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 1916  febbraio 27 Domenica calendario

Il colonialismo tedesco

Tratto tratto, in mezzo al fragore delle lotte scatenate sui campi di Francia, di Polonia, di Macedonia, giunge l’eco di lontani combattimenti africani. È un’eco fievole, portata da brevi e laconici comunicati, attraverso i quali la fantasia deve ricostruire le drammatiche vicende delle lotte svolgentisi nelle immensità selvagge e misteriose, dove piccoli eserciti inglesi, francesi, tedeschi, belgi prolungano ed estendono l’immane conflitto che sconvolge la vecchia Europa. Un comunicato francese del 23 gennaio e uno inglese del 3 febbraio hanno portato le notizie dell’abbattimento delle ultime resistenze tedesche nel Camerun. Anche è giunta nel mese di gennaio la notizia della distruzione delle navi tedesche sul lago Tanganika. Caduta la colonia del Camerun, dopo la colonia del Togo, dopo l’Africa occidentale tedesca, la lotta si restringe intorno all’ultima colonia tedesca in Africa: quella colonia dell’Africa orientale che, nei propositi del governo di Berlino, doveva essere barriera insuperabile, eretta a impedire il congiungimento delle colonie inglesi del Sud-Africa con l’Africa orientale inglese, il Sudan e l’Egitto. In Africa, il colonialismo tedesco aveva fatto le sue prime prove; in Africa si trovavano i nove decimi dei dominii tedeschi (2 milioni e 700 mila kmq. su un totale di 3 milioni circa, con una popolazione di 11 milioni e mezzo di abitanti su un totale di 12 milioni e 400 mila circa); verso l’Africa si appuntavano in questi ultimi anni sempre più avide le mire germaniche. L’acquisto di una parte del Congo francese, conseguito nel 1911 in cambio del consenso dato al protettorato francese sul Marocco, più che appagare aveva acuito gli appetiti di quegli espansionisti, i quali ritenevano di non poter dirsi sazi se non quando fosse stato creato l’Impero Centralafricano; ossia se non quando, ingoiato tutto il Congo belga e l’Angola portoghese, fosse costituita dall’Atlantico all’Oceano indiano una massa compatta di possedimenti germanici, che una grande ferrovia, già battezzata la Transequatoriale, doveva attraversare e mettere in valore.
L’inizio di questa espansione tedesca in Africa, che non è molto antica risalendo appena a trent’anni fa, avvenne in mezzo ad una lotta clamorosa nella quale la volontà e le tendenze dei colonialisti parvero trionfare sulla riluttanza di Bismarck. Il vecchio Cancelliere, che soleva dire di sé stesso «Io non sono un uomo coloniale», si piegò soltanto lentamente e a stento al programma del Deutscher Kolonialverein, l’associazione fondata nel dicembre 1882 a Berlino dai sostenitori della necessità di conquistare colonie. E quando, nel 1884, cominciò a secondare le tendenze dei colonialisti, il programma di politica coloniale che egli tracciò fu ben lungi dal rispondere alle brame dei colonialisti a oltranza, i quali avrebbero voluto vedere la forza e l’azione del governo impegnata a conquistare nuove terre e a organizzarle alla tedesca.
Il pensiero di Bismarck nella politica coloniale è scolpito nei discorsi che egli pronunciò in proposito nel 1884, e che Paolo Giordani ha opportunamente riprodotti e posti a raffronto nell’agile e interessante studio da lui dedicato all’Impero coloniale tedesco: [1] il governo tedesco non doveva gettarsi in imprese aggressive, ma secondare con lentezza e cautela le iniziative private, là dove apparivano destinate al successo.
La circospezione del Bismarck non poteva naturalmente piacere ai cultori e agli assertori di quell’imperialismo che cominciò a fiorire in Germania dopo le fortune del 1870-71. Gli sdegni di tutti costoro, che volevano una colonizzazione di grande stile, trovarono le loro più caratteristiche espressioni negli articoli del genuino rappresentante dell’imperialismo germanico, Enrico Treitschke; «È veramente spaventevole – scriveva egli nel 1892 – udire come si parli oggi, in alto luogo, di cose profondamente serie. Si canta su una vecchia aria una canzone nuova: La mia patria deve essere più piccola! – È semplicemente il mondo a rovescio! Noi dobbiamo e vogliamo prender parte alla dominazione della razza bianca». Agli occhi di questi imperialisti, Bismarck con la sua cautela in fatto di politica coloniale, era un uomo sorpassato che non aveva compreso i nuovi tempi e le loro esigenze. «Bismarck – ha scritto brutalmente Federico Lang – ci ha condotti soltanto alla soglia della rigenerazione tedesca». È caratteristico notare come la stessa accusa di imprevidenza circa i bisogni coloniali tedeschi sia mossa al Bismarck anche dal principe di Bülow, in quella Germania Imperiale che è ormai uno dei libri santi dell’imperialismo germanico. «Certo Bismarck non previde il corso di questo nuovo sviluppo tedesco, né i singoli compiti d questa nuova êra, e non poteva nemmeno provvedere». E con l’accusa è anche l’affermazione che occorre staccarsi dai metodi del Bismarck. «Se l’evoluzione delle cose vuole che ci spingiamo oltre gli scopi di Bismarck, noi dobbiamo farlo».
E gli appetiti del pangermanesimo coloniale si disfrenarono, eccitati anche da una vera fioritura di libri che a diecine di migliaia di copie si diffusero in mezzo a tutti gli strati della popolazione tedesca, a portarvi la coscienza del diritto al dominio del mondo, spettante alla Germania imperiale. L’esame dei programmi espansionistici illustrati in quei libri, fatto in due recentissimi studii da Ch. Andler e da Jacques de Dampierre, è veramente impressionante, in quanto mostra le cupidigie germaniche tese e fisse su ogni parte del mondo. E spesso le ragioni addotte a giustificar tali smodate pretese sono così assurde e fantastiche che moverebbero al riso, se a trattenerci non sorgesse il pensiero che pur anche ragioni di quel genere hanno contribuito a creare in Germania quello stato di esaltazione, di esasperazione nazionale, per cui il governo tedesco è stato spinto a scatenare il conflitto europeo. Per esempio, un professore Unold sostiene i diritti del dominio tedesco sul Venezuela, sulla Repubblica Argentina, sul Cile ricordando che Carlo V aveva dato in feudo il Venezuela a una famiglia di commercianti di Augsbourg, i Welser, che a fondar Buenos Aires ha contribuito un avventuriero tedesco, Ulrich Schmidel, e che nel Cile il primo mulino a vento fu costruito nel 1541 da un tedesco!
Ma la base principale di tutte le teorie espansioniste è stata sempre trovata nel continuo prodigioso aumento della popolazione dell’Impero: nuovi territori su cui sventolasse la bandiera germanica erano necessari per impedire che i tedeschi costretti ad emigrare, andassero perduti per la patria! In realtà, questa argomentazione poggia su due concetti sbagliati. Non è vero, in primo luogo, che i tedeschi costretti ad emigrare in paesi stranieri abbiano dimenticato o dimentichino la loro nazionalità e siano quindi perduti per la patria; la caratteristica dell’emigrazione tedesca è quella di formare colonie compatte che con la patria serbano stretti legami e che servono assai a diffondere nel paese dove si sviluppano, l’influenza tedesca. Lo provano i nuclei tedeschi nel Brasile meridionale e nel Cile; lo provano ancor più quei vari milioni di tedesco-americani degli Stati Uniti, le cui gesta durante la presente guerra hanno rivelato che l’attaccamento alla terra d’origine è in loro più forte di quello alla nuova patria.
Non è vero, in secondo luogo, o almeno non è più vero, che l’aumento della popolazione dell’Impero determini una corrente migratoria tale da rendere necessario il possesso di territori dipendenti dalla Germania, nei quali incanalarla. In un solo periodo, dopo la fondazione dell’Impero, l’emigrazione raggiunse! cifre notevoli: nel periodo 1881-90, nel quale emigrarono dalla Germania 1.350.000 persone, cioè circa l30 mila all’anno. Nel periodo 1891-1900 la cifra degli emigranti discese a 520.000, e dopo il 1900 si ebbe una nuova diminuzione, tanto che negli ultimi tempi, gli emigranti dalla Germania non arrivavano ai 20 mila per anno. Il prodigioso sviluppo delle industrie e dei commerci nell’Impero aveva creato condizioni di lavoro e di ricchezza tali da render possibile l’impiego in patria di tutta la popolazione, pur enormemente cresciuta. Né, d’altra parte i risultati ottenuti nelle colonie d’Africa potevano far credere che le colonie conquistate e create dall’azione del governo avessero probabilità di diventare il naturale sbocco di una sovrapopolazione della Germania; in trent’anni, solo l5 mila tedeschi si sono stabiliti nell’Africa occidentale tedesca, e meno ancora, appena 5 mila, nell’Africa orientale.
Cosi l’impero coloniale tedesco falliva a quello che nella mente de’suoi fondatori doveva essere il suo principale scopo: servire come sbocco alle masse tedesche emigranti dalla patria. A questo scopo se ne venne sostituendo un altro, man mano che per il maraviglioso sviluppo delle industrie i mercati tedeschi si trovarono ad abbondare di prodotti in quantità troppo superiore ai bisogni del consumo interno: allora le colonie apparvero sopratutto necessarie sotto l’aspetto di grandi sbocchi commerciali, in cui smaltire a condizioni vantaggiose la sovrabbondanza dei prodotti della metropoli. Insieme alle grandi regioni dell’Africa centrale, si presentarono tentatrici all’ambizione germanica, le pingui terre dell’Asia turca, destinate ad essere sfruttate dalla ferrovia tedesca di Bagdad, la immensa Cina, allo sfruttamento della quale la Germania metteva come un’ipoteca con la colonia di Kiao-Ciao, le repubbliche dell’America latina, specialmente il Brasile meridionale ed il Cile, che la rumorosa e fervida attività dei coloni tedeschi pervadeva.
I tedeschi si sono spesso lagnati, e si lagnano ancora a gran voce, di essere stati in tutti i modi ostacolati nell’esplicazione di questa attività coloniale dalla gelosia e dall’invidia delle altre potenze, specialmente dell’Inghilterra; ed hanno proclamato che la necessità di spezzare questi ostacoli e questi impacci è stata fra le cause che li hanno spinti alla guerra. Ma un esame sereno e spassionato delle questioni coloniali negli anni che immediatamente precedettero la guerra, conduce a smentire, o almeno a trovare molto esagerate tali affermazioni. Per quel che riguarda i territori dell’Asia turca, le trattative iniziate nel 1912 tra Francia e Germania e proseguite poi con la partecipazione  dell’Inghilterra e della Russia, avevano condotto all’accordo firmato a Berlino il 15 febbraio 1914, per il quale le Potenze contraenti si riservavano ciascuna una zona d’influenza: quella riconosciuta alla Germania si estendeva dall’Anatolia alla Mesopotamia, comprendendo un territorio vastissimo e ricchissimo, tale da offrire il più largo sfogo all’attività e all’espansione tedesca.
Meglio ancora in Africa. All’accordo franco-tedesco del 1911, per cui la Germania aveva ingrandito la sua colonia del Camerun portandola a confinare col Congo belga, avevano seguito attivissime trattative anglo-tedesche riguardanti appunto il Congo belga e le colonie portoghesi del Mozambico e dell’Angola; trattative che lo scoppio della guerra europea interruppe proprio quando avevano condotto alla conclusione di un accordo per il quale, a quanto si disse, il governo inglese riconosceva alla Germania il diritto di mettere in valore le regioni dell’Africa centrale. Lo stesso Paolo Rohrbach, uno dei più ferventi apostoli dell’idea coloniale in Germania, ha riconosciuto che l’accordo franco-tedesco del 1911 e le successive trattative anglo-tedesche offrivano le più belle prospettive all’espansione tedesca nell’Africa centrale. La Germania con la sua grande potenzialità economica avrebbe ben presto dominato economicamente il Belgio e il Portogallo, troppo piccole metropoli per tanto grandi colonie, avrebbe potuto con convenzioni doganali e commerciali legare le colonie belghe e portoghesi con le proprie in un sol tutto, gettare attraverso a quelle colonie una rete di strade ferrate che ne agevolasse la messa in valore, creare insomma in tutta l’Africa centrale un solo e immenso dominio economico, che inevitabilmente si sarebbe poi trasformato in un dominio politico.
Un enorme Impero africano poteva essere acquisito alla Germania con uno sforzo pacifico. Occorreva soltanto tempo e pazienza. La frenesia degli imperialisti avidi e impazienti ha creduto di ottenere più rapidamente e più completamente il risultato con la violenza.
Ma gli avvenimenti attuali stanno dimostrando che il calcolo brutale era sbagliato.
 
1. Paolo Giordani, L’Impero coloniale tedesco, Milano, Treves, L. 2


(Dal Corriere della Sera)