Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  agosto 23 Martedì calendario

Tra i braccianti del ghetto di Rignano Garganico, fra tariffe, regole e paghe da schiavi

È un posto che non dovrebbe esistere, in un incubo e nemmeno in un romanzo, perché tutto è così rovesciato da non poter essere vero. A voler essere precisi si tratta di baracche costruite con lamiere o scarti di legno, arroccate in una campagna alle porte di un capoluogo italiano, dove circa cinquemila persone vivono riempiendo secchi d’acqua in mezzo al fango, facendo bisogni in un angolo di baracche trasformate in esercizi commerciali: all’ingresso c’è un bazar che vende falsi borselli di Louis Vuitton, poco più avanti sotto un tetto di paglia sono nati supermercati e forni, un signore che vende birre ghiacciate fa un bel business, dicono, ma mai come quelle ragazze che al tavolino spediscono baci e promettono “Ammore”.
È un posto così assurdo che non dovrebbe esistere nemmeno nell’angolo più sperduto nel pianeta. E invece è in Puglia, a pochi passi dalle spiagge dell’Andiamo
a comandare, dalle vetrine con i saldi, dai turisti che pagano 130 euro a testa per una cena. Dovrebbe essere periferia della periferia e invece siamo nell’ombelico dell’ombelico: la Puglia è il centro del turismo italiano 2016, e questo è il centro del centro, poiché Vieste, città record nelle presenze, è a meno di un’ora di auto. Un posto così dovrebbe essere nascosto, segreto, e invece ieri è arrivato persino a passeggiarci un ministro, il Guardasigilli Andrea Orlando, prima coraggiosa istituzione a entrarci, mentre i camion caricavano ragazzi come bestie accanto a uno che si faceva tagliare i capelli con una foto di Neymar come fosse uno specchio. Qualche settimana fa c’è stato un omicidio, pochi giorni prima era stato arrestato un italiano che gestiva un bordello all’interno del ghetto, spacciando droga. L’attività non è però chiusa: raccontano che una donna romena abbia preso in mano il business.
Non è possibile nemmeno intuire cosa sia il ghetto di Rignano Garganico, 15 chilometri fuori da Foggia, senza mai esserci andati. In realtà, per cercare di capirlo, non basta nemmeno visitarlo. Serve affidarsi a chi ci vive: Ibou, senegalese, è qui da cinque anni. Da chi è abitato? «Senegalesi, maliani, ragazzi del Togo. Le donne sono per lo più nigeriane». Che lavoro fanno? «Braccianti». Quanti sono? Ibou apre le braccia. Dalla questura parlano di 2.500 persone, «ma in questo periodo – dice un volontario della Caritas – sono quasi cinquemila». Chi comanda? «I capi neri. Ciascun paese ha un suo rappresentante», dice Ibrahim, ma sono i senegalesi a pesare di più. Quello dei “delegati” non è un dettaglio: si potrebbe facilmente pensare che, vista la situazione, ogni regola sia sospesa. E invece a Rignano le regole sono ferree. E le punizioni severe: chi sgarra non lavora. Dunque, muore.
Un sistema che funziona alla perfezione, tanto da essere invincibile. Da quindici anni questo è il punto di raccolta di tutti i braccianti africani che lavorano nelle campagne del foggiano. Quando mangiate pomodori o passata in Italia, negli Stati Uniti, in Australia, è quasi certo che siano passati per le mani di Ibrahim e dei suoi amici.
La Direzione distrettuale antimafia ha ricostruito regole e tariffe: chi arriva al ghetto accetta di non guadagnare mai meno di 5 euro per ogni cassone (per un totale di circa 35 euro per 8 ore di lavoro) come invece sono pronti a fare i concorrenti bulgari e romeni. Gli africani, a differenza degli europei, sono sindacalizzati e per questo negli anni sono volate botte, tante. I capi neri (ex “migranti semplici”, ora caporali) stabiliscono chi lavora e per chi. Il ghetto ha poi un suo tariffario: 25 euro per l’ingresso, 20-30 per l’alloggio in baracca, cinque per la ricarica del cellulare, cinque per ciascuno dei pasti che è possibile consumare all’interno di uno dei “ristoranti”. Cinque euro costa anche il trasporto sul luogo di lavoro. Ristoranti, trasporti, sembra tutto normale. Eppure è tutto incredibile: «Una città fantasma, una non città», dice Orlando, camminando per i viali. Ieri, dopo la riunione in Prefettura a Foggia, nella quale ha presentato la nuova legge sul caporalato che dovrebbe essere approvata entro la fine dell’anno, ha voluto fare un blitz nel ghetto, cogliendo di sorpresa tutti, persino le forze di polizia. È il primo uomo dello Stato a osare tanto.
Ministro, si può tollerare? «È inaccettabile, una non città fatta da lavoratori sfruttati», dice. «Per questo bisogna approvare subito la nuova legge». Michele Emiliano, il governatore, sono mesi che prova a sgomberarlo. Ma è difficile: perché ci vivono in tanti. Perché, quando ci era quasi riuscito, qualcuno ha incendiato metà delle baracche. E poi perché dietro alla città fantasma ruotano tanti, troppi interessi. Per quanto tutto sia al contrario, a Rignano, c’è una legge che scorre sempre nella stessa direzione: a rimetterci sono i migranti, a guadagnarci i caporali (africani), ma soprattutto i produttori. Pochi. Ricchissimi. E tutti italiani.