la Repubblica, 21 agosto 2016
Il gender sbarca a Hollywood
Da un po’ di tempo, alcuni prodotti hollywoodiani di largo consumo provano a inserire dei piccoli aggiornamenti in materia di gender. Personaggi che alludono a qualche scantonamento dalle norme eterosessuali vigenti, e dalle rappresentazioni consentite dell’omosessualità (l’amico gay della protagonista delle commedie, il supercattivo dai tratti “ambigui”). Il supereroe Deadpool del film omonimo fa più di un’allusione alla propria bisessualità, e una delle protagoniste del remake al femminile di Ghostbusters (KateMacKinnon) mostra atteggiamenti da lesbica tomboy. In realtà, però, si tratta appena di allusioni, e altri esempi ne danno conferma. Nell’ultimo Star Trek il timoniere Sulu fa coming out, e c’era anche un bacio col suo partner, che però è stato tagliato all’ultimo momento. Come l’altro bacio tra il cattivo di Tarzan, Christoph Waltz, e l’uomo scimmia. Come ai tempi di Cinema Paradiso? Anche nel nuovo Indipendence Day c’è un personaggio gay segnalato, sullo schermo, solo da parche allusioni e uno sfioramento di mani.
Due articoli del Guardian, qualche giorno fa, hanno appunto preso spunto dagli esempi citati. Gli autori imputano la timidezza di queste sortite da un lato all’età avanzata del pubblico cinematografico (ma in realtà questi film sembrano rivolti molto ai giovani) e dall’altro alla globalizzazione del mercato, che impone di muoversi con cautela per non urtare la suscettibilità dei vari paesi: l’esempio che si fa, ovviamente, è quello della Cina.
Eppure, soffermarsi sul singolo caso, se permette di tastare il polso dell’evoluzione dei costumi, rischia di risultare limitante. L’opportunità vera sarebbe che la ragionevole battaglia per un aggiornamento dei personaggi non fosse solo un aggiornamento del tipo di personaggi che possono apparire sullo schermo, col rischio di diventare un paradossale ampliamento della normalizzazione. Insomma che si inseriscano piccole quote LGBT in trame conformiste e in un ambito del visibile comunque ristretto. La lezione di certo grande cinema americano è stata proprio quella di un sabotaggio dall’interno dei ruoli sessuali, di individuare i punti deboli e le contraddizioni, a costo di scandalizzare non solo i conservatori ma anche i progressisti. Nella Hollywood del codice Hays, i registi sabotavano il sistema giocando con i ruoli sessuali. Il macho Howard Hawks ne faceva passare di tutti i colori al povero Cary Grant, da Susanna a Ero uno sposo di guerra. I mélo di Douglas Sirk facevano negli anni ’50 un sottile lavoro sulle contraddizioni delle famiglie americane, alle prese con il colore della pelle, le nuove generazioni, la repressione sessuale e le differenze di classe. Non a caso sono diventati il modello di Fassbinder e dei recenti, eleganti, struggenti remake di Todd Haynes ( Lontano dal Paradiso, Carol). E come dimenticare uno dei finali più belli e rivoluzionari della storia di Hollywood, il «Nessuno è perfetto» di A qualcuno piace caldo, detto a Jack Lemmon travestito? Negli anni ’70, pareva che certi temi e un certo rapporto adulto con lo spettatore fossero dati per acquisiti.
Guardiamo invece al panorama odierno. Il cinema mainstream in molti suoi autori (Spielberg è stato in questo un precursore) innalzano la bandiera di un familismo strenuo e tetragono, anche in prodotti avvertiti, come i cartoni Pixar o la serie
L’era glaciale. La famiglia è nel cinema una presenza visiva abbastanza rigida, con una funzione in fondo sempre conservatrice. Dall’altro lato, il politicamente scorretto si manifesta soprattutto nell’angosciato revanscismo, spesso tutt’altro che stupido, delle commedie di Judd Apatow ( 40 anni vergine eccetera). Lì si parla ossessivamente di sesso, ma esclusivamente in una chiave, un po’ goliardica un po’ malinconica, di quarantenni in crisi. Insomma, è come se il discorso sui gender e sul femminismo venisse assunto come nuovo conformismo, e la vera provocazione fosse un ritorno ironico del maschilismo e della norma eterosessuale.
Pochi sono i film che turbano l’ordine, che inseriscono qualche elemento che possa spiazzare anche per un attimo le certezze dello spettatore: insomma messe in discussione tragiche, comiche, esplosive. Uno dei film politicamente più sorprendenti degli ultimi tempi era forse
Mad Max: Fury Road, con la sua comune di donne post-post-femministe (e post- ecologiste e post-umane). E lì sì, c’era un ribaltamento di ruoli sessuali, del carattere passivo e attivo dei personaggi, a un livello profondo di costruzione della storia e dell’immaginario. Certo, il camp e addirittura certe istanze queer, da linguaggio cifrato, sono diventati una ricchezza per il cinema tutto, una strada di non ritorno nell’uso della cultura pop. Ma oggi sarebbe difficile fare film come The Rocky Horror Picture Show o, dall’altro lato, Conoscenza carnale, e anche la leva di esordienti come Gus Van Sant e Todd Haynes sembra lontanissima. Insomma, se è vero che un bacio gay sullo schermo può fare ancora scandalo, è in generale la sfera della sessualità e dell’erotismo nel complesso a venir bandita dal cinema
mainstream (la presenza di un nudo o di sesso spinto segnala ormai delle ambizioni d’autore, e dunque un pubblico più ristretto). Combattere questo conformismo del visibile solo dal punto di vista della rappresentazione corretta o della percentuale di personaggi LGBT rappresentati in maniera accettabile rischia di risultare inefficace, di perdere di vista il quadro generale.
Abbastanza curioso è poi il recente gender- swapping, ossia l’inversione di ruoli in alcuni film di successo. Dopo Ghostbusters, c’è la fresca notizia di un Oceans’ Eight con Rihanna, Anne Hathaway, Cate Blanchett, Sondra Bullock eccetera. Nel prossimo remake di Splash, una sirena a Manhattan il ruolo della sirena Daryl Hannah sarà affidato a Channing Tatum (già spogliarellista in Magic Mike, e ballerino in Ave, Cesare! dei Coen). Chris Hemsworth in Ghostbusters interpreta un uomo-oggetto, una versione maschile della segretaria “oca bionda” nelle commedie hollywoodiane. Ed è la cosa migliore del film. La femminilizzazione dei ruoli maschili, in effetti, sembra più curiosa del contrario, che suona a volte come una vittoria di Pirro, se è vero che il cinema hollywoodiano è una struttura eminentemente maschile. Scelte intelligenti da parte di attori aitanti, che prediligono la carta dell’ironia per uscire dal ruolo. Operazioni che funzionano anche perché sono eccezioni che sovvertono la regola, giocano con lo stereotipo rischiando di confermarlo. Ma forse danno indirettamente un’indicazione. Il lavoro sui codici, sulle forme più o meno coscienti di rappresentazione e auto- rappresentazione può essere un gioco serio, oltreché divertente. Perché i media non sono solo un luogo di rispecchiamento, ma di costruzione delle identità sessuali.