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 1916  marzo 19 Domenica calendario

Un tragico episodio della vita del mare ed il valore eroico dei marinai italiani. Il “Giuseppe Verdi„ della Transatlantica Italiana salva l’equipaggio del “Pollentia„

– Avevamo lasciato da sei giorni il porto di New York, dopo una serie di incidenti internazionali, ed eravamo diretti a Genova, carichi di merci e con oltre 530 passeggeri a bordo.

Così comincia il suo racconto il giovane capitano Zannoni a noi, che, pigiati nella sua cabina a bordo del Giuseppe Verdi lo stiamo ascoltando con intensa ed ammirata attenzione.

– Il nostro piroscafo – continua il capitano – per saggia disposizione del Ministero della Marina, con entusiasmo accolta tosto dall’Amministrazione della «Transatlantica Italiana», era stato il primo ad armare la sua poppa di due moderni cannoni da 75 mm. e ad adibirvi sette marinai del suo equipaggio per difenderci dagli eventuali attacchi dei sommergibili nemici, che infestano la rotta delle pacifiche navi mercantili; sommergibili, che, per fortuna, né in questo viaggio, né nel precedente, quando precedevamo di centosettantacinque chilometri il silurato Ancona, mai abbiamo incontrati – aggiunse il capitano Zannoni con marcata intenzione e con uno sguardo di sdegnoso disprezzo.

– Come è loro noto – ripiglia il capitano dopo un momento di silenzio – parea sulle prime che il Governo degli Stati Uniti volesse internare il nostro Giuseppe Verdi come nave da guerra di uno stato belligerante ed anzi l’ambasciatore dell’Austria-Ungheria, barone E. Zwiedimek, aveva protestato per i due cannoni montati a bordo del piroscafo italiano.

I giornali americani, con lunghi articoli avevano trattato la questione e con suggestive fotografie avevano interessato il pubblico, che manifestava tutta la sua simpatia pel Giuseppe Verdi diventato d’un tratto il più popolare dei piroscafi che frequentano i porti degli Stati Uniti.

«Finalmente, in base alle leggi internazionali e alla Convenzione dell’Aja, il signor Lansing, segretario di Stato, aveva stabilito, che una nave mercantile appartenente a nazione belligerante può portare legalmente armamento e munizioni a solo scopo di difesa, senza con ciò acquistare il carattere di nave da guerra: e noi avevamo quindi avute le nostre carte di libera navigazione ed eravamo partiti il 13 gennaio scorso tra gli evviva di una folla plaudente, che ci salutava dal pier di New York.

«Nessun incidente notevole – prosegue il capitano Zannoni – aveva disturbato il nostro viaggio regolare di ritorno salvo il mare continuamente agitato e le nebbie fitte, che ci obbligavano ad una raddoppiata attenzione, per sorvegliare la rotta del piroscafo.

Il 19 di sera, verso le ore 18 e 18’, mentre stavo nella mia cabina studiando, il telegrafista di guardia, signor Rollandini, mi raggiunge agitato e mi consegna questo radiotelegramma appena allora ricevuto dal piroscafo inglese Pollentia:

«Cap. Giuseppe Verdi

«Please come to us (Per favore accorrete)

«Cap. Gibbs».

«La posizione data è la seguente: Lat. Nord 46°47’ e Long. W. G. 35° 04’; e poiché il Giuseppe Verdi navigava a 44° 26’ Lat. N. e 33° 22’Long. W. G. constato che noi ci troviamo a 152 miglia di distanza.

Rispondo allora tosto col Marconi:

«Cap. Pollentia

«Je viens à votre secours. Repondez approuvant ou non, je me trouve a 152 milles loin de vous,

«Zannoni Cap. du Giuseppe Verdi».

«Pochi minuti dopo (ad ore 18 e 30) il capitano del Pollentia conferma la sua posizione, e chiama insistentemente soccorso, dichiarando, che per una larga falla apertasi sui fianchi del piroscafo, questo potrà forse galleggiare sino al mattino seguente. Allora dirigo il Giuseppe Verdi a tutto vapore verso la posizione indicataci, ma poco dopo devo rettificare nuovamente la rotta, perché alle ore 21 e 50 il Pollentia, non potendo governare ed essendo in balìa delle onde, corregge la sua nuova posizione, che è in Lat. N. 46° 47’e Long. W. G. 33° 04’.

«Verso le ore 4 del mattino seguente (20 gennaio), raggiungiamo il punto indicatoci, ma nulla scorgiamo. Il mare era agitatissimo, sconvolto da uno di quei fortunali classici, così comuni d’inverno nella Corrente del Golfo; l’orizzonte fosco, livido, pauroso: ad intervalli scrosciavano piovaschi furiosi: una scena dell’Inferno dantesco!

«Da bordo cent’occhi si figgevano intensamente per scorgere, nella fitta nebbia, il piroscafo pericolante; ma nemmeno i razzi, che Pollentia lanciava ad ogni minuto, dietro nostra richiesta, erano visibili. Attraverso il ruggito del fortunale si udiva solo l’inquieto picchiettio del Marconi che raccoglieva il grido disperato del capitano Gibbs del Poilentia: «Please come to us: Please come to us» e che raddoppiava le ansie della nostra ricerca.

«Quei paraggi sono di continuo attraversati giornalmente da numerosi vapori, perché si trovano sulla rotta più diretta tra l’Europa e il Nord America. E infatti ci accorgiamo che altri due piroscafi – il Siamese Prince inglese ed il Westerdyk,olandese – che avevano raccolto il radio-telegramma del capitano Gibbs, erano alla ricerca del Pollentia. Per’mezzo del Marconi ci accordiamo allora con essi e navighiamo di conserva, esplorando l’Oceano, per correre al salvataggio dei naufraghi.

«Solo verso la sera del 20, il Siamese Prince annuncia di avere avvistato il Pollentia in Lat. 46°40’e Long. W. G. 31°42’, ma afferma che non gli è possibile accostarsi per le onde incalzanti e sconvolte.

«Noi allora ci dirigiamo durante la notte verso la nuova situazione, ed alle tre del 21 gennaio scorgiamo infatti tra la foschia il Pollentia al quale ci accostiamo assieme al Westerdyk ed alla petroliera inglese Bulysses, che aveva anch’essa raccolto il radio-telegramma lanciato dal capitano Gibbs e che era accorsa in aiuto.

«Rallentiamo la velocità e tutti insieme circondiamo il Pollentia, dal quale alle otto del mattino siamo discosti appena pochi metri. Ma il mare è più tempestoso che mai, il vento fortunale di S. W. sferza rabbioso i fianchi dei piroscafi, che rollano spaventosamente, or alzandosi sulle cime biancheggianti delle onde, or inabissandosi di decine di metri. È impossibile tentare il salvataggio: ci dobbiamo scostare alquanto, per non cozzare fra noi, mentre il Pollentia ci insegue coi suoi radio-telegrammi disperati, confermandoci che potrà galleggiare per poche ore ancora, che l’acqua sale nelle stive, che nulla gli resta di viveri e solo acqua dolce per due giorni.

«È un’agonia!

«Improvvisamente il Siamese Prince radiotelegrafa che deve proseguire il viaggio, ed il Westerdyk, deve seguirlo, scarseggiando di carbone. Ma rimangono a fianco del Pollentia il Giuseppe Verdi e la petroliera Bulysses per solidarietà umana: anzi tentiamo di strappare tosto al pericolo inevitabile i poveri naufraghi

«– Tenetevi pronti – radiotelegrafiamo al Pollentia – verso il tramonto.

«– Thank yon wéry much. We will be all ready – risponde il capitano Gibbs.

«– Pompate in mare parte delle sostanze oleose che tenete nella stiva, girando attorno al Pollentia per calmare le onde – ordiniamo al Bulysses.

«La manovra è prontamente eseguita: ma il mare infuria di più: il salvataggio è impossibile e l’operazione viene sospesa.

«Rimaniamo però nei paraggi, bordeggiando durante l’intera notte; parla solo il Marconi nel buio sopra il ruggito del mare e il fragore della tempesta, infondendo coraggio ai naufraghi del Pollentia.

«Al mattino del 22 gennaio vediamo sbucare dalla nebbia il piroscafo Carpathia della «Cunard Line» e poiché il capitano Gibbs radiotelegrafa che vuol tentare il salvataggio dei suoi uomini, lanciando in mare una delle sue imbarcazioni, il Carpathia ed il Giuseppe Verdi si avvicinano quanto più possibile al Pollentia per raccoglierli.

«Ma il pessimo tempo continua, e per il fortissimo rullio l’imbarcazione, appena calata in mare, rompe i paranchi e si sfascia, trascinando seco un marinaio, il quale però, benché ferito, può ancora aggrapparsi ad una cima gettatagli dai suoi compagni e risalire a bordo. Il comandante Gibbs viene consigliato di attendere che il mare si calmi.

«Nel pomeriggio del 22 il fortunale volge a N. W., ma noi restiamo sempre vicini al Pollentia, mentre nella notte seguente il Carpathia si allontana, radiotelegrafando che deve proseguire il suo viaggio per difetto di carbone, per un’avaria in macchina e per le difficoltà del governo. Lo richiamiamo immediatamente, facendogli conoscere la nuova situazione del Pollentia che andava alla deriva; ed infatti il mattino del 23 gennaio il Carpathia ci annunzia che si dirige alla nostra volta, ed annunziano pure il loro arrivo sul luogo di questa civile battaglia i piroscafi da noi chiamati in soccorso, il Venezia francese e la petroliera Narraganseth inglese.

«Durante questi tre lunghi giorni d’angosciose ricerche, avevo osservato – continua il capitano Zannoni – che all’alba il mare accennava ad una relativa e breve bonaccia: onde risolsi alle sei del 23 gennaio di tentare energicamente l’estrema prova pel salvataggio del Pollentia, che del resto non si poteva più reggere.

«Assumo la direzione della manovra: chiedo al Pollentia se poteva servirsi delle sue imbarcazioni; mi risponde, che i suoi uomini erano ormai sfiniti di fame, di freddo, di fatiche: l’avverto allora che avrei mandato un battello di salvataggio del Giuseppe Verdi e di tenersi pronto: ordino alla Bulysses di pompare in mare materie oleose, e di comprendere nelle sue evoluzioni circolari il nostro piroscafo ed il Pollentia. Attendo quindi il momento propizio.

«Radunati i miei uomini in coperta, dico loro:

«– Chi di voi è disposto a seguire il primo ufficiale, capitano Desiderio Maggi, nel life-boat, che deve tentare il salvataggio dei naufraghi del Pollentia?

«– Tutti – essi rispondono ad una voce, fra gli applausi dei passeggeri, ammirati dello slancio dei marinai italiani.

«Scelgo allora quelli che mi paiono più adatti: G. Rapaccioli, P. Ansaldo. G. B. Toso, D. Musante, I. Rum, V. Ansaldo, N. Messina, G. Venera.

«Alle sette e 50’, quando mi pare che le condizioni del mare siano più favorevoli all’ardita impresa, mi avvicino al Pollentia sino a pochi metri di distanza e lancio in mare il life-boat al comando dell’intrepido Capitano Maggi.

«Un silenzio solenne ed una viva trepidazione regnano a bordo dei transatlantici, che attendono intorno. Faticosamente vengono raccolti nel nostro life-boat i 37 naufraghi del Pollentia: ultimo scende il capitano Gibbs, dopo aver incendiato il disgraziato piroscafo. Con sforzi inauditi per il forte rullìo e per le condizioni fisiche, i dieci ufficiali ed i 27 marinai del Pollentia vengono ad uno ad uno issati a bordo colle corde, e l’uomo ferito, entro una coffa.

«Un irrefrenabile entusiasmo scoppia allora da bordo di tutte le navi, mentre il capitano Gibbs mi abbraccia, senza profferire parola per l’intensa commozione.

«Parecchi colpi infallibili dei nostri cannoni sfondano il Pollentia in seguito a richiesta del capitano Gibbs, affinché non rendesse pericolosi quei paraggi così frequentati dai transatlantici.

«Alle 11,15 del 23 gennaio 1916 in Latitudine N. 46°,52’e Long. W. G. 28°,34’, il Pollentia di circa 3000 tonnellate, della Cunard Line, partito vuoto da Liverpool e diretto ad Halifax (Canada), fu visto rapidamente affondare e sparire.

«Mentre riprendo la rotta radiotelegrafo alla petroliera Bulysses – che era stata compagna al Giuseppe Verdi nel salvataggio – ed al Venezia, al Narraganseth, al Carpathia, che erano accorsi:

«All finished. jou can proceed your voyage.

«Many Thanks from me and from Cpt. of Pollentia for your assistance.

«I complimenti e gli augurj di buon viaggio s’intrecciano lietamente nell’aria turbinosa, radiotelegrafati da tutti i piroscafi in risposta.

«Ecco qui come documenti e come ricordi i tagliandi del telegrafo Marconi, di questa meravigliosa invenzione italiana – conclude il capitano Zannoni – ed ecco il disegno della rotta seguita dal Giuseppe Verdi nella ricerca del Pollentia che io consegno alla Transatlantica Italiana».

Così il giovane comandante del Giuseppe Verdi quietamente finisce il racconto del tragico fato del Pollentia.

Gli amministratori della Transatlantica Italiana (dottor cav. uff. Carrara, prof, commendatore Berlingieri, cav. uff. Passalacqua), il direttore (rag. Cameli) il capitano d’armamento (comandante Roncallo) si rallegrano frattanto col capitano Zannoni e col capitano Maggi dell’opera loro sapientemente altruistica e freddamente eroica, e si compiacciono dell’alto valore individuale e collettivo e della cosciente disciplina dimostrata in quell’occasione da tutto l’equipaggio del Giuseppe Verdi.

Io penso frattanto agli anni ormai lontani, in cui il comandante Zannoni, frequentava le mie lezioni. Lo rivedo ragazzo poco più che quindicenne seguire con gli occhi intenti e fissi gli schizzi geografici sulla lavagna, dove si tracciava anche il percorso di quel Gulf-Stream, le cui acque spesso sconvolte dai fortunali e paurose per le fitte nebbie, egli doveva più tardi solcare con tanto onore e con tanta perizia.

E dietro lui rivedo un’altra lunga schiera di giovanetti dai volti rosei e imberbi, che, dai banchi della scuola, sono entrati e si trovano ormai fra i marosi non meno violenti della vita.

Moltissimi d’essi hanno oggi abbandonato lo scagno, l’azienda quieta e tranquilla, la cattedra o la redazione del giornale, e sotto l’onorata divisa del soldato italiano, si battono da valorosi sulle mal definite Alpi. Non pochi son caduti sul campo dell’onore, col nome dell’Italia sul labbro, guardando in faccia fieramente al secolare nemico di nostra gente. Non pochi hanno l’inestimabile orgoglio di rettificare con la punta della spada e di rigare col sangue i nuovi e più sicuri confini della Patria.

E penso, che quando 1’Italia, difesa sull’Alpi e risolutamente padrona dell’Adriatico, avrà compiuta la sua indipendenza, potrà essere sicura del suo fulgente avvenire, perché all’interno i suoi giovani soldati, ridiventati avveduti mercanti, sapranno attuare quella moderna organizzazione commerciale, capace di espandere nel mondo la nostra giusta influenza economica e politica. Ed arditi ed esperti marinai, come il comandante Zannoni ed i suoi equipaggi, sapranno far sventolare su ogni lido remoto, onorata e temuta, la bandiera d’Italia.

Da bordo del Giuseppe Verdi 1° febbraio 1916