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 2016  agosto 21 Domenica calendario

I baby boomers soffrono della crisi di mezza età

«Qual era lo spirito della nostra generazione?», si chiede Eva in Invincible summer (Picador), romanzo d’esordio di Alice Adams appena uscito in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, che segue un gruppo di amici per vent’anni dal primo incontro nel 1994, tra carriere infrante ed esistenze bohémienne. «Ce ne fregava, ma non abbastanza», è la risposta.
La Generazione X è entrata nella mezza età, e ha un sacco da lagnarsi. I nati fra il 1965 e il 1980 (ma altri studi ne riducono l’intervallo a 13 anni), schiacciati fra due classi vastissime: i baby boomer e i millennial. È già passato un quarto di secolo dal Decameron postmoderno di Douglas Coupland ( Generazione X, Mondadori, 1992) sul gruppo di ventenni della Coachella Valley che sciupa la vita a bere. Sovraistruiti, sottoimpiegati e sgomenti. Lo stesso anno sul grande schermo uscirà Slacker, che ne ritrae la perversione di interrogarsi sui massimi sistemi. Ma anche S mells like teen spirit dei Nirvana, canzone-manifesto grunge. Tanti poster per una generazione di passaggio. Di lavativi nichilisti, con sense of humor e riferimenti da Proust a Tarantino, che hanno abdicato alla propria intelligenza. E ora, a cinquant’anni, per dirla con uno di loro, «sono fo**uti» (Bret Easton Ellis, Imperial bedrooms, Einaudi, 2010).
Se ne occupa Jonathan Safran Foer nel nuovo romanzo Eccomi (Guanda, in uscita il 29 agosto). Che volendo scrivere della crisi dell’ebreo americano contemporaneo, ha scritto, anche, della crisi di mezza età degli X. La sua. Jacob Bloch è uno sceneggiatore frustrato con una serie autoreferenziale mai prodotta nel cassetto. Il suo matrimonio è in crisi, e di straforo manda sms sconci a una collega. «Continuerò a farti venire finché non m’implori di smettere», le scrive, mentre a casa, dove la moglie non ne vuol sapere, piagnucola: «Sono più piccolo della vita». Cresciuti quando tutto sembrava andare a pezzi – la crisi energetica, l’Aids, la recessione – gli X sono i figli del divorzio, parcheggiati davanti alla tv da genitori ossessionati dal lavoro («Quando si sono separati i tuoi?», chiede Susan Gregory Thomas nel memoir In spite of everything, 2011, perché un sacco di Gen X ha già scritto l’autobiografia).
Lo scoppio della bolla dotcom quando stavano per fare carriera, di quella immobiliare quando avevano iniziato a sistemarsi. La vita come un triage ospedaliero. E quindi eccoli scettici, sprezzanti. Sarà che molte voci di questa generazione si sono spente. Per una Winona Ryder ( Giovani, carini e disoccupati, film del 1994) che dopo vari passi falsi torna in tv a 44 anni nella serie cult della stagione, tanti non ce l’hanno fatta. David Foster Wallace, Kurt Cobain. Certo, Dave Eggers continua a scrivere. Il suo Ologramma per il re (Mondadori, 2013), con un imprenditore fallito che intraprende un viaggio nel deserto per salvarsi, ricorda la ricerca di bussola di Coupland, e oggi sbarca al cinema. Ma anche lui, come tanti artisti e pensatori X, dopo la promessa de L’opera struggente di un formidabile genio (Mondadori, 2001) ha fatto un passo indietro, creandosi una nicchia d’individualismo. Di contro, intellettuali delle generazioni precedenti come Gore Vidal e Susan Sontag sono sempre stati in prima linea, ad animare le discussioni culturali e sociopolitiche.
Il primo a intercettare la crisi di mezza età dei suoi coetanei è Sam Lipsyte in Chiedi e ti sarà tolto (minimum fax, 2011). Dove Milo Burke, artista incompreso con un impiego da cui verrà licenziato per incapacità, è immerso nelle sue ruminazioni. «Eravamo incastrati», dice, cercando di mascherare il proprio disorientamento con distacco intellò. «La caduta dell’Urss, l’avvento del marketing aggressivo dei nachos, triangolini di farina di mais. Non avremo combattuto i nazisti, ma i privilegiati della nostra generazione hanno fatto ciò che hanno potuto». Altro che eroi: è un manifesto di sfiga, e Milo un generatore automatico di scuse.
Per le generazioni precedenti, che avevano rinunciato presto alla libertà per sistemarsi, la crisi di mezza età è stata la ricerca di veicoli per sentirsi giovani. L’auto sportiva, la rock band. Ma come può una schiatta il cui marchio di fabbrica è il rifiuto di crescere avere una crisi di mezza età? Non a caso, mentre celebriamo con fanfara ogni tappa dei boomer, nessuno si è accorto che i Gen X avessero compiuto cinquant’anni. Chiedi e ti sarà tolto è un romanzo esilarante. In Imperial bedrooms di Bret Easton Ellis, dove i vagabondi sociopatici di Meno di zero (Pironti, 1986) sono ancora tali ma ormai quarantenni, c’è ben poco da ridere. Sin dalle prime pagine, il romanzo trasmette la nullità di Clay. Immortalato nel manoscritto di un amico quand’era giovane, dannato e trendy, ma che 25 anni dopo è solo uno sceneggiatore mediocre: un masochista sadico, che beve e si droga per esorcizzare la paura. «Su di noi avevano fatto un film», dice Clay, e sembra un testamento. Perché Milo, Clay e gli X sono intrappolati in una fase precedente della vita per niente leggendaria, cui segue il rimpianto per il talento sprecato. Milo voleva essere il più grande pittore del suo tempo: ha rinunciato; Roger, misogino protagonista di Greenberg (2010), film sulla mezza età degli X che nessun X ha visto, tentenna su un contratto discografico, perdendo ogni speranza di successo. «Se fossi il protagonista di un libro – fa Milo al suo ex capo – difficilmente piacerei, difficilmente s’identificherebbero con me, vero?». La risposta è devastante: «Non leggerei mai un libro del genere, e non riesco a immaginare chi potrebbe farlo».
Guardacaso è ciò che molti hanno pensato di Chiedi e ti sarà tolto. Quando il critico del «New York Times» A. O. Scott lo recensì, a due mesi dall’uscita, notò che aveva venduto solo 7 mila copie. «Deludente? Certo. La nostra generazione non accetterebbe altro». Chissenefrega del mutuo da pagare: il rifiuto dei Gen X per tutto ciò che è commerciale dà loro sicurezza. Successo è celebrare il proprio fallimento. Come in Nel mondo a venire di Ben Lerner (Sellerio, 2015), su un mediocre scrittore ipocondriaco alle prese con il secondo romanzo, lo spettro di una malattia e di una paternità. Che sottolinea un’altra ossessione dei Gen X: generalizzare un’esperienza individuale (e non a caso moltissimi sono scrittori e sceneggiatori). Su cui metteva in guardia già David Foster Wallace, che alla pubblicazione di Infinite Jest (Fandango, traduzione di Edoardo Nesi, uscito negli Usa nel 1996) contestava il «goffo tentativo di fare dei Gen X comunità, quando la difficoltà della generazione è proprio l’atomismo, la mancanza di valori e ideali condivisi».
E le donne? In un filone soprattutto maschile, svetta I l tempo è un bastardo di Jennifer Egan (minimum fax, 2011). Collezione di racconti, Pulitzer per la narrativa, che fotografa una sottocultura invecchiata malissimo: quella della disco. Dove Sasha, come Winona, ruba non perché abbia bisogno di soldi ma perché la fa sentire viva. E frequenta sì una psicoterapeuta, ma guarire dalla compulsione (crescere, cioè) è prospettiva tutt’altro che felice. «Stanno scrivendo una storia di nuovi inizi e seconde chance. Ma in quella direzione c’è solo disperazione».
Diceva la celebre psicologa Alice Miller che chi nell’infanzia subisce ferite come quelle dei Gen X si comporta, anche vent’anni dopo, come fossero aperte, come i soldati giapponesi che continuano a combattere nella giungla. Altri, come Neal Pollack, un tempo sodale di Eggers, si danno allo yoga, si trasferiscono in Alaska come Josie nel nuovo libro di quest’ultimo ( Heroes of the frontier, Knopf). E se nessuno di questi romanzi alla fine soddisfa davvero, va bene così. La Generazione X è in crisi nera e Winona non ci può salvare.