Il Sole 24 Ore, 18 agosto 2016
Si parla di petrolio e tutti guardano l’Iran
Quattro mesi dopo il fallimentare vertice di Doha, tra i maggiori Paesi esportatori di petrolio si ripropone lo stesso dilemma: congelare o non congelare la produzione?
L’idea proposta da Russia e Arabia Saudita a inizio anno, tanto discussa e mai realizzata, rispondeva alla finalità di riequilibrare i mercati del greggio. Un’espressione che agli occhi dei produttori significa provare a far ripartire le quotazioni su valori più accettabili – almeno 60 dollari al barile – dopo il tracollo degli ultimi due anni. Una disastrosa caduta dei prezzi (dai 115 dollari del giugno 2014 ai poco più di 40 del gennaio successivo) provocata in buona parte dalla decisione saudita di non voler tagliare la produzione al vertice Opec di novembre 2014. Ufficialmente Riad non voleva perdere quote di mercato. Ma tra i veri motivi c’era anche il tentativo di fare la guerra all’industria americana dello shale oil (che ha costi di estrazione molto più alti)
e di infliggere danni economici ai rivali politici (in prima
linea l’Iran).
Quasi due anni dopo l’industria dello shale ha subito sì un duro colpo, ma non è crollata, anzi. Mentre i prezzi sono ancora troppo bassi per molti Paesi dell’Opec (ma anche per quelli esterni al Cartello), molti dei quali sono alle prese con una difficile crisi economica. Le costanti riduzioni delle entrate energetiche li hanno costretti a continue sforbiciate dei rispettivi bugdet. Alcuni Paesi sono stritolati da recessioni che rischiano di provocare ondate di disordine pubblico, primo fra tutti il Venezuela.
Lo scorso aprile a Doha sembrava che si fosse raggiunto un consenso sul congelamento della produzione sui livelli di gennaio. Ma Riad e Mosca avevano fatto i conti senza l’oste. Teheran aveva rifiutato di aderire all’accordo. Non aveva inviato nemmeno un rappresentante nella vicina Doha, dove i plenipotenziari di 16 Paesi produttori, che rappresentano circa metà della produzione mondiale, cercavano di trovare la formula capace di accontentare tutti. La condizione imposta da Riad, rivale storica di Teheran, non era negoziabile: o aderiscono tutti, o nessuno. Nessuno sconto, nessuna eccezione. Teheran rispose con un secco rifiuto. Le sue ragioni erano comprensibili. Il secondo produttore Opec nel 2010, e il detentore delle terze riserve mondiali di greggio, aveva visto crollare la produzione a causa delle sanzioni internazionali decise come reazione al suo controverso dossier nucleare. Quattro anni di embargo petrolifero (quello europeo scattato nell’estate 2012), avevano stritolato l’industria petrolifera, facendo cadere l’export, nei periodi più bui, a 700mila barili al giorno. Per avere un’idea, nel 2010 l’Iran esportava oltre 2,5 milioni di barili al giorno (mbg).
Lo storico accordo sul nucleare raggiunto con gli Stati Uniti ha rilanciato l’Iran, ora deciso a tornare ai livelli produttivi di un tempo. Finora è riuscito con un certo successo ad avvicinarsi all’ambizioso obiettivo. I dati più recenti (luglio, ndr) parlano di 3,6 mbg di produzione, circa 180mila barili al giorno in più di aprile, quando le potenze mondiali decisero di togliere buona parte delle sanzioni. E 800mila bg in più di gennaio. Prima di parlare di qualsivoglia congelamento produttivo Teheran vuole però tornare a 4-4,2 mbg di estrazione. Il che significherebbe che il mondo, in un momento in cui l’eccesso di offerta – anche se minore rispetto ai mesi scorsi – deprime le quotazioni, si ritroverebbe con ancora più petrolio. Quando l’Iran tornerà a estrarre a pieno ritmo, diversi Paesi membri dell’Opec confidano che darà il benestare per congelare la produzione (anche la sua) e lanciare un messaggio ai mercati. L’appuntamento sarebbe al Forum sull’Energia che si terrà ad Algeri. Ma Teheran sta già usando un linguaggio ambiguo, dicendosi non certo di raggiungere l’obiettivo in quella data.
La Russia nel frattempo ha mostrato l’intenzione di partecipare al vertice Opec, a Vienna il mese successivo. E da Riad sono trapelate notizie dell’intenzione di voler riportare i prezzi su valori più desiderabili.
Un dispetto a Riad? Poche volte, forse mai, Arabia e Iran sono stati così ai ferri corti. Ancora oggi si affrontano in almeno due guerre civili. In Siria, dove l’Iran appoggia apertamente il regime, mentre l’Arabia elargisce generosamente fondi per creare milizie contro il regime. E in Yemen, dove l’Arabia sta bombardando senza sosta i territori conquistati dagli Houti, alleati di Teheran. Certo, anche Mosca e Riad sono rivali in Siria. Ma l’acredine tra l’Arabia e l’Iran è di lunga data e ora sono ai ferri corti per la leadership della regione.
Anche la nuova proposta di congelamento sembra dunque non avere molte chance. E gli attuali livelli produttivi di Arabia (10,7 mbg) e Russia (10,4 mbg),vicini ai massimi, lasciano più di qualche perplessità sul fatto che le due potenze credano davvero in questo tanto discusso congelamento.