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 2016  agosto 28 Domenica calendario

Cosa resta di Leo Longanesi

Con il passare del tempo il giudizio su certi personaggi cui il destino assegnò di vivere venti dei loro anni durante il fascismo, si fa meno netto e severo. È il caso di Leo Longanesi, un intellettuale cui oggi nessuno darebbe del fascista, anche se, in effetti, lo fu. Un fascismo tutto suo, nutrito di anticonformismo e di un indomabile bisogno di libertà. Un paradosso, il suo, che porta a definirlo un italiano pentito, forse il più antitaliano degli intellettuali di casa nostra. In un articolo accolto in un’antologia di suoi scritti da poco pubblicata da Adelphi (Fine del carabiniere a cavallo Saggi letterari, 1955-1989), Leonardo Sciascia colloca Longanesi tra «coloro che furono fascisti non essendo soltanto fascisti». E non è un arrampicarsi sugli specchi, ma il tentativo di definire con onestà un giornalista, scrittore, editore, disegnatore cui molti venuti dopo (morì a soli cinquantadue anni nel 1957) devono qualcosa.
IL GIORNALISTA
È giusto ammetterlo: si fa fatica a liquidare come fascista un giornalista i cui giornali furono regolarmente soppressi dal regime fascista. Tra questi, il periodico, oggi unanimemente ritenuto il precursore di tutti i rotocalchi italiani, Omnibus. Una lezione di anticonformismo e di libertà, quella di Longanesi; una lezione imparata con sommo profitto da Indro Montanelli, il quale non perse mai occasione di definirsi un suo epigono. «Quel che c’è in me di paradossale viene da lui», amava ripetere. E Sciascia sembra fargli eco: «Basta oggi sfogliare le annate del Selvaggio, dell’Italiano, di Omnibus, per rendersi conto che la sua fu un’informazione sulle cose d’Italia che veramente contavano e sulle cose del mondo di cui il fascismo voleva che gli italiani non si occupassero».
Nel parlare di Longanesi, Sciascia chiama a testimone Alberto Savinio, il quale considerava il fondatore di Omnibus uno degli uomini più intelligenti tra quelli da lui conosciuti. «Detto da Savinio uno degli uomini più intelligenti che abbiano attraversato questo secolo questo giudizio – annota Sciascia – non può non invogliare chi non conosce Longanesi, o lo conosce poco o distrattamente, a cercare di conoscerlo o a metterne meglio a fuoco la personalità attraverso i suoi scritti, i suoi disegni, la sua attività editoriale». E più si legge Longanesi, più egli appare come l’intellettuale fascista che più seppe dare fastidio al fascismo e, naufragato il fascismo, ai cultori della retorica resistenziale, ai sedicenti puri, cui il recente passato avrebbe dovuto suggerire prudenza e silenzio. Pietrangelo Buttafuoco è il curatore di un’antologia di scritti di Leo Longanesi, di recente pubblicata dalla casa editrice che ne porta il nome. Da Ci salveranno le vecchie zie? (1953) Buttafuoco propone un brano dal quale estraiamo: «Chi pubblica Proust, in Italia, chi pubblica il più borghese degli scrittori, dalla sintassi più borghese, che si lecca la sua coda borghese, che indugia nei suoi piaceri lumacosi nel più borghese dei modi, nel più vizioso dei modi borghesi, è il borghese comunista Einaudi, figlio dei vecchi borghesi che si siedono al Quirinale à la recherche du temps perdu».
Certo, scrivere roba del genere nel 1953 significava farsi non pochi nemici. Ma Longanesi non difettava di coraggio, riferito alla sua idea di libertà e di borghesia, cui invano aveva tentato di dare voce. Sempre da Ci salveranno le vecchie zie?: «Il filosofo di casa (una casa alto borghese, ndr) in attesa della rivoluzione proletaria, consuma i suoi pasti alla tavola dell’industriale lombardo». Un conservatore anarchico: forse è questa la migliore definizione di Longanesi?
«Conservazione e reazione», mette insieme Sciascia. E spiega: «Conservazione di ideali, gusti e modi di vita ottocenteschi e risorgimentali; reazione al socialismo, all’internazionalismo, al riformismo, al cosmopolitismo mondano e di accatto, all’americanismo già invadente e in cui vedeva più pericoli, forse, che nel bolscevismo».
SCELTA NECESSARIA
In un’intervista del 1992, Montanelli così rispondeva al giornalista Claudio Altarocca, che gli ricordava l’appoggio dato da Longanesi alla Dc nel 1948: «Lei queste cose le può dire perché gli italiani si sono turati il naso e hanno votato Dc. Fu una scelta necessaria». E durante la stessa intervista: «Longanesi rischiò sempre, fu sempre controcorrente. Cosa ha avuto dal fascismo? Cosa ha avuto dall’antifascismo? Me lo dicano. Se ci fu un anticonformista, un provocatore, fu lui. Questo atteggiamento nasceva dal suo carattere, dai suoi umori e malumori, non da ideologie. Credi ma disubbidisci, era il suo undicesimo comandamento».
Alcuni suoi aforismi: «Veterani si nasce»; «Tutte le rivoluzioni cominciano per strada e finiscono a tavola»; «Quando suona il campanello della loro coscienza, fingono di non essere in casa»; «Sono un misantropo che cerca compagnia per sentirsi solo». Val la pena leggere questo campione di cinismo, più per spirito di contraddizione che per qualità d’animo.