L’Illustrazione Italiana, 5 marzo 1916
La coda del diavolo. Le ultime novelle di Virgilio Brocchi¹
Un’ondata fresca e simpatica di umorismo corre e pervade quest’ultimo libro di novelle del Brocchi. Un umorismo alquanto amaro, tratto tratto, ma sempre di schietta ed autentica lega. In Italia troppo facilmente si confondono nel novero degli umoristi gli scrittori dalle confessate intenzioni ironiche, i maneggiatori aspri del sarcasmo, i flagellatori più o meno convinti di vizii umani e sociali più o meno veri. Eppure un nostro grande e compianto critico, Enrico Nencioni, da molti anni ebbe a teorizzare ed a fissare in linee di perfetta misura, in una precisa sfera d’azione, il campo dell’umorismo letterario, giustamente provando com’esso finisca là dove spuntano gli artigli rabbiosi della satira.
A questa sottile e geniale concezione del Nencioni si riallaccia fedele la prosa narrativa di Virgilio Brocchi. Egli è un osservatore fine, acuto, profondo della vita, ma un osservatore sempre garbato e benevolo, sorretto da un senso di commosso compatimento per le debolezze umane, qualche volta maliziosamente e signorilmente bonario, ma alieno sempre dal diffuso malvezzo di voler ad ogni costo scoprire od immaginare inverosimili turpitudini d’anime per salire la bigoncia della morale a tessere il predicozzo. Così dalla serenità della visione nasce una sicura obbiettività di impressione e l’arte del novelliere conquista un piacevole sapore di realismo senza brutalità, una facoltà di analisi severa, ma senza preconcetti e senza segreti scopi, – di gusto assai discutibile – di voler creare di maniera brutture ed infamie per divertirsi poi a flagellarle in fiorito stile retorico.
Le figure del Brocchi balzano tutte dalla vita, amabilmente vive e complete. E sopratutto le molte e gentili silhouettes di donne ond’è popolato il volume sfilano e si avvicendano avvolte da un profumo sano di umanità: l’autore seppe ritrarle con amoroso e sincero acume senza pretendere di foggiarle secondo le sue recondite utilità a servire i presupposti di una sua dichiarata o nascosta tesi sociale o morale.
Non lo sforzo di un pittore iper-moderno illuso di sintetizzare i riflessi dell’anima femminile nell’atteggiamento di una ciocca di capelli, in un pelo di sopracciglia o nel gesto di una mano; bensì la immediatezza di impronte, e la gustosa sapienza estemporanea di un pastellista provetto, il quale sa vedere i caratteri salienti delle persone alla prima occhiata e fissare col suo rapido, conciso, elegante mezzo d’arte la grazia e la bellezza e la personalità vibrante delle sue modelle.
Ed eccoci in cospetto alla teoria interessantissima delle protagoniste di Virgilio Brocchi: una piccola galleria di morbidi ed attraenti ritratti di donne, varie di aneliti, di istinti, di tendenze, di aspirazioni, ma tutte sbocciate da un’uguale felice facoltà di osservazione della vita circostante. Il valoroso novelliere nostro è un provato conoscitore dell’anima femminile e la ricerca ansioso lungo le vie della passione, la sviscera con penetrante sicurezza di tocchi e di arguzia analitica, la commenta con brio talvolta impertinente, più spesso benigno e pieno di indulgenza accorata. E quando non riesce a sostenere le attenuanti e le scusanti alle piccole scellerataggini delle sue eroine, allora ne attenua le colpevoli leggerezze e le scappatelle peccaminose, attribuendone la responsabilità al destino perverso, al diavolo che ci volle mettere la terribile coda...
Il sentimento di benevola tolleranza spunta fin dalla prima novella: Il corredo di Titina.
Clelia, la vezzosa e venale concubina di Marco Salom-Finzi, «un ebreo che avendo più di cinquanta mila lire di rendita si chiama israelita», ci appare come nobilitata dall’affettuoso desiderio di provvedere al corredo della minore sorella prossima alle nozze. Essa, disperando di vincere la riluttante tirchieria dell’amante ufficiale, si concede allo scultore Massimo Lori per una volta sola, il quarto d’ora pattuito oltre il quale non permette altri diritti neppure per la posa necessaria a completare la statua cominciata fra i baci.
E l’autore con sorriso discreto si accontenta di farla punire dal complice con un arguto strattagemma d’artista.
Di una più convinta ed altrettanto paterna semi-assoluzione benefica l’aristocratica protagonista della seconda novella, l’appassionata bellissima Ruccia, le cui distrazioni extra-coniugali si giustificano come una legittima reazione contro le trascuranze e le continue assenze del marito legatus pontificius, e la opprimente tutela di uno zio Eminenza, la cui autorità è spiritosamente sfruttata dall’irriverente nipote per far mettere all’indice l’ultimo romanzo del suo amante Luigi Tarti, procurandogli cosi, collo scandalo, un successo clamoroso ed insperato.
E tutti i diritti della riabilitazione sono, con più evidente palpito di umanità, riconosciuti alla leggiadra ed infelice Madonna rossa, la modella del pittore Tito Nespi, vittima giovanissima d’una brutale violenza e lumeggiata all’alba di un dolce affetto redentore con i colori più delicati della commiserazione, dopo di essere stata ritratta dall’autore – sulla sua sedia di modella – con pennellate così spontanee, vivaci e deliziose da lasciar poche speranze di poterlo superare al pittore innamorato della piangente e avvenentissima popolana.
A finezze ancor più acute di penetrazioni psicologiche si innalza il Brocchi nello scrutare in Vertigine il mistero complicato dell’anima di Nella, la scrittrice che, dopo aver proclamato in un libro: «il più alto destino muliebre si sarebbe compiuto per la donna che avesse saputo amare Giacomo Leopardi», crede di amare il Leopardi nella gloriosa vecchiezza dello scultore Antonio Desco, diventando la fedele compagna della sua vita e delle sue lotte d’artista, abbandonando per lui la casa coniugale ed il bimbo, ammirandolo e amandolo sinceramente a malgrado «la faccia di Cristo bizantino», fino al giorno in cui la sua passione cerebrale è sorpresa e soggiogata da un nuovo amore per un giovane allievo del Desco. E l’autore segue la sua povera Nella, quasi con trepidanza di ambascia, nella corsa affannata dietro gli istinti della ridesta prepotente sensualità, la coglie nell’ora del disgusto e del pentimento, mentre accorre alla culla del figliuoletto che respinge la donna sconosciuta ed invoca dalla balia:
«Mamma, mandala via!»; l’assiste nell’estremo pellegrinaggio disperato al solitario rifugio dell’uomo illustre la cui vita essa ha involontariamente spezzata.
Resa con altrettanto acume di verità umana è nell’Irreparabile la angosciante battaglia di una donna leggiera, Giulia Rambaldi, contro i furori gelosi di un amante ingenuo, Piero Accardi, il quale, spietatamente, nell’egoismo della sua passione, le chiede conto del passato e non pago dell’amore pieno di dedizione che gli è offerto, pretende che l’amante lo dovesse presentire ed attendere in tutta la sua vita di donna infelice e insoddisfatta nell’innato bisogno irresistibile di amore.
Altre molte figurine graziose e gentili si avvicendano nel volume alle figure di passione: Noemi Guadagnani, la ingegnosa e circospetta adultera bolognese che si salva e si redime... fino alla prossima ricaduta, colla amena trovata di una Lettera anonima; la soave giovinetta autrice del Miracolo della Madonnina, la dolorante violinista chiusa dal ricco matrimonio in una Gabbia gemmata, la protagonista provinciale e simpatica dei gustosissimi Compensi del marito, la giovinetta dei Ricorsi del destino nelle cui vene ardono, in ereditarietà impure ed indeprecabili, le tendenze peccaminose.
E sopra tutte si innalza colla profonda verità del suo affetto e del suo dolore Vannina Malacari, l’eroina veramente eroica dell’ultima novella: L’amore di una bimba, un piccolo capolavoro di sincerità, di cuore, di drammatica e toccante semplicità narrativa.
Lo stile fermo e preciso di Virgilio Brocchi raramente divaga dal cómpito novellistico, né si distrae dai suoi vaghissimi pastelli femminili. Benché lo scrittore possegga il senso, il gusto del paesaggio, non si lascia adescare dal desiderio di ingombrare il libero corso del racconto coi particolari inutili e le frequenti divagazioni descrittive: marcia diritto allo scopo e con spartana e robusta umiltà di mezzi ricava tutto il suo effetto. Si direbbe che egli ami isolare le sue figure da ogni tepore di ambiente per mettere in luce più piena le sue mirabili doti di plastico. E le figure così rilevate con giochi gagliardi di chiaroscuro, sdegnando i lenocinii e le abilità dei mediocri, le presenta al lettore col suo amabile sorriso bonaccione, certo di aver tutti consenzienti alla propria filosofia mite, dolce e superiore di uomo che studia, spiega e giustifica le contraddizioni e le patologie del cuore femminile a vece di ritessere feroci ed inutili requisitorie da gli Adami di corta vista e di corto cervello, reiterate attraverso venti secoli contro Eva, convinta e tenace confortatrice di peccato ai puritani diffamatori...
Conviene però riconoscere la maestria di Virgilio Brocchi anche nel tratteggiare le figure virili.
Specialmente egli predilige i tipi di artisti e li tratteggia con mano felice, con una conoscenza perfetta, con rara forza di evidenza. Lo scultore del magnifico Matrimonio di Zubi, il suo collega Fossalta, odiatore della critica impotente e di tutte le convenzioni sociali, il pittore dilettante di avventure galanti Giorgio Negrelli, sono caratteri schizzati con superba vigoria di contorni, con mirabile intuizione del temperamento eccezionale, bizzarro e qualche volta bislacco dei nostri artisti.
E ci compensano dei tanti fantocci sentimentali ed ubbriaconi che, sulle traccie del romanticismo, ancora ci ammannisce la letteratura contemporanea, facendosi lecito di gabellarli per cultori dell’arte, poiché si è preoccupata di mettere loro fra le mani lo scalpello od il pennello.
Ma l’arte muoverebbe certo – anche per altre plausibili ragioni – querela in diffamazione contro gli autori delle rancide rifritture romantiche se avesse riconosciuti i diritti civili...
¹Virgilio Brocchi, La coda del diavolo, Milano, Treves, L. 3,50.
(Gazzetta del Popolo)