la Repubblica, 28 agosto 2016
Un premier 40enne e un esecutivo pieno di donne e di giovani. La svolta tunisina per combattere la jihad
Quando Youssef Chahed ha presentato le otto donne del suo governo, posando per le foto di rito nei giardini del Palazzo di Cartagine, i tunisini hanno trovato la battuta fulminante: sono le Chahed’s Angels, gli angeli di Chahed, facendo il verso a una fortunata serie tv degli anni Settanta. Ma se l’investigatore capo di Charlie’s Angels era uno sconosciuto che parlava con un altoparlante, il nuovo premier di Tunisi ha deciso di partire esponendosi in prima persona.
È lui che prima di avere compiuto 41 anni – premier più giovane nella storia tunisina – si gioca tutto, debuttando con un discorso forte e anticipando che ci sono sacrifici all’orizzonte. È lui che ha strappato un consenso all’Assemblea dei rappresentanti del popolo, il Parlamento di Tunisi, soffermandosi a sottolineare che la crescita economica del paese si fermerà all’1,5 per cento, contro il 2,5 sperato. È lui che ha voluto un esecutivo pieno di donne e giovani (cinque sotto i 35 anni), come a dare il segnale di una ripartenza, pur confermando sei ministri uscenti nelle posizioni chiave.
Agronomo di formazione, Chahed è arrivato in politica nel 2011 fondando un piccolo partito, la Voce del centro, passando poi per un gruppo confluito in Nidaa Tounes, la coalizione voluta dal presidente Beji Caïd Essebsi. Ma anche se pochi mesi fa nessuno l’avrebbe indicato come possibile capo di governo, il giovane Chahed deve essere stato allevato a latte e politica, visto che sua nonna era Radhia Haddad, storica militante femminista e prima deputata donna della Tunisia, oltre che sorella di Hassib Ben Ammar, protagonista della lotta per l’indipendenza e nemico del dittatore Zine el-Abidine Ben Ali.
È difficile non vedere nella nomina di Chahed l’indicazione che il presidente Essebsi spera di farne, in futuro, un possibile delfino. Al Palazzo di Cartagine sicuramente non ha portato gioia la rivalità interna di Nidaa Tounes, fra il figlio del presidente, Hafedh, e il segretario generale, Mohsen Marzouk, poi uscito per fondare un altro partito. Ma più che le battaglie politiche sono le sfide economiche il vero ostacolo per Chahed. In Tunisia le speranze suscitate dalla rivolta contro Ben Ali sono ormai esaurite. Il paese è la prima fonte di foreign fighters nel mondo: a migliaia si sono uniti alle milizie del califfato in Siria e Iraq. E l’offensiva terroristica dello Stato islamico, con le stragi di turisti stranieri al museo del Bardo e sulla spiaggia di Susa, ha messo in ginocchio il turismo, risorsa fondamentale per il Paese mediterraneo. L’industria è ridotta ai minimi termini, persino l’estrazione di fosfati, che dava un modesto ma stabile contributo ai bilanci, ha subito pesanti contraccolpi nelle proteste sociali per il lavoro. E la disoccupazione è altissima, con un giovane su tre senza lavoro e molti tentati dalla Jihad.
Quando il nuovo premier ha anticipato che dovrà prendere decisioni impopolari per far crescere l’economia, con nuove tasse e taglio di posti di lavoro statali, sul web si è scatenata la rabbia, mirata soprattutto alle tendenze “filo-americane” di Chahed, che ha lavorato con gli Usa in alcuni progetti agricoli, e alla pur lontana parentela con Essebsi. Ma più che i dubbi dell’ultima ora sul suo curriculum, i nodi che Chahed deve scegliere sono sulla ricetta con cui affronterà le sfide.
La sua è una coalizione eterogenea, che comprende gli islamici di Ennahdha, i laici, la sinistra e i partiti vicini alle federazioni sindacali. Ma i sindacati, molto duri con il premier uscente Habib Essid, potrebbero non gradire l’idea di privatizzazioni e licenziamenti. La sinistra del Fronte popolare, che non fa parte della coalizione, già ha annunciato battaglia contro chi «consacra il ritorno al vecchio regime, segnato da clientelismo e dispotismo».
Se nella lotta al terrorismo non dovrebbe mancare il consenso, serie difficoltà Chahed si troverà davanti anche nell’affrontare altri nodi importanti: la corruzione, l’eccessiva centralizzazione, i rischi per l’ambiente. Ma su quest’ultimo punto la sua esperienza come sottosegretario alla Pesca potrebbe essere d’aiuto, assieme alle capacità comunicative. In Tunisia lo ricordano come quello che davanti alle tv ha liberato fra le onde una tartaruga marina. Far riprendere a nuotare un paese, però, potrebbe essere più complicato.