Libero, 19 agosto 2016
Un tedesco su 40 è nato in provetta
Sempre più tedeschi nascono in provetta. A dirlo è il Bundesinstitut für Bevölkerungsforschung, l’ente teutonico per la ricerca demografica: tra il 1997 e il 2014, infatti, a Berlino e dintorni, grazie alla cosiddetta fecondazione in vitro, hanno visto la luce (per la prima volta, s’intende) 225mila bambini. Cioè uno ogni quaranta nascite. E, trattandosi di una media distribuita su diciotto anni, è logico aspettarsi che quel rapporto oggi sia anche più elevato. Chiariamo subito: la fecondazione in vitro (quella che in gergo medico viene definita “Fivet”, fertilizzazione in vitro con embryo transfer) è una delle tecniche di procreazioni assistita, anche se tra le più comuni: avviene «fuori dal corpo», in quella che comunemente viene definita una «provetta», e l’embrione così fecondato è, in un successivo momento, trasferito nell’utero della donna.
Ma tant’è: da Hannover a Monaco erano 12.456 i piccoli nati da tecniche in vitro nel 2001, sono cresciuti a 17.075 nel 2013. Tradotto in percentuali significa che se solo quindici anni fa rappresentavano appena l’1,7% dei fiocchi rosa o azzurri appesi fuori dalle porte tedesche, nel 2013 sono balzati al 2,5%. Ovvio: non si tratta (ancora) di numeri determinanti, ma il trend in crescita, ecco, quello è certo.
E con tutte le conseguenze del caso: sempre in Germania, col passare degli anni, cresce pure l’età media delle madri che si affidano alle fecondazioni in laboratorio pur di restare incinta (sono più della metà, ma vent’anni fa erano soltanto un terzo). In Danimarca, invece, dove la procreazione eterologa è possibile anche per le (future) madri single già da nove anni, nel 2015 un bambino su dieci è stato concepito da una donna senza il relativo compagno.
Già. Ma in Italia? Da noi la feconda assistita è stata normata solo nel 2004 e quella eterologa (ossia che prevede l’utilizzo di un seme oppure di un ovulo esterno alla coppia) addirittura nel 2014. «L’ultima relazione al Parlamento in materia di legge 40», chiarisce Filomena Gallo, segretario dell’associazione Luca Coscioni per la ricerca scientifica, che da decenni si occupa di questo genere di questioni, «evidenzia che dopo dodici anni di battaglie legali per affermare i diritti delle persone, oggi abbiamo i primi risultati anche in termini di nascite».
Della serie: quelli del Belpaese sono dati in tutto e per tutto in linea con i numeri tedeschi. Appunto: se il 2,5% dei bambini nati nel 2014 ha dei genitori che hanno fatto ricorso alla riproduzione assistita da tecniche di secondo e terzo livello, nel 2005 i piccoli in quella condizione erano meno dell’1%, e per la precisione lo 0,66%. «Si tratta di un numero di cicli ridotto perché, di fatto, queste tecniche non sono fruibili su tutto il territorio nelle varie strutture pubbliche», commenta Gallo, «ma nonostante questo i risultati sembrano incoraggianti e sarà interessante vedere come si evolveranno nei prossimi anni».
D’altro canto a fotografare la situazione dello Stivale è proprio l’Istituto superiore di Sanità: due anni fa (ultima analisi disponibile) nel nostro Paese erano attivi 362 centri di Pma (cioè, per i non addetti ai lavori, di procreazione medicalmente assistita), 70.589 coppie ne hanno fatto uso per qualcosa come 90.711 cicli di trattamento iniziati. Si sono quindi ottenute 15.947 gravidanze, di cui oltre 14mila monitorate, e ci sono stati 10.732 parti per un totale di 12.658 bambini nati vivi. Tanto per dire. «In Italia si crea una famiglia sempre più tardi, ma i dati di cui disponiamo non evidenziano che questo elemento è legato a un Paese sempre più povero, dove una coppia decide di avere un figlio solo se ha un reddito che consente di arrivare a fine mese», specifica ancora Gallo. «Abbiamo bisogno di un welfare reale, di lavoro stabile e solo così vedremo scendere l’età di chi prova ad avere un figlio. A differenza di tanti altri Paesi, nel nostro i sigle e le copie dello stesso sesso non possono accedere alla Pma e l’eterologa non è applicata in tutte le strutture, nonostante sia lecita».
«La Corte Costituzionale ha chiamato in campo il Parlamento», chiosa, «affinché gli embrioni non idonei per una gravidanza siano utilizzati per la ricerca: attualmente sono conservati senza alcun utilizzo previsto. Come associazione “Luca Coscioni” stiamo lavorando per rimuovere questi divieti».