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 2016  agosto 19 Venerdì calendario

Quanti olimpionici italiani hanno una laurea?

Goodbye America. Il modello dei college sforna medaglie, ma anche in Italia abbiamo iniziato a fabbricare campioni che alla specialità olimpica uniscono quella universitaria. Dovrebbe pensarci il Cio a un medagliere delle lauree che certifichi il sano intrecciarsi di sport, vita e studio. E in quella particolare graduatoria faremmo bella figura. La squadra italiana di Rio è fortissima: su 314 atleti qualificati, 41 hanno una laurea. Si tratta del 13% del totale, percentuale alta se la si confronta, ad esempio, con il 23,9% degli italiani compresi fra 30 e 34 anni che hanno un titolo di studio universitario, occupando l’ultima posizione nella Ue.
Nella squadra azzurra ci sono laureati in economia, ingegneria, architettura, scienze politiche, musica; lo sport con la percentuale più alta di laureati è l’atletica (dieci azzurri su 38). Sono traguardi conquistati incastrando allenamento, aule, studio e viaggi in giro per il mondo. Sforzi che rendono gli atleti più completi e pronti ad affrontare la vita, una volta lasciato il barnum dello sport.
Questo meccanismo sembra meno oliato nel nostro sport più popolare, il calcio. In Serie A il laureato è merce rara: Giorgio Chiellini, l’avvocato Gugliemo Stendardo, che per l’esame di procuratore saltò una partita facendo infuriare il suo tecnico, Roberto Colombo, Simone Romagnoli e pochi altri. Un deserto con ovvie ricadute sulle vite di quei calciatori che non riescono a riciclarsi nel loro mondo con i soliti ruoli da ex.
Il modello americano dei college, che integra sport e studio in un’unica vita e che tante medaglie ha fruttato al team Usa e ad altre squadre, non si è mai radicato in Italia. Vista la dispersione scolastica e le vite traumatiche nel post-carriera, le istituzioni dello sport sono al lavoro. Il modello Juventus, con il suo liceo a Vinovo, ha fatto da apripista, altri club lo hanno clonato e a inizio settembre parte un progetto del ministero dell’Istruzione, in collaborazione con Lega Calcio Serie A e Coni. Con Websport 3.60, coordinato a livello scientifico da Marta Serrano, protagonista in passato dell’avventura juventina, gli studenti-calciatori di A potranno apprendere grazie a una piattaforma web. In qualsiasi città vivano, sulla piattaforma troveranno lezioni, esercizi, verifiche, e potranno sostituire il 25% delle ore in classe con il materiale web, avendo anche due tutor. A settembre parte la sperimentazione con il calcio, dal prossimo anno scolastico il programma sarà esteso agli studenti-atleti di tutte le discipline sportive: «La piattaforma – spiega Serrano – offre agli atleti una base comune e la scuola si adegua al ritmo degli impegni sportivi, ricalcando il modello Usa del college».
Dalla scuola al lavoro: è appena partito “La nuova stagione”, progetto da 5,14 milioni sviluppato da Coni e ministero del Lavoro, per l’inserimento degli atleti nel lavoro, a fine carriera sportiva. Sempre sul post attività agonistica interviene il piano EduCare Sport di Bnl, insieme con il Coni, per la formazione degli atleti che cercano una vita lavorativa.
La strada è lunga, ma questi programmi dimostrano che il problema è chiaro a chi governa lo sport. Non basta la volontà dei singoli: serve un sistema Paese anche per far convivere sport e studio: i risultati scolastici si vedranno fra un po’, ma per arrivare da qualche parte si deve pur partire. E lo sport italiano si è messo in cammino, ammirando quei 41 azzurri di Rio con la corona di alloro sul capo.