Il Sole 24 Ore, 21 agosto 2016
Olimpiadi, il miracolo di Grenada. L’isola del mar dei Caraibi è prima nel rapporto vittorie-Pil
Medagliere, medagliere delle mie brame chi è il più forte del reame? La classifica ufficiale dei Paesi che a Rio hanno conquistato gloria e onore dice che gli Usa sono più corazzata che mai.
Ma il medagliere è un gioco ad incastri che svela storie di sport e di vita, basta rimescolare i numeri. È quello che abbiamo provato a fare mettendo a confronto il totale ponderato delle medaglie con gli abitanti e con il Pil per trovare altre storie. E così Grenada, isola da 100mila abitanti persa nel blu del mar dei Caraibi, si ritrova in vetta: l’argento nei 400 di “The jaguar” James Kirani, 23 anni di reggae e allenamenti in Alabama, fa sì che possa contare su un rapporto migliore fra vittorie e Pil. Il Paese, un paradiso fiscale che vive di agricoltura e spiagge, ha un Pil di spiccioli e quell’unica medaglia – era stata oro a Londra – basta per un’altra vittoria. Poi viene la Giamaica stellare di Bolt e la piccola Corea del Nord. Il Paese, una roccaforte di isolazionismo e dittatura, accoglierà le sette medaglie di Rio come si conviene agli eroi dello sport e della patria, anche se la tristezza del ginnasta Ri Se-gwang, oro nel volteggio maschile, ha fotografato meglio di altro un regime di fame e buio.
Grenada e Giamaica condividono con le Bahamas anche la graduatoria che confronta il totale ponderato delle medaglie con gli abitanti e che vede in coda, come quasi sempre, l’India. Due medaglie (badminton e lotta) a poche gare dalla chiusura dei Giochi non bastano per evitare la maglia nera di popolo meno sportivo del pianeta, ma d’altra parte, in India, si gioca solo a cricket. E per ora di mazza, palle e guantoni al Cio non s’è parlato.
Ci saranno cinque nuovi sport a Tokyo ma oggi i cinque cerchi sono a stelle e strisce con oltre 100 ori Usa e la Gran Bretagna è seconda, sull’onda degli investimenti fatti per costruire una squadra competitiva a Londra 2012. Ma la notizia del medagliere è la Cina terza. Dopo il record di Pechino 2008, l’Olimpiade di casa per mostrare i muscoli e fare show di medaglie (100), il dragone ha rallentato, come l’economia: 89 medaglie a Londra e appena sopra le sessanta finora a Rio. Musi lunghi nelle segrete stanze del partito comunista, qualche cedimento degli atleti: il tuffatore Qin Kai in diretta tv chiede la mano della compagna He Zi, appena premiata nel trampolino, la nuotatrice cinese Fu Yuanhui, dopo le facce buffe, ai microfoni tv ammette di aver nuotato con le mestruazioni. È una Cina con più uomini e meno robot, ha perso le medaglie della ginnastica, del sollevamento pesi, del tiro, eppure continuano gli investimenti da 1 miliardo di dollari all’anno nei 51mila centri statali diffusi fino alle più remote province del Paese, anche se Pechino, dopo aver conquistato il mondo dei Giochi con oltre 400mila bambini addestrati a costo di violare i diritti umani, per affermare la propria supremazia, punta al calcio, come dimostrano i magnati con gli occhi a mandorla planati sui club europei, Milan in testa, e come certificano le migliaia di scuole calcio aperte ovunque in vista del sogno mondiale del 2026.
La Germania sopravanza la Russia, azzoppata dalle squalifiche per doping, con tanti nuovi Paesi arrivati alla gloria olimpica per la prima volta: c’è l’oro, tutto orgoglio e patriottismo, vinto dalla judoka Majlinda Kelmendi per il Kosovo, quello delle Fiji nel rugby a sette, di Porto Rico e del Vietnam con il colonnello Xuan Vinh Hoang nel tiro a segno.
Poi ci sono le squadre che rubano la scena con un unico atleta, è il caso della Giamaica di Bolt, signore della velocità a 30 anni e alla terza, storica tripletta in tre Giochi, e quelle in vetta grazie donne: Ungheria, Olanda e Danimarca. Lo sport sa prendere in contropiede la storia.