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 2016  agosto 26 Venerdì calendario

Gli errori della Fed e il summit di Jackson Hole. Ora ai banchieri centrali non resta che usare il «potere del pulpito»

"Anni di errori da parte della Fed hanno alimentato le delusioni sull’economia e la disaffezione dalla politica. Una banca centrale che in passato fu rispettata, non ha saputo prevedere la crisi e da allora è in affanno, alimentando l’ascesa del populismo e la sfiducia nelle istituzioni”. Come viatico per il summit dei banchieri centrali che si apre oggi a Jackson Hole, non c’è male. Quel durissimo titolo e sottotitolo aprono una lunga inchiesta-requisitoria del Wall Street Journal sulla Federal Reserve, la padrona di casa nel vertice che si tiene sulle Montagne Rocciose. Si fa fatica a ricordare tanta ostilità sprigionata dal più autorevole quotidiano economico Usa contro la sua banca centrale nel giorno d’inizio del tradizionale summit estivo. In parte l’attacco è politico. La Fed è sospettata di favorire Hillary Clinton, ritardando i rialzi dei tassi d’interesse Usa, per evitare qualsiasi intralcio alla crescita americana prima del voto di novembre. Un’economia in crescita da sette anni tiene alti i consensi verso Barack Obama (al 54%, un record per un presidente arrivato alla fine di due mandati) e automaticamente aiuta Hillary. Ma i malumori del Wall Street Journal non nascono solo dalle simpatie repubblicane del quotidiano. E non sono affatto isolati. In parte sono insofferenze comuni all’Europa, dove tante banche e compagnie assicurative (tedesche in testa) lamentano una politica del tasso zero (o negativo) che deprime i rendimenti sul risparmio e di conseguenza i profitti della finanza. In parte c’è un’ansia legata alla durata anomala di quell’esperimento eccezionale che è il quantitative easing: immense iniezioni di liquidità con cui le banche centrali comprano bond per rianimare la crescita. C’è chi teme, con qualche fondamento, che si stiano creando le condizioni di altre bolle speculative e quindi del prossimo crac sistemico: non è rassicurante scoprire che alcune banche di Wall Street come Morgan Stanley stanno fabbricando finanza creativa ad hoc, dei bond confezionati su misura per essere rifilati alle banche centrali, la Bce in particolare. E c’è chi teme che quando arriverà la prossima recessione, tutte le armi tradizionali saranno spuntate perché l’economia si sarà assuefatta alle “droghe pesanti” e non reagirà più a nessun tipo di stimolo.
Ma per arrivare a collegare la Fed all’ascesa dei populismi, come fa quell’implacabile denuncia del Wall Street Journal, ce ne corre. Che cosa può aver fatto di così terribile la banca centrale, per essere la demiurga di Frankenstein- Trump? Qui le accuse sono di due ordini. La prima, molto pertinente, riguarda la genesi della crisi del 2008 e le colpe di tutte le authority di vigilanza che non videro arrivare il disastro. Verissimo, ed è proprio nell’immenso costo di quella crisi che i populismi hanno trovato carburante. Non si può dimenticare che i due più importanti movimenti di protesta americani – il Tea Party a destra e Occupy Wall Street a sinistra – nacquero dalla stessa scintilla iniziale: la rabbia popolare contro gli aiuti alle banche.
Il passaggio successivo è più discutibile: si può sostenere che le banche centrali siano colpevoli, o corresponsabili, della stagnazione secolare che affligge tutte le economie avanzate? (America inclusa, se si tiene conto che la sua crescita attuale è comunque assai fiacca rispetto alle performance del passato). La stagnazione secolare ha cause strutturali: la grande depressione demografica dell’Occidente e ora della Cina, solo parzialmente compensata dall’immigrazione; l’esaurirsi della spinta propulsiva del progresso tecnologico (zero aumenti di produttività); infine le diseguaglianze patologiche per cui i frutti della globalizzazione e dell’automazione finiscono in modo smisurato ad arricchire piccole élite. Su una sola di queste cause può avere influito la politica monetaria: laddove la Federal Reserve ha indirettamente favorito le quotazioni di Wall Street, risalite ai massimi storici, beneficiando in modo sproporzionato i ceti privilegiati. Sugli altri fattori strutturali della stagnazione, è difficile che le politiche monetarie possano agire. La demografia e la produttività esulano dall’influenza dei banchieri centrali. Inoltre questi ultimi sono stati spesso lasciati soli, da governi che ormai non fanno più politica di bilancio. In Europa i governi sono esautorati dal “pilota automatico” dell’austerity. In America la spaccatura tra Casa Bianca e Congresso ha impedito da sei anni grandi manovre d’investimento pubblico o riforme fiscali profonde. I banchieri centrali riuniti da oggi a Jackson Hole dovrebbero usare almeno il “potere del pulpito”, la visibilità e l’attenzione di cui godono, per dire urbi et orbi che i governi non possono continuare a tenere le mani sollevate dal volante. È così che ci si va a schiantare.