La Gazzetta dello Sport, 21 agosto 2016
Quelle sette squadre di mare che portano un’aria «spiaggiaiola» in quest’ambiente grigio e serioso
In mezzo alle portaerei, agli yacht e a qualche gommone spacciato per un fuoribordo, ci sono tre piccole caravelle che oggi prenderanno il largo. Con tutte le loro forze, vento permettendo, cercheranno di arrivare il prima possibile in quel porto chiamato salvezza che è l’approdo di ogni buon marinaio. Cagliari, Crotone, Pescara si aggiungono a Genoa, Sampdoria, Napoli e Palermo e formano la flotta marittima del campionato: sette squadre che portano un’aria «spiaggiaiola» in un ambiente fin troppo grigio e serioso. Non sarà una crociera di lusso, quella delle nuove arrivate, dovranno superare le bonacce, affrontare onde e tempeste: l’importante è che non dimentichino mai la lezione di Cristoforo Colombo che, a bordo di tre caravelle, scoprì l’America. L’avventura è tutta da scrivere. E da giocare.
CLIMA E SOLDI In Italia le squadre di mare non hanno raccolto molto nella lunga storia del campionato: 13 scudetti in tutto (9 il Genoa, 1 la Sampdoria, 2 il Napoli, 1 il Cagliari). Forse il clima da vacanza non aiuta o, più probabilmente, il misero bottino è dovuto al fatto che la Serie A difficilmente esce dal triangolo Juve-Milan-Inter. Più che una faccenda di clima o di posizione geografica si tratta, banalmente, di una questione economica. In Brasile, invece, dove il calcio è anche poesia e immaginazione, sulla sabbia è nato il più grande giocatore di tutti i tempi: Pelè. O Rei è cresciuto calcisticamente nel Santos, a Vila Belmiro, a due passi dall’oceano. Un dribbling in spiaggia, guardando il sole che finisce dentro il mare, è il principio della gloria. Tutto questo ben prima che cominciasse la moda del beach soccer.
SPIAGGIA E POESIA A Pescara la spiaggia e il calcio sono una cosa sola. L’allenatore Massimo Oddo ha portato spesso i giocatori a lavorare sulla sabbia: esercizi fisici e tecnici, con il pubblico a tifare e a urlare durante una partitella come se fosse la finale del campionato del mondo. Anche questo è un modo per avvicinare la gente, per azzerare la distanza che separa il popolo dai divi del pallone. E poi da quelle parti sono abituati a quelle che, in altre città, vengono considerate bizzarrie. Nell’autunno del 1887 Gabriele D’Annunzio, allora ventiquattrenne e non ancora riconosciuto Vate della poesia, scoprì il calcio proprio sulla spiaggia di Francavilla. Il suo amico Francesco Paolo Tosti, di ritorno dall’Inghilterra, aveva portato con sé un pallone e aveva organizzato una riunione poco letteraria e molto sportiva. D’Annunzio, al solito esagerato nelle parole e negli atteggiamenti, si esibì in improbabili palleggi e pericolosi dribbling: gli andò male perché il pallone ebbe uno strano rimbalzo, gli sbattè sulla faccia e il poeta si ruppe due denti. A Pescara si augurano che, oggi, contro il Napoli, nonostante sia una partenza con il vento contro, i ragazzi di Oddo sappiano fare meglio di quanto mostrò il Vate sulla spiaggia di Francavilla.
LAVORO IN ALLEGRIA Anche a Crotone hanno sperimentato gli allenamenti sulla sabbia. E quelle sedute sono servite a costruire l’impresa più bella: la promozione in Serie A. L’allora tecnico Ivan Juric, per allentare la tensione, un giorno di novembre decise di portare la squadra in spiaggia e di farla sgobbare davanti agli occhi increduli di un centinaio di persone. Schemi d’attacco e marcature preventive, prove di pressing e di raddoppi: tutto a due passi dal mare, e il pallone, qualche volta, finì pure in acqua. I giocatori, a fine allenamento, avevano volti felici e distesi: pareva non avessero lavorato. Fu una specie di giorno di vacanza che diede buoni frutti: il Crotone, quattro giorni dopo, pareggiò 1-1 in trasferta a Lanciano e proseguì la corsa verso la Serie A.
LUOGO DEI SOGNI Non è detto, dunque, che il mare abbia un eccessivo potere di distrazione sui giocatori. Semmai è un luogo dove andare per concentrarsi, per ritrovare energie, per dimenticare sconfitte e dolori. Il Cagliari dello scudetto del 1970, quello di Gigi Riva e di Manlio Scopigno, non si allenava in spiaggia, però sulla spiaggia ci andava quando doveva preparare le partite difficili. Il filosofo Scopigno amava passeggiare sul lungomare del Poetto, con l’immancabile sigaretta in bocca, e tra una boccata e l’altra rifletteva e pensava alla formazione da schierare la domenica successiva. E Gigi Riva, per staccare la spina, si rifugiava in casa del signor Martino, un pescatore che gli aveva insegnato a mangiare il pesce con le mani. «Nel piatto deve restare soltanto la lisca» gli diceva. E lui aveva imparato, lui che veniva da Leggiuno, provincia di Varese, sponda destra del Lago Maggiore, e in poco tempo seppe trasformarsi in uomo di mare. Quando voleva rilassarsi, andava giù alla Marina e si metteva a giocare con i bambini che, neanche a dirlo, indossavano tutti la maglia numero 11 del Cagliari. Il suono della risacca come dolce musica di sottofondo, lui prendeva il pallone e cominciava a spiegare come si doveva calciare, come si doveva stoppare, come si doveva dribblare. Il mare di Cagliari diventava il complice perfetto per la realizzazione di quella scena. In Piazza Duomo a Milano o sotto la Mole a Torino, avremmo mai potuto vedere Gigi Riva che insegnava calcio ai bambini? Questa è la magìa del mare.