L’Illustrazione Italiana, 19 marzo 1916
I Musei d’Arte nel Castello Sforzesco “tempore belli„
L’anno 1915, trascorso fra la preparazione febbrile e lo svolgersi della guerra, se ha turbato le condizioni normali del Castello Sforzesco colla chiusura dei Musei e coll’eccezionale tutela delle sue collezioni d’arte e di storia, non ebbe ad interrompere di queste il progressivo incremento, dovuto per la maggior parte a quel succedersi di doni e di legati, che è tradizionale testimonianza dell’interessamento cittadino, ed oggi è segno ancora più confortante di persistente vitalità nel campo dell’arte. Al compito di attenuare i danni, non tutti rimediabili, subiti nel 1915 dal patrimonio della nazione. il Castello Sforzesco ha recato significante contributo, degno di essere segnalato, a nessuna delle svariate sue collezioni essendo mancata la fortunata occasione di arricchirsi. I Musei della Corte Ducale si assicurarono, coi fondi del legato «contessa Luisa Morelli di Popolo», in memoria del consorte conte Galeazzo Visconti di Rosasco, due oggetti di singolare interesse per la diretta attinenza coll’arte lombarda, diremo anzi coll’arte milanese, agli inizi ed alla fine del quattrocento, che fu il periodo suo più fulgido. Il Tabernacolo d’argento di San Lorenzo in Voghera afferma colla fioritura del cesello, degli smalti, delle dorature, l’eccellenza dell’oreficeria milanese al momento in cui la mole del Duomo si delineava maestosa fra le vecchie case ed i mercati del centro di Milano: completum fuit hoc tabernaculum anno MCCCCVI, dice la iscrizione sulla sua base, e nei particolari architettonici delle profilature, delle guglie e dei trafori, negli elementi figurati degli altorilievi, delle statuine, degli angeli, risulta evidente la immediata derivazione dalla Cattedrale.
Donato alla diocesi di Voghera dal vescovo Giorgi, era destino che il tabernacolo, dopo cinque secoli, avesse a ritornare in Milano, immune dai vandalismi, sfuggito alle rapine che tanti tesori travolsero. La Direzione generale delle Belle Arti, autorizzando la regolare cessione del tabernacolo ai Musei del Castello, non solo provvedeva alla custodia, ma rimetteva in luce e in onore quest’opera d’arte nella più propizia sua sede.
Non meno interessante è la Credenza dell’Oratorio privato di Redecesio: di m. 2.50 di lunghezza, questo mobile di eccezionale conservazione è una delle ormai scarse testimonianze dell’arte dell’intaglio in legno, sul finire del secolo XV: poiché, se gli stalli corali di chiese e di abbazie non rimanessero ad attestare in modo completo la perizia degli intagliatori di quest’epoca, ben difficilmente si troverebbe un esempio altrettanto notevole del mobiglio di quel tempo, sfuggito alla distruzione o al deperimento. L’effetto di ricchezza, raggiunto con semplicità di mezzi, è dovuto al senso misurato dell’artefice, rifuggente dal sovraccarico nelle ornamentazioni che dovevano pochi decenni dopo accelerare il decadimento dell’arte dell’intaglio. Nelle sale del Castello Sforzesco, il mobile di Redecesio rappresenterà degnamente quest’arte durante il periodo sforzesco, che vi trova un richiamo nelle targhe, nelle imprese, nel motto IN VTRVMQVE PARATVS, recato dalla figura eretta sul cimiero a svolazzi
Per doni, lasciti ed acquisti, parecchie opere di pittura pervennero, nel 1915, alla civica Pinacoteca, degna ormai di essere inscritta fra le più interessanti collezioni d’arte municipali.
Menzionandole per ordine cronologico, segnaleremo anzitutto il gruppo dei dipinti del secolo XV; due tavole del Bergognone: una Madonna col bambino, di scuola lombarda: un ritratto virile, su tavola: un frammento d’affresco del Luini.
Una tavola di Ambrogio Borgognone venne donata in memoria del cav. Achille Cantoni, dalla di lui famiglia: rappresenta un soggetto che le pestilenze di quel tempo resero frequente, e più volte venne ripetuto dal pittore, il San Rocco; un’altra tavola poté il Castello assicurarsi per gentile deferenza di un privato raccoglitore, che lasciò al Comune la prelazione dell’acquisto: venne questa identificata come un frammento della pala di San Benedetto, dipinta dal Borgognone per la Certosa di Pavia negli ultimi anni del secolo XV, oggi dispersa: raffigura uno dei vari episodi della vita del Santo, che si svolgevano nei comparti della predella; un altro di questi comparti è conservato, come gemma della pittura lombarda, nella Pinacoteca di Nantes.
L’acquisto della Madonna col bambino, assicurò al Castello l’esempio di tecnica singolare che fu in voga nel quattrocento; le carnagioni sono dipinte a tempera, mentre la capigliatura e l’abbigliamento sono in ricamo serico, con ornamentazioni in metallo: proveniente da una raccolta privata di Bergamo, quest’opera ha trovato la sede più opportuna nel Castello, dove le collezioni di arte pura si completano e si armonizzano colle varie manifestazioni minori dell’arte del ricamo, dell’intaglio, del cesello.
Se a rigore non potrebbe considerarsi come recente incremento delle collezioni municipali, il dipinto Ritratto virile su tavola, di compendio del legato Bolognini, risulterà ad ogni modo una novità, al riaprirsi dei Musei; questo piccolo dipinto, la di cui erronea attribuzione al Pinturicchio, dovette contribuire a relegarlo or sono quarant’anni nei depositi dei musei: ripulito, si presenta oggi come il frammento di un ritratto di maggiori dimensioni, meritevole di essere esposto. Anche per il frammento di affresco del Lumi, non sarebbe esatto il dire si tratti di un nuovo incremento; già figurava, come legato Bolognini, nella Pinacoteca, sotto il titolo Busto di giovine donna, e cosi lo aveva ridotto la trasformazione compiuta col ripiego di un mantello nero, sotto il quale poté ancora essere ritrovata la testa di un putto: riapparve così il genuino soggetto del frammento luinesco, mutato nella prima metà del secolo XIX in ritratto muliebre, maggiormente appetibile per una collezione privata, quale era quella del Marchese Bolognini, legata al Comune nel l865.
La scuola pittorica lombarda del secolo XVII, sempre vigorosa nelle sue affermazioni anche in mezzo all’infierire di guerre e di pestilenze, attendeva di essere degnamente rappresentata in Castello, nel nome di uno fra i maggiori artisti di quel tempo, Daniele Crespi; la Pinacoteca civica si compiace oggi del possesso di una tela, La Sacra Famiglia, riassumente le forti qualità di questo pittore, morto non ancora quarantenne, avendo già assicurato al suo nome una fama che il tempo ha consolidato. La composizione si stacca dalle forme tradizionali, per accentuare la nota intima di una scena famigliare, composta con nobiltà, resa con vigorosa modellatura ed intensità di colore, degne veramente di un Museo.
Dell’altro Crespi, detto il Cerano, il cav. Aldo Noseda donava un piccolo grazioso dipinto. La Madonna col bambino e Sant’Antonio.
Al desiderato incremento di opere illustranti lo stesso periodo della pittura lombarda, venne ad aggiungersi una vecchia tela, raffigurante l’Incoronazione della Vergine, la quale dal soppresso cimitero della Mojazza, era passata, per le sue condizioni ammalorate, nei magazzini municipali; sottratta all’estrema rovina e riparata, questa tela risultò opera degna della civica Pinacoteca, dove sarà argomento di indagini riguardo al suo autore: il quale, malgrado qualche influsso veneto, accenna ad appartenere alla scuola milanese.
Un altro dipinto assegnabile a questa scuola, venne legato al Castello dalla signorina Ida Seletti, la quale volle, morendo, associare il suo ricordo a quello del genitore avv. Emilio, così benemerito dei Musei del Comune: la figura severa, recante nella destra un teschio, è quella di un medico, che la scritta sul rovescio della tela designa: Enea Fioravanti chirurgo norsino. L’attribuzione a Daniele Crespi di questa tela, ch’ebbe a figurare all’Esposizione del Ritratto Italiano tenutasi in Firenze nel 1911, per quanto non escluda qualche divergenza di giudizio, rimane una conferma del valore intrinseco del dipinto.
Lo stesso legato Ida Seletti destinava tre altre opere d’arte al Castello: una Sacra Famiglia di scuola veneto-emiliana: una Vergine col bambino, interessante ricamo in seta, firmato Rosa Baroni anno 1737, che troverà degno collocamento nella Sala delle stoffe; infine una tela che si aggiunge alle memorie relative a Leonardo da Vinci, conservate in Castello sotto gli auspici della «Raccolta Vinciana» fondata nel 1904. Trattasi di una antica copia della composizione della Sant’Anna, asportata da Leonardo nel suo volontario esilio in Francia, pervenuta alla di lui morte in possesso di Francesco I, ed oggi al Museo del Louvre: la copia, fedele nell’aggruppamento delle figure, offre alcune varianti secondarie, non prive di interesse per gli studi vinciani.
Questa serie di opere pittoriche, di recente assicurate alla civica Pinacoteca, ha trovato degno coronamento nel cospicuo acquisto, reso ancora possibile coi fondi del già citato legato della contessa Morelli di Popolo. Si tratta di un dipinto di scuola francese, del secolo XVII, il singolare pregio del quale giustifica senz’altro il suo accoglimento in Castello: poiché il ritratto del celebre scultore di Luigi XIV. François Girardon, dipinto da H. Rigaud nel 1689, è di quelle opere d’arte che si impongono. e reclamano in qualsiasi collezione d’arte, un posto d’onore. Assieme al dipinto La Confidenza disputato fra i due nomi del pari insigni di Tiziano e di Palma il Vecchio, donato al Comune nel 19l3 dalla signora Anna Sessa Fumagalli, questo ritratto del Rigaud rafforza il gruppo di opere elette, per cui la Pinacoteca civica si afferma come una collezione di primo ordine. Lo scultore si presenta nella completa naturalezza della posa, coll’espressione sua intelligente e gioviale ad un tempo, che lascia intravvedere il compiacimento nel vedersi così magistralmente fissato sulla tela.
Il Rigaud, che nei suoi ritratti ufficiali di sovrani, cardinali, magistrati e marescialli, non poté sempre sottrarsi alla convenzionale teatralità della posa e degli accessori, qui si presenta nella piena libertà dei suoi mezzi pittorici, associando alla sicurezza del disegno, all’interpretazione fedele della fisionomia, la vigoria della modellazione e del colore, così da comporre uno di quei ritratti che sono indimenticabili, al pari di
quelli dei maestri più celebrati in questo ramo della pittura.
Anche le collezioni di scoltura ricevettero interessanti incrementi per liberalità di cittadini. Il barone Giuseppe Bagatti-Vaisecchi donava, in memoria del compianto suo fratello nobile Fausto, il prezioso tondo marmoreo, raffigurante in alto rilievo una Adlocutio. Nella sala della Corte Ducale che ospita la figura giacente di Castone di Foix, quest’altro esempio della prodigiosa virtuosità dello scalpello di Agostino Busti, detto il Bambaja, ha trovato degno collocamento, avendo il benemerito patrizio milanese aggiunto il munifico dono di una custodia in bronzo e cristalli, per adunarvi i pezzi più preziosi dell’arte del Bambaja. Una scoltura del secolo XV donava d conte Guido Carlo Visconti, interessante per il ricordo di Tomaso Grassi, benemerito fondatore, nel 1400, di scuole pubbliche in Milano. e per la raffigurazione dell’antica tacciata di Santa Maria Maggiore, utilizzata per molto tempo come fronte del Duomo in costruzione: né meno interessanti sono le figure della Vergine e dei Santi, a bassorilievo, come saggio della scoltura milanese nel periodo che si onorava dei nomi dei Mantegazza, dell’Amadeo, dei Solari. Un’altra lapide milanese con figure di genietti, donata dalla signora Ottavia Dimier vedova Strada, è notevole esempio del persistere delle buone tradizioni scultorie in Milano, nei primordi del secolo XVII.
Infine, per dono di un altro concittadino, la collezione dei cimelii cristiani riceveva l’incremento di una urnetta in pietra calcare, recante assieme ad ornamentazioni simboliche, l’iscrizione Lux Mundi Christus, trovata in Agrate Brianza, da cui già pervennero alle collezioni del Castello altre memorie archeologiche.
Particolare importanza hanno gli avanzi architettonici di una casa sforzesca, provenienti da demolizioni fra il Corso Vittorio Emanuele e Piazza Beccaria: sono capitelli, colonne e basi, frammenti di cornici e fregi in terracotta, dai proprietari di quegli stabili messi gentilmente a disposizione per quella parte che consentirà una ricomposizione, come già si fece, nel grande cortile del Castello, cogli avanzi di un’altra casa sforzesca nel quartiere del Cordusio.
Anche le raccolte di ceramiche ebbero nuovi incrementi, per doni od acquisti: l’interessante collezione delle ceramiche milanesi si assicurò alcuni pezzi di singolare pregio e rarità: alle ceramiche persiane si poterono aggregare dei saggi di antiche terracotte smaltate, attestanti la influenza che l’arte orientale esercitò nella ceramica nostra, durante il Rinascimento: la bella serie degli arazzi si accrebbe per acquisto di tre arazzi della chiesa di San Sepolcro; infine, la Sala detta dei bronzi si è arricchita di una preziosa scelta di antichi vetri, smalti, avori, oreficerie, raccolti in artistica vetrina, in bronzo e cristalli, il tutto donato dalla signora Anna Sessa Fumagalli.