La Stampa, 19 agosto 2016
Catturato Abu Nassim, la primula nera che reclutava jihadisti in Italia
Sembra che con la ormai imminente caduta di Sirte cadano anche tanti tabù sulla nebulosa storia del terrorismo islamico tra le due sponde del Mediterraneo. I misteri sui presunti piani di «export» del jihad in Italia, di cui sono emerse tracce persino tra le rovine della città del Golfo libico. Ma anche il mistero su Moez Ben Abdulgader Ben Ahmed Al Fezzani, la primula nera della jihad, il reclutatore col nome di battaglia «Abu Nassim», tunisino dall’animo libico, anello di congiunzione dello jihadismo di ieri e di oggi, e soprattutto vecchia conoscenza dell’Italia, suo luogo di residenza complessivamente per almeno 13 anni.
Il mistero su Al Fezzani scomparso dai radar dell’antiterrorismo di mezzo mondo da circa 4 anni, sembra aver avuto fine ieri, tra Rigdaleen e al-Jmail, in Libia occidentale all’altezza di Zuara, non lontano dal confine tunisino. Mancano conferme indipendenti, e anche in Italia si cercano conferme. Ma come dice il presidente del Copasir, Giacomo Stucchi, «se fosse vera sarebbe da applausi infiniti». Abu Nassim è nome assai in voga tra gli jihadisti, ma Moez Fezzani è «quel Abu Nassim», il reclutatore legato ad almeno tre decenni di terrorismo islamico, da quello della prima ora di Al Qaeda, a quello recente dello Stato islamico. Sino a spuntare nel caso degli italiani dipendenti della Bonatti rapiti in Libia nel luglio 2015. Classe 1969, Fezzani nasce in Tunisia: «Io però mi sento libico», disse durante un interrogatorio a Milano 6 anni fa. Un annuncio il suo come quello fatto in occasione dell’espulsione dall’Italia ai poliziotti di scorta: «Sentirete ancora parlare di me». Ma il suo legame con la Penisola ha radici più antiche, nel 1988 vi approda come illegale, forse, sbarcando da un traghetto a Genova; si sposta tra Milano, Napoli, Bolzano e Valle d’Aosta. «A Napoli ho fatto il bracciante, a Milano ho venduto eroina e hashish prima di diventare un uomo pio e religioso», come racconterà ai pm alcuni lustri dopo.
Secondo i capi d’imputazione dell’epoca Fezzani, assieme ad altri, avrebbe fatto parte di una «articolazione» in Italia del «Gruppo Salafita per la Predicazione e il Combattimento» che operava «in collegamento con una rete di analoghi ed affini gruppi» in Germania, Gran Bretagna, Spagna, Belgio, Francia, Algeria, Pakistan, Afghanistan e Tunisia. Dopo aver lasciato Milano, va in Pakistan dove sulla scia della fatwa di Osama bin Laden agli Usa si ripropone come reclutatore. Lavora nell’ufficio dei tunisini di Peshawar col compito di «organizzare la logistica dei mujaheddin, alcuni provenienti dall’Italia», e in una fase successiva anche del loro rientro. Viene catturato nel 2003 dai pachistani – venduto probabilmente – e consegnato agli americani che lo rinchiudono a Bagram per almeno 6 anni durante i quali viene torturato. Dopo un accordo tra l’allora premier Silvio Berlusconi e il presidente Usa Barack Obama, è estradato in Italia. Sin dal 2007, infatti, i magistrati milanesi avevano chiesto più volte di poter eseguire l’ordinanza cautelare emessa a suo carico. Il nome di Abu Nassim va di pari passo con quello di Nasri Riadh Ben Mohammed, anche lui veterano dell’Afghanistan poi detenuto a Guantanamo e trasferito in Italia, e Adel Ben Mabrouk, detto «il barbiere» per il lavoro che faceva in Italia prima di aderire alla guerra santa. Questi tre nomi avrebbero a che fare con la «cellula di Milano», costola del nucleo combattente tunisino.
Fezzani viene processato e nel 2012, dopo più di 2 anni di carcere in Italia, è assolto ed espulso, subito dopo però arriva la condanna in appello a 6 anni, ma lui è ormai una primula, dalla Tunisia (forse con Ansar al-Sharia) fa rotta sulla Libia a Sabratha, dove recluta foreign fighter diretti in Siria con voli Tripoli-Istanbul.
Il suo nome spunta nella vicenda dei connazionali rapiti a luglio 2015 di cui due uccisi i primi di marzo. Una supertestimone dice che capitò a casa sua e chiese alla moglie come facevano a essere così ricchi. Lei rispose: «Mio marito lavora con gli italiani». Un eufemismo. Tunisi lo considera responsabile del fallito tentativo dell’Isis di impadronirsi, lo scorso 7 marzo, della città di Ben Gardane al confine con la Libia. Il trasferimento a Sirte arriva col crollo della colonna di Sabratha guidata da Noureddine Chouchane. Nella città del Golfo Fezzani prosegue la carriera di reclutatore forse di jihadisti diretti proprio in Lombardia, ma stavolta per conto dell’Isis.
La decisione di fuggire arriva con l’avanzata delle milizie di Misurata fedeli al Governo di accordo nazionale libico di Fajez al Sarraj. Fa rotta verso la Tunisia, con tappa a Sabratha dove ha ancora qualche contatto. Non troppo fidato forse perché qualcosa va storto: viene fermato dagli zintaniani, fedeli al generale Khalifa Haftar. Finisce così la corsa del veterano reclutatore, la primula della jihad di oggi e di ieri. Forse anche questa volta venduto al miglior offerente.