La Stampa, 25 agosto 2016
Perché i carri armati turchi sono entrati in Siria
La corsa a Jarabulus si è conclusa in una cavalcata trionfale di poche ore. I ribelli siriani appoggiati dai carri armati turchi hanno occupato il posto di frontiera fra Turchia e Siria quasi senza combattere. I jihadisti dell’Isis si erano già ritirati verso Sud, ad Al-Bab, e la resistenza si è limitata a qualche colpo di mortaio. Ma la battaglia di Jarabulus, modesta dal punto di vista militare, segna una svolta decisiva. Le truppe turche sono entrate per la prima volta in territorio siriano. Il temuto «intervento di terra» c’è stato senza però suscitare reazioni di fuoco da parte di Mosca, Damasco o Teheran. I caccia russi sono rimasti nelle loro basi, il ministro degli Esteri siriano si è limitato a protestare per «il mancato coordinamento nella lotta al terrorismo», il Cremlino ha espresso solo «preoccupazione» per l’escalation. Mentre il vicepresidente americano Joe Biden, in visita ad Ankara, ha manifestato il suo sostegno alla mossa turca, appoggiata anche con alcuni raid.
Scudo sull’Eufrate
Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan sembra aver vinto la sua scommessa. Ha messo piede nel Nord della Siria senza scatenare un conflitto regionale. Ha preso le redini della lotta agli islamisti. E soprattutto ha messo all’angolo i curdi, il nemico più temuto, più ancora forse dei «gulenisti» del mancato golpe. La minaccia che si profilava al di là del confine era altrettanto mortale. Con la conquista di Manbij e l’avanzata verso Jarabulus i guerriglieri dello Ypg, sostenuti da aviazione e forze speciali americane, erano a un passo dall’unificare i loro territori e creare il Rojava, il Kurdistan siriano. Ora si trovano i tank M60 turchi davanti ai kalashnikov e niente più cacciabombardieri Usa a proteggerli sopra le teste. Il primo ministro turco Binali Yildirim ha lanciato un ultimatum: «Tutte le formazioni terroristiche devono ritirarsi a Est dell’Eufrate. Altrimenti prenderemo le misure necessarie».
Fascia di 70 km
«Formazioni terroristiche» sono nel linguaggio di Ankara sia l’Isis che lo Ypg. E Biden ha dato il suo assenso: era nei «patti» fra Washington e curdi che questi si ritirassero da quella zona dopo aver sconfitto l’Isis a Manbij. E quindi niente protezione aerea finché non andranno «a Est dell’Eufrate». Segno che la Turchia, pilastro Sud della Nato, vale di più dei guerriglieri anti-Isis. I media turchi hanno invece anticipato anche la portata dell’operazione. Una fascia di territorio larga 70 chilometri fra la città di Marea, vicino ad Aleppo, e Jarabulus da mettere sotto il controllo dei «ribelli moderati». Che sono almeno 1500 e includono oltre alla Divisione 13 del Free Syrian Army anche reparti di Ahrar al-Sham, di ideologia salafita, e del temuto Battaglione turkmeno. Lo scopo è stato chiarito da Yildirim: «Non permetteremo la nascita di una entità curda al di là del confine e vogliamo preservare l’unità della Siria».
La solitudine curda
Frasi rivolte agli americani e a Damasco. Il ministro degli Esteri siriano ha denunciato la violazione della sovranità: «La lotta al terrorismo in qualsiasi luogo del territorio siriano – ha detto Walid al-Moallem- dovrebbe essere decisa con noi».Parole morbide rispetto alla promessa di quattro mesi fa di far «tornare in una bara» qualsiasi soldato straniero avesse osato mettere piede in Siria. Né l’aviazione russa né quella siriana, che nei giorni scorsi ha martellato i curdi ad Hasakah, si sono mosse. L’intesa Mosca-Ankara-Teheran-Damasco si consolida.
Chi ha usato parole di fuoco è il leader del Pyd (braccio politico dello Ypg) Salih Muslim: «Sconfiggeremo i turchi come abbiamo sconfitto l’Isis. Hanno molto da perdere nella palude siriana». Ma il timore è che il Kurdistan siriano si perda fra i giochi delle grandi potenze, così come era scomparsa la patria curda promessa nel 1920 e cancellata nel 1923. E le divisioni fra i curdi hanno il loro peso. Ad Ankara, con Biden, c’era il presidente del Kurdistan iracheno Massoud Barzani, nemico storico dello Ypg. Pronto a sacrificare i «fratelli» in Siria per mantenere i buoni rapporti con Ankara.