Corriere della Sera, 25 agosto 2016
Quando Carlo Verdone tentò di uccidere suo fratello sul seggiolone
Gli annali di famiglia registrano il primo fatto increscioso in tenera età. «Mio fratello tentò di soffocarmi con la mollica di pane mentre ero seduto nel seggiolone». In verità, la versione è dubbia. «Forse voleva darmi da mangiare e basta. Ma è risaputo che soffrisse molto per la mia nascita, non sopportava di dividere l’affetto della mamma». Molti anni dopo, un’altra clamorosa aggressione: «Ci stavamo prendendo a cazzotti e con un pugno mi spedì contro lo spigolo del letto». Qui, sembra tutto chiaro. «Sbattei la testa e rimasi ferito gravemente. Avevamo litigato perché non voleva restituirmi dei soldi che gli avevo prestato. Avevamo una paghetta di 1.500 lire a settimana: ci compravamo gli scarpini per il calcio, andavamo allo stadio a vedere la Roma...».
Luca Verdone, 63 anni il cinque settembre, è sopravvissuto indenne a questi due evidenti attentati e, con animo sgombro dall’amarezza, ricorda seduto sul divano del suo studio a due passi da Campo de’ Fiori l’infanzia trascorsa con il fratello maggiore Carlo a Lungotevere dei Vallati 2, nella famosa casa sopra i portici che il nonno materno, direttore generale e segretario della Federazione Tabacchi, aveva ottenuto in affitto dal Vaticano. «Io e Carlo abbiamo tre anni di differenza. Condividevamo la camera con i letti a elle. Una intera parete era dedicata all’armadio a muro con i vestiti di tutta la famiglia, il che significava un continuo andirivieni di governanti e donne di servizio. La stanza era talmente grande che ci giocavamo a calcio, bastava mettere due birilli per terra per la porta: abbiamo sfasciato un bel po’ di cose...».
Anche il terrazzo era la sede eletta per giochi straordinari. «Organizzavamo tornei di tennis con le racchette da ping pong facendo i segni sul pavimento, in mezzo a oleandri, lecci, limoni, nespoli, rampicanti di ogni genere. Al piano di sopra abitavano i fratelli Baldi con i quali ingaggiavamo battaglie con lanci di pomodori e uova. Una volta si prese un bel pomodoro in faccia l’ingegner Baldi in persona, che era funzionario del ministero degli Esteri. Un altro hobby che ci dava parecchia soddisfazione, soprattutto intorno ai 15 anni, erano gli appostamenti con i binocoli verso l’albergo di fronte, dove le turiste prendevano il sole senza vestiti».
La casa era sempre ben frequentata: papà Mario, critico cinematografico e docente di Storia del cinema; mamma Rossana, intellettuale, insegnante di italiano e storia. «Era molto amica del professor Gerardo D’Agostino, primario al Regina Margherita, e noi stavamo a origliare le loro telefonate quando gli chiedeva consigli per le amiche. È nata lì la passione di Carlo per le malattie: lui non è ipocondriaco, non è un fifone; piuttosto lo definirei un clinico diagnostico, gli piace interpretare i sintomi e suggerire la cura».
In questo turbine di ricordi è quasi assente Silvia, la sorella più piccola. «Ma aveva cinque anni meno di me, otto meno di Carlo, non si può dire che giocassimo insieme. E poi quando è cresciuta, si è fidanzata subito, già a 14 anni, con Christian De Sica, compagno di scuola ripetente di Carlo. A diciotto si è sposata, praticamente non la vedevamo mai».
Degli anni dell’infanzia fanno parte le estati a Venezia. «Nostro padre era nella commissione che selezionava i film per la Mostra del Cinema. Noi ci trasferivamo al Lido, in una casa in affitto. Non posso dimenticare il modellino di una barca stupenda che Carlo riuscì a farsi comprare da un venditore sulla spiaggia, avrò avuto cinque anni, me la faceva anche toccare, la guardavamo estasiati mentre galleggiava. Ma quando passavano i divi di Hollywood, da Kirk Douglas a Gérard Philipe, ce ne dovevamo andare e non c’era proprio speranza di restare a guardarli. Credo che la passione per la cinepresa ci sia venuta allora».
Luca è un apprezzato autore di documentari, ne ha almeno 50 al suo attivo. Ma si è misurato anche nel cinema. Sue, per esempio, sono la sceneggiatura e la regia di 7 chili in 7 giorni, in cui ha diretto il fratello. Invidioso del suo successo? «La parola invidia non è esatta, non posso mettermi in competizione con lui. Diciamo che mi sarebbe piaciuto avere la sua disponibilità economica, per viaggiare di più. Ma Carlo è molto generoso, pure con me. Certo, vorrei non doverlo pregare ogni volta per venire alle prime dei miei film: lui preferirebbe che girassi solo documentari».