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 1916  marzo 12 Domenica calendario

Corriere

Ceneri. Carnevale... e Napoleone! La lotta attorno a Verdun e il generale Pétain. Gli appelli nominali dei socialisti e Salandra.
Le allegrezze e i dolori del presidente Wilson. La pace di Lunéville, le invocazioni del Papa, e marzo piovoso e ventoso.

Le Ceneri!...
Finisce per i romani il carnevale, comincia per i milanesi il carnevalone – ma chi se ne accorge quest’anno?...
Non occorreva il divieto ufficiale dell’uso della maschera per allontanare dalle sensazioni del pubblico ogni impressione carnevalesca. Nessuno poteva avere mente ed animo a ciò quest’anno, nemmeno per i tanti adattamenti della beneficenza, che non ha quest’anno neppure la fiera di Porta Genova, e se ne consola con una esposizione napoleonica.
Ben trovata l’idea!... Mentre tutto il mondo è da dieciotto mesi in guerra e la guerra arriva, in questi giorni, ad accanimenti estremi ed impreveduti, ricreazione inspirata al colore del tempo è una fiera intitolata a colui che, come diceva «un italiano» in una lettera – oggi rara a trovarsi – diretta pubblicamente al signor di Chateaubriand e pubblicata qui a Milano dallo Stella nel 1814 «novello Gengiskan regnar voleva sopra nazioni incivilite colla scimitarra di Attila e colle massime di Nerone!...».
Napoleone, non era ancora, nel 1814, nell’isola di Sant’Elena, ed era trattato già dai contemporanei come gran parte della stampa europea tratta oggi Guglielmo II, il quale – in confronto di Napoleone – non ha sulla coscienza che dieciotto mesi di guerra mentre Napoleone ne aveva almeno quattordici anni!...
E si diffondevano allora, come si diffondono ora – con ben altri mezzi, ora, data la diffusione immensa della stampa politica – opuscoli che propugnavano la pace, predicavano ai neutri la necessità che intervenissero anch’essi, per far finire più presto la guerra; e scagliavano invettive o contro Napoleone o contro l’Inghilterra, che erano allora i due ostinati antagonisti, come ora la Germania e l’Inghilterra medesima. Tanto è sempre vero che, su per giù, non vi è proprio mai nulla di nuovo nel mondo – salvo, naturalmente, le proporzioni degli avvenimenti, in ragione dei maggiori mezzi messi a disposizione degli uomini, per il bene, come per il male, nel volgere dei tempi.

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Così ora l’immenso sforzo tedesco contro Verdun e sulla Mosa è paragonato a quello del 1870 a Sedan – con questa differenza, prima di tutto, che i francesi resistono magnificamente, e che i risultati di Verdun non rassomigliano e non rassomiglieranno, definitivamente, a quelli di Sedan!
L’eroe francese della resistenza mirabile è il generale Pétain. Nell’agosto del 1914, quando la guerra incominciò, egli non era che colonnello. I ricami d’argento attorno al berretto li ha guadagnati tutti in questa guerra, salendo per i gradi di generale di brigata, generale di divisione, generale di corpo d’armata. Compirà i sessanta anni il 24 aprile prossimo; ed è un campione di ogni energia, fisica, intellettuale, morale. Sono noti e divulgati fra i soldati francesi suoi curiosi aforismi: «La resistenza fisica di un comandante è almeno importante quanto le sue cognizioni militari».
Per le trincee francesi attorno a Verdun echeggia frequente il ritornello di una canzone: «V’la Pétain – gare au potin!...» Tutte le mattine, appena alzato, dedica mezz’ora a saltare la corda. Un altro suo aforisma pare questo: «Come ufficiali di stato maggiore, avrei bisogno di buoni ciclisti e di campioni podisti». Ha percorsa tutta la sua carriera nell’arma di fanteria – l’arma che spiega nel settore di Verdun la mirabile resistenza, che i tedeschi non sospettavano.
Questo generale – che ha tanto abilmente ingannato il nemico con il primo ripiegamento da Douaumont, onde i brandeburghesi si sono inferrati in una posizione insostenibile – spiega completamente il suo temperamento franco e positivo, nel seguente ordine del giorno da lui rivolto alle sue truppe dopo due settimane di resistenza magnifica:
«Dal 21 febbraio – dice l’ordine del giorno – l’armata del Kronprinz attaccò col massimo sforzo le nostre posizioni di Verdun. Mai il nemico pose in attività tanta artiglieria, mai impiegò tante munizioni. Ha già impegnato sul campo di battaglia i suoi migliori corpi d’armata che per mesi aveva tenuto in riposo, e ha rinnovato i suoi attacchi di fanteria senza riguardi a perdite. Tutto dimostra quale valore dia la Germania a questa offensiva, la prima di grande stile che essa tenti da oltre un anno sul nostro fronte. Essa si affretta a conseguire un successo che termini una guerra sotto la quale la sua popolazione soffre di più in più. I sogni di allargarsi in Oriente svaniscono, l’accrescersi dell’esercito russo-inglese desta inquietudine, Un ordine del giorno del Kaiser portatoci da un disertore è la confessione della vera causa di questo attacco disperato: «La nostra patria – dice in esso il Kaiser – è costretta a questo attacco, ma il nostro ferreo volere distruggerà il nemico: ordino perciò l’attacco». Il loro ferreo volere – continua il comandante francese – si spezzerà contro la nostra resistenza, come già in Lorena, in Piccardia, nell’Artois, sull’Yser e nella Champagne. E infine saremo noi a vincerli. Il fallimento di questi disperati sforzi nei quali avranno consumato invano le migliori forze loro rimaste, rappresenta il principio del loro sfacelo. Tutta la Francia guarda a voi, e ancora una volta attende che ognuno faccia il proprio dovere fino all’ultimo».
E non c’è che dire – i poilus francesi insieme alle reclute novelle fanno il loro dovere mirabilmente. Non meno di centomila tedeschi sono caduti davanti alla resistenza francese – dice un lord inglese in un suo rapporto inspiratogli dai luoghi visitati: «due quinti degli effettivi tedeschi sono fuori di combattimento» – e come dice un critico militare francese – sanguinosa manovra tattica riuscita, se si guardi ai quattro o cinque chilometri di terreno sui quali i tedeschi sono riusciti ad avanzare, manovra strategica completamente fallita, se si rifletta ai grandi obbiettivi che i tedeschi avevano, ed al proseguimento della campagna. Ora essi si accontentano di dire che miravano a Verdun, e che lo prenderanno!... Con la sorpresa, con la manovra di forza non sono riusciti. Vi riusciranno con una lotta metodica? È dubbio. E quando vi riuscissero, il giuoco – come dicono i francesi – varrà la candela?... La resistenza tedesca si affievolirà sempre di più, mentre sempre più compatta si fa – su ogni fronte – contro i tedeschi, la resistenza e la densità degli eserciti alleati.
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Alla Camera i socialisti ufficiali rassomigliano un poco ai tedeschi: ogni giorno un assalto contro Verdun, ogni giorno un assalto contro il ministero – un assalto in forma di appello nominale, magari due nella medesima seduta, per contarsi sempre in 38, o 28 – come è accaduto ieri – e far raccogliere al ministero un 300 voti favorevoli, superanti le previsioni del ministero e di coloro che gli votano in favore.
Il giuoco degli appelli nominali fece perdere, lunedì, la pazienza al primo ministro, che minacciò – se questa specie di ostruzionismo continuasse – di appellarsi contro la Camera alla Corona. La frase fece rumore – s’intravidero subito, la proroga della sessione, poi la chiusura, poi persino lo scioglimento della Camera – ma ieri le dense nuvole parlamentari si sono dileguate in una minaccia generica del presidente del consiglio contro coloro che tentassero di voltare lo spirito del paese mettendolo contro la guerra. Non c’è, forse, gran che da temere da questo lato: lo spirito del paese vuole che si arrivi alla vittoria, e nulla lo distrae dall’alto obbiettivo. Ha dato ora tre miliardi per il terzo prestito di guerra: ed a Milano ha raggiunti i dieci milioni la libera sottoscrizione per i bisogni della guerra. Sono segni questi, che valgono ben più degli appelli nominali dei socialisti ufficiali. Ma la verità è che, le risentite parole di Salandra se esteriormente erano dirette contro i socialisti ufficiali, sostanzialmente andavano a tutti i seminatori di zizzania e complottatori della Camera, affaccendati a suscitare cospirazioni di corridoio, e stimolati dalla smania di una qualche crisetta ministeriale. E da un paio di mesi che queste aspirazioni si fanno più pungenti. Non da parte dei socialisti ufficiali. Ma da parte di coloro che furono così malcontenti del discorso detto da Salandra a Torino all’Unione Monarchica dove il primo ministro volle rivendicare al partito liberale italiano le iniziative politiche onde l’Italia venne alla guerra. I malumori si accentuarono da quel giorno – e lunedì Salandra ha tirate le orecchie ai socialisti ufficiali, perché anche gli altri qualche cosa comprendessero. Ora tutto riappare quieto: in Pantano – il progenitore genuino dell’ostruzionismo parlamentare classico – ed in Bissolati, il ministero Salandra ha ritrovati i suoi difensori: il socialista Ciccotti ha dato egli stesso lo spunto al primo ministro per richiamare i socialisti ufficiali alla realtà; il giolittiano Schanzer ha perorato a favore del ministero – e la maggioranza si è riaffermata, se non omogenea, numericamente concorde.
Certamente non sono questi gli spettacoli che maggiormente possono attirare l’attenzione benevola del paese ed il suo interessamento – ma qualche cosa di diverso dagli avvenimenti di guerra – qualche cosa che segnasse, anche in politica, il passaggio del Carnevale, pur ci voleva!...
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Dunque, finalmente, il presidente degli Stati Uniti d’America, il dottor Wilson ha riportate non una, ma due vittorie!... Al Senato ed al Congresso la proposta dei tedescofili, i quali volevano che venisse votata una legge per proibire ai sudditi americani di imbarcarsi su navi mercantili armate, è stata respinta – e Wilson si è proclamato vincitore. I suoi nemici divulgarono subito che egli, malgrado questi voti, pensava più che mai a dimettersi da presidente; ma un comunicato presidenziale si è affrettato a dichiarare che «qualsiasi giornale pubblichi in questo momento una tale notizia, priva di fondamento, si disonora!...».
La valutazione dell’onorabilità dei giornali misurata dal valore delle notizie che spacciano, è un criterio puritano, consono – penso – alle dottrine del dottor Wilson. Ma noto che i giornali americani a lui contrari dicono che il voto recente del Senato – al quale ha tenuto dietro prontamente un voto uguale del Congresso, o Camera – non vogliono dire fiducia dei rappresentanti americani nel presidente Wilson.
Se si pensi che le trattative degli Stati Uniti con la Germania per trovare la parola qualificativa per il famoso, spietato affondamento del Lusitania nel quale, nel maggio scorso – cioè dieci mesi sono – perirono più di mille innocenti – la parola qualificativa non è ancora stata trovata, si capisce che la politica del presidente Wilson non desti fra gli americani un entusiasmo eccessivo.
Dieci mesi per cercare una parola che piacendo al presidente Wilson non urti la Germania – è una prova che può attestare fino ad un certo punto dell’effettivo interessamento del Governo degli Stati Uniti per le mille e più vittime innocenti del Lusitania.
E nella questione, portata alle Camere americane, di proibire ai cittadini americani di imbarcarsi su piroscafi mercantili armati vi era qualche cosa di più che far piacere o dispiacere al presidente Wilson. Se il Senato ed il Congresso avessero approvata quella proposta, la Germania sarebbe la vera vincitrice, sostenendo essa che i piroscafi mercantili non devono essere armati, e che il Lusitania fu silurato perché il comandante del sommergibile tedesco che lo affondò lo credette in buona fede armato.
Dunque le Camere americane hanno dato coi loro voti, torto alla Germania, senza avere dato ragione al presidente Wilson, il quale è entrato sabato scorso nel quarto anno – ed ultimo credesi – della sua vita presidenziale.
Per la lotta presidenziale, che già delineasi, presentasi candidato dei democratici, contro di lui, Teodoro Roosewelt, e questo è ben più grave che trovare la parola precisa con cui battezzare diplomaticamente l’eccidio degl’innocenti americani naviganti sul Lusitania!...
Il colonnello americano House, che il presidente Wilson mandò a Parigi, a Londra ed a Berlino a tastare terreno per avviare trattative di pace appena se ne presentasse l’opportunità, è ritornato alla Casa Bianca ed ha conferito a lungo col presidente. Che cosa gli ha detto? Nessuno è in grado di saperlo – ma appunto per questo i giornali americani anglofili affermano che il colonnello ha sintetizzate le sue impressioni così: «sono impazziti!» – i tedeschi, s’intende. I quali vogliono una pace da vincitori – una pace cui le potenze dell’Intesa non si piegheranno mai.
Wilson ne è desolato, pare, quasi quanto il papa, Benedetto XV, che nella sua lettera al cardinale vicario di Roma, pubblicata per il sopraggiungere della Quaresima, alza nuove lamentele ed invoca anch’egli la pace.
Un opuscolo pubblicato nientemeno che cento e quindici anni addietro – e che ho qui sotto gli occhi – intitolato «del nuovo metodo con cui si deve trattare la pace» – comincia con questo periodo:
«Nel corso di cinque anni è seguito un gran movimento nella politica: sono rotti quei vincoli che tenevano unita una parte delle Potenze d’Europa sotto nome di Trattati; i rapporti diplomatici sono cangiati o rovesciati; sconcertato l’equilibrio politico: e posto in oblio il diritto delle genti. Convien dunque stabilire un nuovo ordine...
Così nel 1801, in attesa della pace che si chiamò di Amiens.
Io non so come si chiamerà la pace che, presto o tardi verrà; ma so che, dopo tutto, non c’è proprio nulla di nuovo sotto il sole – Cioè meglio, sotto le nubi – che, da quindici giorni almeno, il sole si è vergognosamente nascosto, e marzo primaverile è tutto ravvolto in nubi mosse turbinosamente dai venti – e prodiga acqua, a tutti, a rovesci!...
Invochiamo dunque il sole!
8 marzo