La Gazzetta dello Sport, 19 agosto 2016
C’è la foto di questo bambino siriano di cinque anni, Omran Daqneesh, estratto vivo dalle macerie di Aleppo appena bombardata, e poi sistemato su una sedia color arancione dell’ambulanza

C’è la foto di questo bambino siriano di cinque anni, Omran Daqneesh, estratto vivo dalle macerie di Aleppo appena bombardata, e poi sistemato su una sedia color arancione dell’ambulanza. Bambino coperto di polvere, i pantaloncini corti, le ginocchia e le gambine luride, si guarda intorno senza espressione, alla sua destra una serie di classificatori, alla sua sinistra una valigetta anti-incendio. La freddezza del contesto e l’immobilità del bambino si rovesciano nel loro contrario, in un ritratto della disperazione. Nella sistematicità con cui si sta polverizzando Aleppo c’è qualcosa di burocratico, di maniacale, di folle. La foto è subito diventata virale in rete, è subito assurta a simbolo della Siria oggi, un paese azzerato dall’intreccio tra guerra civile, ambizioni del Califfo, mire russe, iraniane, americane, cinesi e della malavita mondiale.
• Non è la prima foto di un bambino siriano che fa il giro del mondo.
No, nei vari fotomontaggi che gli internauti hanno costruito (Omran seduto tra Obama e Putin, Omran sullo sfondo di un parlamento), ce n’è uno che affianca la sua foto a quella del bambino curdo Khalid Albain, il cui cadavere venne fotografato sulla spiaggia turca di Bodrum, morto mentre stava cercando di fuggire. L’ideatore dell’accostamento ha messo come titolo la frase: «Choises for sirian children», ossia «Scelte a disposizione dei bambini siriani». Sotto Omran: «If you stay», sotto Khalid: «If you leave». La morte, cioè, ti aspetta dappertutto.
• Poi c’è la foto dei bambini ammazzati dal Sarin.
Già, il gas nervino. I ribelli sostenevano che l’aveva adoperato Assad. Assad sosteneva che l’avevano adoperato i ribelli per sollecitare l’intervento americano. Obama aveva promesso che se Assad avesse adoperato i veleni chimici... Poi preferì non intervenire. Io però mi ricordo di un’altra foto: un bambinello di otto o nove anni a cui era stato affidato una specie di cannone e che non riusciva a reggerlo. Un’immagine tragicamente grottesca.
• Sa che non mi ricordo più come è cominciata questa guerra?
È cominciata nel 2011, quando varie formazioni ribelli manifestarono contro il presidente siriano Assad (esattamente Assad II) chiedendo riforme, democrazia e tutto il resto. Si rispose a queste manifestazioni col fuoco e presto scoppiò la guerra civile. Complicata fin dall’inizio: quelli che noi definiamo con la semplice parola «ribelli» erano in realtà gruppi e gruppuscoli di ogni tipo, che nel corso di questi anni si sono frammentati ancora di più, uno schieramento che andava (schematizzo) dai liberali all’occidentale fino agli estremisti islamici più terribili, con gruppi che si riconoscevano nelle formazioni terroristiche allora in auge, come al Qaeda o al Nusra. Dall’altra parte, Assad era quello che era: un dittatore sanguinario, sciita secondo il credo alawita, sostenuto da Russia, Iran e Cina. Gli americani si adeguarono alla teoria espressa allora da Edward Luttwak: poiché le parti in campo sono tutte anti-americane ci conviene manovrare per il pareggio, perché chiunque vinca sarà un problema per noi. Quindi, dare una mano (segretamente) ad Assad quando stanno prevalendo i ribelli, dare una mano ai ribelli quando sta prevalendo Assad. Una strategia che ha avuto amaramente successo. Trecentomila morti, cinque milioni di profughi, un paese raso a zero. E la soluzione non si vede.
• Quando compare Al Baghdadi?
Nel 2014. E con questa idea inedita: costruire uno Stato nuovo unendo Siria e Iraq. Il Siraq, o l’Isis (Stato islamico di Siria e Iraq), o il Daesh. Al Baghdadi falsifica le carte per potersi proclamare califfo e si manifesta al mondo con un video girato nella moschea di Mosul (6 luglio 2014) in cui grida che «l’annuncio del Califfato è un dovere di tutti i musulmani», in cui esalta le «vittorie dei musulmani», in cui ammonisce: «coloro che possono immigrare nello stato islamico devono farlo perché l’immigrazione nella casa dell’Islam è un dovere. Affrettatevi, o musulmani, a venire nel vostro Stato. La Siria non è per i siriani e l’Iraq non è per gli iracheni. Questa terra è per i musulmani. Tutti i musulmani. Questo è il mio consiglio. Se lo seguirete, conquisterete Roma e diventerete padroni del mondo, con la volontà di Allah». Quaranta giorni dopo, col giornalista James Wright Foley, cominciarono le decapitazioni pubbliche.
• A che punto siamo adesso?
Dopo aver conquistato un territorio enorme a cavallo tra Iraq e Siria, il Califfo è ora in rotta, ma resiste ad Aleppo, città massacrata adesso dai russi e dai curdi. I russi fanno partire le loro missioni addirittura dall’Iran. Erdogan, che fino a poco tempo fa avversava Assad e litigava con Mosca, ha fatto pace con Putin e un asse formidabile formato da russi, cinesi, iraniani e turchi si appresta a decidere che fare di quel paese a guerra finita. Gli americani per ora, anche se formalmente guidano una coalizione di 60 paesi, sembrano diplomaticamente fuori gioco. Intanto, sui nostri tavoli, continuano a piovere foto di bambini.