Corriere della Sera, 29 agosto 2016
Sarri e il vittimismo dell’uomo in tuta
Non è l’abito che fa il manico. Sarebbe il caso che se lo ficcasse in testa una volta per tutte anche Sarri, sempre più immerso in questa compiaciuta parte del tecnico operaio, rigorosamente in tuta, per distinguersi dagli allenatori servi dei poteri forti, sempre impeccabili in giacca e cravatta. Buttato fuori per proteste durante la partita col Milan, giustamente o ingiustamente non è questo il problema, così la sua spiegazione: «È più facile espellere un allenatore in tuta che uno in doppiopetto» (apprezzabile comunque il passo avanti: mesi fa avrebbe specificato «che un frocio in doppiopetto»).
Naturalmente Sarri ha tutto il diritto di protestare contro un arbitraggio, però se mette su un altro disco fa un favore a tutti. Questo «tutismo» ideologico e settario, che lo porta a dividere il mondo in buoni scamiciati e cattivi eleganti, comincia a sapere di polvere. I tempi dei gruppettari in divisa, rivoluzionari con l’eskimo e fascistelli con le scarpe a punta, sono troppo usurati perché davvero ci si possa ancora appassionare su queste repliche sfiatate. Restando alle panchine, non sta scritto da nessuna parte che i puri vestano l’abbigliamento sportivo e i crumiri schiavi dei potenti si mettano il cravattino. Quanto agli arbitri, risulta agli atti che buttino fuori anche i figurini griffati. Esistono solo allenatori capaci e allenatori modesti, questa la realtà: non è certo il loro abbigliamento a farli migliori o peggiori. Suona superfluo specificarlo, ma evidentemente Sarri è ancora fermo a certi schemi.
L’idea che la tuta vesta l’idealismo e l’onestà, mentre il doppiopetto copra cinismo e potere, ha un sentore di retorica a buon mercato. E di vittimismo calcolato. Si metta sereno, Sarri. Vesta la tuta quanto gli garba. Ma non ne faccia una divisa di merito. Un complesso di superiorità. Quando persino la tuta viene sventolata come una bandiera, finisce per essere più stretta della camicia di forza. Altro che comodità e libertà di movimenti: diventa una schiavitù. Impossibile liberarsene. Chi non riesce mai a svestire certi panni si espone inevitabilmente a un dubbio: che il suo simbolo esibito, anziché rivelare sicurezza di sé, nasconda solo debolezza.