Corriere della Sera, 21 agosto 2016
«O facciamo la storia, o la storia ci distruggerà». Intervista a George Papandreou, ex premier di Atene
Pochi in questi anni hanno vissuto l’Europa con l’intensità di George Papandreou. Era appena stato eletto alla guida del governo greco, nel 2009, quando capì che i bilanci lasciati dal suo predecessore Costas Karamanlis erano semplicemente falsi. Iniziava così il percorso tormentato che ha condotto l’area euro fino a qui. Oggi Papandreou, 64 anni, presidente dell’Internazionale socialista ed ex premier di Atene, non ha dubbi sul pericolo che farà da sfondo all’incontro di domani fra Angela Merkel, François Hollande e Matteo Renzi a Ventotene. «La Ue è al limite della frammentazione – dice —. O facciamo la storia, o la storia ci distruggerà».
L’incontro fra i leader di Francia, Germania e Italia darà un contributo a rafforzare la Ue, oppure è solo un gesto di mutuo sostegno politico fra loro tre?
«Spero vada al di là delle pubbliche relazioni e diventi un momento di riflessione più profonda sul futuro dell’Europa, ma anche una chiamata all’azione. Il Manifesto di Ventotene fu scritto in prigionia non solo come un progetto di pace; Altiero Spinelli e gli altri autori vedevano nell’Europa una forza per l’umanità, un modello e un patto sociale. Il suo spirito di solidarietà, unità e rispetto per tutti resta vitale. Non dimentichiamolo oggi di fronte alla retorica nazionalista, alla ricerca costante di capri espiatori, alle accuse reciproche».
Due anni fa lei disse che la Ue doveva integrarsi di più, o perseguire uno smantellamento organizzato. Da allora tutto è diventato ancora più difficile. Siamo al limite dello smantellamento?
«Ci siamo. Siamo al limite di un’ulteriore frammentazione dell’Unione, ma non so se uno smantellamento organizzato sia possibile. La prospettiva è di guardare a un’ulteriore integrazione, che significa non semplicemente dare più potere a Bruxelles ma darne ai cittadini europei. Dobbiamo democratizzare l’Unione e darci nuovi progetti oltre la moneta: investimenti comuni nell’energia, nelle telecomunicazioni, in uno sviluppo sostenibile per l’ambiente. Sarebbero anche uno stimolo all’economia».
L’idea di investimenti comuni europei non piace in Germania.
«A chi si oppone dico: con tassi zero o negativi, il momento per l’Europa di finanziarsi e preparare il futuro è ora. Viviamo ancora con le infrastrutture della guerra fredda».
Molti politici tedeschi temono che questi siano solo stratagemmi dell’Europa del Sud per mettere le mani sul denaro dei loro contribuenti. Che ne pensa?
«È una visione molto limitata, sempre lo stesso sospetto. Superiamolo con un monitoraggio molto più stringente. Avendo affrontato un programma di aggiustamento, soprattutto di austerità, sono convinto che abbiamo bisogno di riforme. Ma delle riforme giuste. I problemi più profondi in Europa del Sud riguardano le strutture di governo, il deficit e il debito ne sono solo il sintomo. L’austerità non li risolverà mai».
Il finanziere George Soros sostiene che l’Italia è l’anello debole dell’euro. Condivide?
«L’Italia e la Grecia hanno molte differenze. L’Italia ha una base industriale molto forte e un’economia diversificata. Ma abbiamo anche somiglianze: l’inefficienza delle amministrazioni, il capitalismo di relazione, i cacciatori di rendite, i profittatori, il clientelismo. Tutto ciò mina la produttività, la trasparenza, la capacità di governo. Come Paesi abbiamo i nostri problemi e le nostre responsabilità. Ma la soluzione è di guardare ai problemi specifici dei nostri Paesi e anche all’architettura europea. Credo che l’Italia non sarebbe l’anello debole se la Ue avesse spinto per più riforme che austerità e se avesse seguito il consiglio di Mario Draghi».
Quale consiglio del presidente della Banca centrale europea?
«Andare verso uno stimolo di bilancio nella Ue. In molti sensi la Germania è diventata la più forte e influente nel nostro club, ma è anche l’anello debole quando nega che nell’area euro molto deve cambiare. Negare l’esigenza di progetti d’investimento, di procedure di finanziamento comune come l’eurobond e di completare l’unione bancaria con forme di assicurazione comune rende la Germania, in definitiva, il vero anello debole».