la Repubblica, 25 agosto 2016
L’erba alta a Roma e i muri che crollano
A Roma molti ettari di verde sono bruciati, con grave rischio per le case intorno, perché l’erba era alta e secca. Nessuno l’aveva tagliata. Nessuno la taglia mai: e basterebbero poche ore di lavoro per ettaro. In Italia (soprattutto al Sud) i prati ingovernati, gialli e miserabili, lungo le strade, nelle zone poco urbanizzate, ovunque, sono una costante. Come se i film neorealisti di sessant’anni fa avessero lasciato i loro set intatti. Probabile una lunga polemica – senza esito – sulle responsabilità: di chi è la colpa? Chi la dovrebbe tagliare, quell’erba? Il Comune? Il governo? Il Papa? Il condominio? Se l’energia e il tempo devoluti alla ricerca dei “colpevoli” fossero impiegati, almeno in parte, a tagliare l’erba, la prossima estate ci sarebbero molti incendi in meno.
Sto parlando del terremoto. Ho scelto l’esempio degli incendi romani e dell’erba alta perché, moltiplicato per mille, è il modello retorico, mediatico e infine politico col quale ci confronteremo nei prossimi giorni e settimane. Tutti cominceranno ad accapigliarsi sulle “colpe”. Dopo L’Aquila ci fu perfino una ricca disputa sulla prevedibilità “scientifica” dei terremoti, ovviamente tenuta nascosta dal Potere Cattivo. Purtroppo la “colpa”, in questi casi, è di un paese povero per secoli e poveramente costruito, che si sbriciola a ogni sisma. Tutti gli sforzi dovrebbero dunque essere destinati alla faticosa, lunghissima, gigantesca opera di messa in sicurezza di milioni di muri vecchi; e alla verifica che i muri nuovi non siano stati costruiti, da qualche manigoldo, risparmiando sulla sicurezza. Tutto il resto lascia il tempo che trova: ovvero, lascia tutto come era prima.