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 2016  agosto 21 Domenica calendario

Gli amori del dottor Zivago, o meglio del suo autore

Boris Pasternak è conosciuto dai lettori italiani quasi esclusivamente per il suo unico romanzo, Il dottor Živago, che proprio in Italia fu pubblicato nel 1957 da Feltrinelli in prima edizione mondiale. Ma Pasternak è stato anche e soprattutto un poeta. Uno dei più importanti del Novecento non soltanto russo. Del resto, proprio i lettori del Dottor Živago sanno quanto la poesia è importante all’interno del romanzo e, insieme, quanto la passione amorosa risulta decisiva per la definizione del carattere e del destino del suo protagonista. Anche nel romanzo, insomma, amore e poesia fanno spesso e volentieri tutt’uno.
Al Pasternak poeta, e più in particolare al poeta d’amore, è dedicata ora un’antologia uscita a cura di Marilena Rea per l’editore Passigli, Anch’io ho conosciuto l’amore. Poesie 1913-1956. Si tratta dell’amore, dunque, probabilmente il più inevitabile ma anche il più arduo dei temi che sia dato affrontare in poesia. Viene subito in mente il nostro Saba, che indicava la rima «fiore»-«amore» come «la più antica e difficile del mondo». Antiche infatti quanto l’uomo sono sia il sentimento sia le parole più semplici e dirette chiamate a significarlo. Ma per questo anche difficili, più di altre a rischio di consunzione, appiattimento, grigiore, banalità.
Se il grande nemico dei poeti sono gli slogan, le frasi fatte, i luoghi comuni, lo saranno tanto più le formulazioni acquisite, i cliché stilistici di cui la poesia stessa risulta inevitabilmente portatrice. Da vero poeta Pasternak si mostra consapevole di tutto questo. In diverse poesie antologizzate torna il motivo del rapporto tra l’amore e la parola, come se si trattasse di una variante intensificata e particolarmente eloquente del rapporto tra la parola e la vita. Il poeta riconosce appieno la difficoltà e quasi l’impossibilità di rispecchiare l’uno nell’altra, di affermare la vitalità dell’amore attraverso la vitalità della parola. Il rischio di una lingua inadempiente, cioè che si tratti soltanto di «scarti di parole», si può dire che sia sotteso a ognuna di queste poesie.
Ma ciò accade proprio perché viene al contempo riconosciuta l’irresistibile propulsione espressiva della passione, la spinta a dire che deriva dal corpo, dalla figura, dai gesti, dall’«essenza» stessa della donna amata: «Bella mia, tutta la grazia,/ tutta l’essenza tua mi conquista,/ tutta smania di farsi musica/ e tutta invoca la sua rima». Di conseguenza, eccolo promettere: «Proverai che non sono un parolaio/ con la ricetta pronta per l’occasione».
Evidentemente, con l’amore ci si confronta nel più diretto dei modi con questioni fondamentali che riguardano il fare poetico in quanto tale. Che si tratti in ogni caso di una lotta contro la ripetizione, il conformismo (il «comfort»), l’uniformità, il perbenismo e l’ipocrisia dei costumi, la mortificazione promossa da chi vorrebbe rinchiudere la «vita», anzi, la «sorella vita», come Pasternak preferisce chiamarla, in una «tabacchiera», viene detto a tutte lettere. Al riguardo si può trovare anche un componimento che vale come un autentico manifesto degli intendimenti esistenziali e poetici che presiedono a queste poesie. Eccone la quartina iniziale: «Amore mio – che impressione! Quando ama un poeta/ è un dio disadattato che s’innamora./ E il caos torna a strisciare nel mondo/ come ai tempi della genesi».
Forse col limite di essere troppo esplicita, questa poesia dice comunque molto del particolare modo poetico che Pasternak si è dato. Di contro all’esteriorità del culto, alla correttezza delle pratiche sociali, alla cultura stessa intesa come costruzione normativa, l’amore stabilisce infatti un filo diretto con l’energia, i rivolgimenti, lo scompiglio delle forze naturali. Il «caos della natura», così viene chiamato. Ed è lì che il poeta innamorato guarda, è da quella forza primaria che attinge la sua parola.
Pasternak, il Pasternak delle poesie d’amore è non a caso un poeta della natura. In queste poesie dire l’amore e dire la natura è la stessa cosa. Non si trova in pratica una formulazione che non sia legata alle piante, ai fiori, agli elementi, all’atmosfera, alla notte, al gelo, alle stelle, ai risvegli nelle fredde primavere russe. Il linguaggio e le metafore della natura, le immagini dell’energia intrinseca alla vita stessa, sono qui, alla lettera, il linguaggio dell’amore e della sua poesia: «E i giardini, gli acquitrini, i recinti,/ e il cosmo che ribolle di bianche/ grida – sono solo gradi della passione,/ accumulata nel cuore di un uomo».
Direi anzi che proprio la correlazione continua istituita tra il particolare, il regno del minimo e della minuzia apparente («L’onnipotente dio dei dettagli,/ l’onnipotente dio dell’amore»), e il movimento cosmico, l’apertura – una parola decisiva, che infatti ritorna più volte – atmosferica, il credito concesso alla vita tutta, costituisca il tratto più forte e veramente distintivo di queste poesie d’amore. Ogni cosa respira, si muove, vive. C’è come un’esultanza, un’intensità, una sostenutezza delle attese e, appunto, un’apertura del sentire, che di per sé dice di un orizzonte fuori dall’ordinario. Eppure non bisognerà pensare a una poesia dettata dall’abbandono sensuale.
Non è quella di Pasternak una vocazione metamorfica, intesa a favorire l’imprendibilità, l’indeterminatezza dell’onda musicale rispetto alla nettezza dell’immagine e alle distinzioni del pensiero (al riguardo, come non pensare al nostro D’Annunzio di Alcyone ). Nei suoi versi partecipazione e distacco, passione e consapevolezza, naturalezza e artificio, appaiono anzi quanto mai equilibrati. Lo stesso metro impiegato per tutte le poesie, la quartina variamente rimata, ricca di assonanze, dislivelli, asimmetrie e rispecchiamenti interni che Pasternak mette a frutto al meglio delle sue possibilità (si tratta del metro principe del Novecento poetico russo), di per sé sembrerebbe impedire una condiscendenza eccessiva verso una materia così traboccante e, almeno in apparenza, estranea a qualsiasi regolamentazione.
Pasternak è infatti un poeta dell’amore che resta fino all’ultimo anche un poeta della conoscenza. «E il segreto del tuo fascino/ equivale a decifrare la vita», scrive. Più che sul manifestarsi del sentimento in sé, la sorpresa non a caso va costantemente agli effetti della costellazione d’amore, vale a dire al rimettersi in moto, al farsi visibile, al rinnovarsi della vita tutta. Se il cuore, se l’amore – come Pasternak sembra dire – è la vera rivoluzione, la poesia è la consapevolezza del suo mistero e, insieme, della sua irrinunciabilità.