne dal terrore della giovinezza e della perfezione».
Nudo in questi scatti ce n’è pochissimo: «Lo evito, non serve, lo suggerisco appena. Qualche piccolo accenno, qualche indizio: qua e là si vede un reggiseno, ma il punto non è questo. È un altro tipo di nudo quello che io voglio rendere. Diciamo che il mio Pirelli è un calendario non nudo che spoglia l’anima delle attrici: quindi è più nudo del nudo». Lindbergh ha spogliato le sue attrici di ogni orpello divistico e di ogni sovrastruttura da star system, restituendoci – ripete – una galleria, per quanto è possibile, di «15 donne normali». Le ha scelte una ad una non perché belle e famose, sostiene, ma perché le conosceva già: «Con ognuna di loro avevo già lavorato e in qualche modo le considero mie amiche: volevo che loro si lasciassero andare emotivamente e annullassero le difese in modo che io potessi raggiungere e toccare la loro intimità, cosa possibile solo se la persona che hai davanti ti autorizza. E ti autorizza solo se sente che tu la proteggi. Se non ci riesci è un guaio perché allora loro si mettono in posa, recitano, perdono ogni naturalezza e la foto non vale niente».
Le ha inseguite sui marciapiedi straripanti di folla a Times Square, come ha fatto con Robin Wright, la perfida moglie di “House of cards”, oppure le ha rinchiuse nel silenzio religioso di uno studio fotografico spalancato su Tribeca, come è successo con Lupita Nyong’o, premio Oscar per “12 anni schiavo”, con Uma Thurman, in casto maglione a collo alto bianco, con Kate Winslet, scalza e pensosa, con Penelope Cruz, adolescenziale nelle culottes di pizzo. Ha tentato di cancellare la patina di botox dai lineamenti di Nicole Kidman, ritratta a downtown Los Angeles, ha raccontato Helen Mirren così com’è, moderna anche a 71 anni, senza infingimenti, come peraltro Charlotte Rampling, filiforme ed eterea. Ha immortalato Julianne Moore, minuta e magrissima, in sexy guepière nera. Sembra sincero quando afferma: «Questo calendario mi offre la possibilità di ridefinire l’idea di bellezza. La bellezza è empatia, è autenticità, è personalità, è sensibilità, è intelligenza, è negazione degli stereotipi patinati e non ha niente a che vedere con la perfezione, né tanto meno con l’età. Non esito a definire il photoshop criminale: se ti stiri le rughe cancelli la tua storia. Questa idea di perfezione imperante e obbligata che circola è un insulto per le donne».