ItaliaOggi, 26 agosto 2016
La capitale dei droni è in Cina
Raramente si è trovato di meglio per fare rumore di un atterraggio forzato sul prato della Casa Bianca. Tutta pubblicità gratuita per Frank Wang, lo Steve Jobs cinese dei droni, già miliardario a 35 anni. La mattina del gennaio 2015, uno dei suoi robot volanti è sfuggito a un agente dell’Fbi alticcio ed è andato a posarsi nel giardino di Barack e Michelle Obama.
Wang ha fatto dei propri clienti i migliori comunicatori per la sua start-up, la Da-Jiang Innovation (Dji, che in cinese significa al di là delle frontiere), con sede a Shenzhen. Con successo. Oggi, la Dji, fondata nel 2006 con 20 persone, e che conta 3 mila dipendenti, è l’indiscussa numero uno del mondo per i droni civili, con il 70% del mercato globale. Un sogno ad occhi aperti per questo cinese dagli occhiali tondi alla John Lennon, originario di Hangzhou, come Jack Ma, il fondatore di Alibaba, il colosso cinese dell’e-commerce. Il campione di Shenzhen non ha basato lo sviluppo della sua impresa sulla copia di tecnologia, ma è un raro esempio di azienda innovativa cinese. Come Mark Zuckerberg, Wang ha fondato la sua start-up nella sua stanza all’università, a Hong Kong, dove ha fatto volare il suo primo drone. Nel 2012 la Dji ha prodotto il primo kit per il drone Flame Wheel e nel 2013 ha iniziato le vendite di Phantom il primo drone per il grande pubblico che ha fatto la sua fortuna.
Wang possiede il 45% della propria impresa fondata nel 2005 e valutata oggi 10 miliardi di dollari (8,8 mld di euro). L’ ambizione che guida il formidabile successo di Dji è quella di rendere i droni accessibili a tutti. Una democratizzazione tecnologica che ricorda quella di Steve Jobs quando lanciò il personal computer e poi l’iPhone. Dji è l’Apple del drone, sostiene Lin Jun fondatore di Leiphone, un sito di e-commerce specializzato nell’high tech. «Nessuno può battere Dji in materia di tecnologia a un prezzo così basso», ha aggiunto. E Wang è convinto che venderà droni per un miliardo di dollari nel 2016 (886 milioni di euro).
Wang aveva appena 16 anni quando ha cominciato a fabbricarsi la propria piattaforma. All’inizio l’ingegnere di Shenzhen pilotava il robot con un tablet e un Gps ultrasensibile, poi gli ha aggiunto un sensore che gli permetteva di evitare gli ostacoli e gli edifici. Oggi Phantom 3 è un drone intelligente con un raggio di azione di 2 chilometri che rientra automaticamente se si allentano i comandi. Cosa meno di 500 euro, primo prezzo. Nel 2012 una macchina fotografica montata sul Phantom ha cambiato le carte in tavola aprendo a prospettive rivoluzionarie e usi insospettabili come la sorveglianza, operazioni di salvataggio in caso di calamità naturale, di riprese a un costo infinitesimale rispetto a quello di un elicottero. Una gallina dalla uova d’oro. E nel quartier generale di Shenzhen gli ingegneri lavorano per migliorare la strumentazione e le batterie per allungare l’autonomia di volo. Non solo, gli sviluppatori di tutto il mondo sono invitati a condividere le applicazioni più incredibili per far diventare i droni insostituibili aprendo la porta a tutte le possibilità. Inoltre, nella consapevolezza che in caso di incidenti questi avrebbero un effetto boomerang sul business, Dji esercita un’intensa attività di lobby a Washington, Bruxelles e nelle capitali europee per internazionalizzare e omologare le regole per pilotare i droni, un mercato mondiale in crescita supersonica. Intanto, l’americana Accel Partners, che aveva investito in Facebook e Dropbox, ha messo 75 milioni di dollari (66,5 mln di euro) nella start-up di Shenzhen, che nel 2014 ha fatturato 430 milioni di dollari (381 milioni di euro). «Siamo una società di alta tecnologia e abbiamo cominciato con i droni ma non significa che ci fermeremo qui», ha dichiarato Wang a Le Figaro.