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 2016  agosto 21 Domenica calendario

Per eliminare la corruzione dagli appalti il governo ha deciso di eliminare direttamente gli appalti

Il metodo è stato efficace, per quanto bizzarro. Per eliminare la corruzione dagli appalti il governo ha deciso di eliminare direttamente gli appalti. Già, perché da quando il nuovo Codice dei contratti è entrato in vigore, con squilli di tromba e sbandieramenti, i lavori si sono praticamente fermati. A sostenerlo è la stessa Autorità nazionale anticorruzione (Anac), che non può davvero essere accusata di voler boicottare il provvedimento visto che gran parte dell’impianto normativo ruota intorno al suo ruolo. I dati sul primo semestre 2016 parlano chiaro. Dal primo gennaio al 18 aprile, data di entrata in vigore del Codice degli appalti, i lavori in Italia sono stati 7.573 per un controvalore di 4,485 milioni di euro. Qui già si evidenzia un calo significativo del 16% (per quanto riguarda il numero) e del 33% (per quanto riguarda il valore) rispetto allo stesso periodo del 2015. Calo che secondo l’Anac è dovuto principalmente ad alcune modifiche normative precedenti, in particolare alla modifica dell’art. 33 del previgente Codice effettuata in più fasi nel 2014 e nel 2015, che ha imposto la riduzione delle stazioni appaltanti obbligando i comuni ad aggregarsi attraverso accordi consortili o a ricorrere alla Consip. L’impatto del nuovo Codice è però devastante. Dal 19 aprile al 30 giugno i lavori crollano del 52% sul numero e del 62% sul valore. Un decremento di oltre la metà rispetto allo stesso periodo del 2015. L’Anac ammette l’effetto negativo delle nuove norme. «Dall’entrata in vigore delle nuovo Codice dei contratti», si legge nel documento diffuso lo scorso luglio, «il settore di servizi e forniture ha subito l’impatto delle nuove norme, scaturito per lo più dalla necessità per le stazioni appaltanti di adeguare la documentazione di gara alle nuove disposizioni del Codice, oltre che alle nuove procedure di gara ed ai criteri di aggiudicazione».
Ma Cantone è ottimista. A suo giudizio la deflagrazione della bomba scagliata dal governo sui lavori pubblici «sembra mostrare segni di attenuazione». Infatti per ciascuna fascia di importo «la riduzione sembra affievolirsi tra i primi 40 giorni dopo l’entrata in vigore del Codice ed i successivi 30 giorni». In realtà, come testimoniano quei «sembra» disseminati nell’analisi, neanche il super commissario anticorruzione è troppo convinto di quello che dice. I segnali che arrivano dai Comuni, del resto, non promettono nulla di buono. Tranne la Firenze di Dario Nardella, pupillo di Matteo Renzi, che a giugno ha annunciato con orgoglio di essere stato il primo ad utilizzare le nuove norme, gli altri sono tutti in stand by. A Milano il Direttore centrale opere pubbliche e Centrale Unica appalti, Antonella Fabiano, ha dichiarato fuori dai denti che il nuovo Codice «è stata una rivoluzione» che ha messo «in crisi» il Comune, al punto da dover «bloccare tutte le gare». «Se abbiamo avuto difficoltà noi che siamo una stazione appaltante ben strutturata», ha chiosato, «mi immagino gli altri». Stesso discorso per l’Enac, il grande ente nazionale che controlla l’aviazione civile. Anche qui è tutto fermo. «La presenza del nuovo regime normativo», si legge in una nota diffusa prima dell’estate, «ha posto l’Enac nella condizione di dover sospendere l’avvio di nuove procedure di gara sia per l’affidamento delle concessioni aeroportuali di gestione totale, sia per l’affidamento degli aeroporti demaniali di sola aviazione generale». Un vero e proprio urlo di dolore è invece quello arrivato da Vincenzo De Luca. «La nuova normativa», ha tuonato il governatore della Campania, «è un modo per paralizzare l’Italia. Mi auguro con tutto il cuore che il Codice sia rivisto e modificato». Nel mirino di De Luca c’è principalmente la parte che prevede che vengano presentati progetti già esecutivi. In questo modo, ha spiegato, «per un’opera da venti milioni il progetto costerebbe due milioni e nessun soggetto pubblico o privato può investirli senza certezza di avere l’appalto». Oltre alla inadeguatezza e farraginosità delle disposizioni, criticate a più riprese dalla Corte dei conti e contestate da gran parte delle categorie imprenditoriali, a paralizzare gli appalti c’è anche il vuoto normativo.
Per la piena applicazione del Codice sono infatti necessari una serie di interventi attuativi di cui allo stato, ovviamente, ancora non c’è traccia. L’unico provvedimento emanato ad oltre 4 mesi dall’entrata in vigore del Codice è un decreto ministeriale sui parametri da porre a base delle gare di progettazione. Testo che ha richiesto poca fatica, essendo una sorta di copia e incolla di un previgente decreto ministeriale. Nel dettaglio, mancano ancora all’appello, malgrado le scadenze siano ampiamente superate, 3 decreti del ministero delle Infrastrutture e 3 decreti del presidente del Consiglio dei ministri. Devono poi ancora completare l’iter altri 7 provvedimenti affidati all’Anac, quasi tutti impantanati tra Camera e Senato. Per la piena attuazione delle riforma serve tempo e il denaro continua a non girare. E anche se il 2015 ha invertito la rotta – con un più 0,8% pari a un incremento di 2,1 miliardi sull’anno precedente – la crisi ha lasciato sul campo, dal 2007, quasi 110 miliardi di investimenti, passati da 368,6 miliardi ai 258,8 dello scorso anno. Cioè – 29,8%. Secondo la Cgia di Mestre «nessun altro indicatore economico ha «registrato una contrazione percentuale così importante».