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 2016  agosto 19 Venerdì calendario

Sulle spiagge di Cannes a caccia del burkini. Tra la tolleranza e il razzismo c’e la paura

«Le ho viste quattro giorni fa, qua davanti. È arrivata la polizia municipale per la multa, ma loro l’hanno contestata. Non hanno pagato. E se ne sono andate». Ne ha visto di mondo, Guido, partito dall’Aja 66 anni fa e arrivato qui con i suoi baffetti bianchi e i capelli raccolti a coda dopo aver lavorato in Germania e a Ventimiglia. Da 24 anni è titolare del chiosco bar numero 6 (che di nome fa “la Croisette”), il lungomare lo conosce fioriera per fioriera. Ma un’estate come questa, con le multe alle donne che vanno in spiaggia con il burkini, e la camionetta dell’esercito sotto al Palais des Festivals e Congrès, mai. «Sono d’accordo con questo divieto. Il burkini non va tollerato. Siamo in Francia, qui da noi le donne possono andare in spiaggia in topless. Se lo fanno da loro finiscono in prigione, o espulse. Per loro è una provocazione religiosa. Per noi – e qui l’accento olandese si addolcisce – dev’essere lo stesso. Qui di principesse col velo e le banconote da 500 euro per venire a prendere il gelato ne vediamo tante, ci piacciono. Però guardi il boulevard, tutto transennato, pieno di polizia e di soldati. Loro, i turisti, adesso restano negli hotel e negli appartamenti. Mai visto. Il ristorante qui di fronte ha 40 prenotazioni. L’anno scorso 150».
Che il problema, qui, non sia solo di costume, è evidente al primo sguardo. È serata di fuochi d’artificio, quelli di Ferragosto, posticipati di tre giorni per il meteo e le misure di sicurezza, a un mese e 30 chilometri dalla strage di Nizza, sono eccezionali. Polizia, gendarmi, esercito a squadre di quattro con i mitra, Croisette chiusa al traffico, bonifiche nei parcheggi sotterranei. Meno foto sotto il rolex d’oro all’ingresso del Carlton Continental, meno selfie con lo sfondo di ricchi sul panfilo al Vieux Port, meno carnevale. Eppure l’argomento del giorno resta il divieto del sindaco David Lisnard – «niente interviste, spiacente», ci fa sapere – e il conseguente diluvio di polemiche. Con l’ordinanza copiata prima dal collega di Villeneuve-Loubet, comune della Costa Azzurra funestato dall’ecomostro che ha ispirato le Vele di Secondigliano, e poi da quelli di Cap d’Ail, Beaulieu sur Mer, Èze, Sain-Jean Cap Ferrat e Villefranche sur Mer. E le proteste dall’altro lato delle associazioni per i diritti unami, cui il miliardario ed ex politico franco algerino Rachid Nekkaz ha aggiunto la solita sparata: dopo aver promesso di pagare le multe per il burqa alle musulmane di tutta Europa, ecco pronto l’assegno per il burkini.
Che è questione rovente soprattutto sull’altro lungomare, quello di Boulevard du Midi Louise Moreau, quello dove vanno cannoises e turisti. «Di arabi ne vediamo», ragiona la famigliola che viene su dalla spiaggia, padre- madre-cognata-figlia, «ma gente al massimo col velo, come quella mamma lì, la vede anche lei. Il burkini? Vietarlo è giusto, siamo in Francia». Lo pensa anche il gruppetto di amici agée che esce dai cancelli del Royal Palm, uno dei residence affacciati sul mare. Sono di Rouen, «e non conoscevamo padre Jacques Hamel – precisa Marc – ma dei nostri amici sì. Io una ragazza col burkini l’ho vista stamattina, il suo fidanzato le faceva le foto».
Sull’argomento sono compatti: «È normale vietarlo – taglia costo François – è semplice rispetto delle regole della République». Bernard allarga il discorso: «Io sono per la libertà, e se alla mia fidanzata fosse concesso un topless a Casablanca, nessun problema. Ma così no. Questo burkini è simbolo di alienazione delle donne e oscurantismo, dieci anni fa gli stessi arabi non lo indossavano, adesso è una provocazione». Anne, l’unica donna del gruppo, invoca «i nostri padri e i nostri nonni, che si sono battuti per la libertà e per certi valori. Ma lei lo sa che non scenderò sulla Croisette per i fuochi, per paura di quello che può succedere ancora?».
All’ombra del ristorante Le Cabanon, protetta dall’ombrellone e dal velo, la signora Aisha Chahibi non ci risponde ma ci concede di svegliare il figlio Nourredine che dorme sull’asciugamano. Marocchina lei, francese nato a Bellefort lui, istruttore sportivo per ragazzi disagiati e una fidanzata, Sara, che lo guarda divertita in bikini e ricci non velati. «Per me ognuno fa come vuole – alza le spalle Nourredine – c’è chi sta nudo e per me è anche peggio. Le leggi si stanno inasprendo e non si è risolto il problema, non sono le donne col burqa quelle che si fanno esplodere ma quei pazzi di terroristi. Mia madre li detesta, ha paura che per colpa loro la gente buona come noi sarà cacciata».
E ha paura anche Adam Jabari, dietro il bancone del chiosco 34, L’Entorse. Francese di terza generazione, 21 anni, nonni tunisini. «Ho visto una ragazza multata qui davanti, hanno chiamato dei bagnanti. Capisco le ragioni di sicurezza, ma qui sta montando troppo razzismo contro di noi».