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 2016  agosto 18 Giovedì calendario

«Possiamo imbellettarli e ammaestrarli ma sempre bestie rimangono». Pensieri sui cani feroci in casa

Dei genitori stanno vivendo la terribile tragedia del loro piccolo ucciso a morsi da un dogo argentino a Mascalucia. Qualcuno starà già mobilitando la rete per evitare che il cane sia abbattuto, o persino discriminato.
Questa è la prima preoccupazione di chi vede l’idolatria per la bestia come sinonimo di apertura di pensiero, è invece il segnale di un vero e proprio riflusso culturale. 
Da piccolo vivevo in campagna in mezzo agli animali. Una volta un maiale azzannò il figlio di una contadina e lo uccise. La donna aveva lasciato il bimbo piccolo nell’aia sotto al crine dell’erba, che era un cestone di vimini rotondo che si portava in spalla per trasportare foraggio, ma spesso usato come box di fortuna. 
Erano gli Anni 50, uomini e animali vivevano in feroce promiscuità solo nelle campagne. Era una necessità per la popolazione rurale, ed era frequente che qualcuno prendesse una zoccolata in faccia da un somaro o un’incornata da un bovino, o che il cane da pagliaio, incattivito di proposito a furia di bastonate, azzannasse il suo padrone. 
Si viveva pure con l’odore di letame addosso, le unghie nere e i piedi pieni di calli. L’inverno significava geloni alle mani e l’estate mosconi nel piatto. 
Oggi abbiamo l’aria condizionata nelle case, i pavimenti termoriscaldati, lo ionizzatore. Beviamo solo acqua minerale, vestiamo solo tessuti naturali, usiamo profumatori dell’ambiente, luci cromoterapiche, arrediamo feng shui… Nessuno sarebbe obbligato a dividere lo spazio con animali che, per loro natura, hanno zanne, corna, unghie che a volte usano come armi. Eppure può capitare che si scelga di condividere il nostro habitat, ultra confortevole e asettico come una sala operatoria, con bestie destinate a un uso feroce e arcaico come sgozzare un puma o trinciare i garretti a un cinghiale.
Di tutto si dirà sulla crudele vicenda del bambino sbranato da un dogo, la sintesi spietata è che non sarebbe accaduto se un animale, «costruito» artificialmente per aggredire delle fiere, non fosse stato ridotto ad essere un ornamento da giardino, alla stessa stregua dei nanetti di gesso colorato. 
Già basterebbe quanto scritto finora per procurarsi anatemi da tutti i cultori di un fondamentalismo per cui uomini e animali pari sono. Anzi «gli animali sono molto meglio degli uomini». 
Io sono tollerante e penso che ognuno possa decidere i totem cui affidare il proprio equilibrio emotivo. Passi per i gattini e teneri cucciolotti che nei social media hanno catalizzato ogni possibile senso di tenerezza e desiderio di protezione per esseri più deboli, passi per i cagnolini d’appartamento con cui le persone hanno oramai un dialogo quotidiano e gratificante. 
Sarebbe però il caso che se proprio vogliamo giocare tutti a questa pantomima che gli animali siano stati educati all’umanità, teniamo a mente che possiamo imbellettarli e ammaestrarli ma sempre bestie rimangono. 
Qualcuno obietterà che anche noi uomini siamo capaci di bestialità inaudite, è vero… Però la specie umana ha elaborato pensiero, e quindi cultura, che ci eleva dalla condizione animale da cui proveniamo. 
Possiamo comportarci da bestie anche noi di sicuro, ma abbiamo interiorizzato l’idea che facendolo tradiamo la nostra conquista della natura umana, su cui lavoriamo consapevoli da almeno 200.000 anni.
Il dogo è un molossoide che nasce per uccidere meno di cento anni fa, troppo pochi per elaborare un concetto astratto come il valore della vita di un bipede, rispetto a quella di un puma o un cinghiale.