la Repubblica, 18 agosto 2016
Trump in crollo nei sondaggi cambia di nuovo il manager della sua campagna elettorale
Washington Presidente disperato di una squadra di calcio che boccheggia, per la seconda volta in tre mesi Donald Trump cambia l’allenatore del proprio team, per non ammettere che la causa dei pessimi risultati è lui, Trump. E torna a scommettere tutto su se stesso. Mai nessun candidato alla presidenza aveva cambiato tanti manager in così poco tempo, sintomo della confusione e dell’inquietudine che agitano il boss. Dal 20 giugno, quando “The Donald” licenziò Corey Lewandoski colui che lo aveva guidato al trionfo nelle primarie repubblicane, a ieri, quando ha di fatto esautorato il successore Paul Manafort il superlobbista al soldo degli ucraini filorussi che gli aveva organizzato il fiasco della Convention a Cleveland, per assumere oggi un ideologo travestito da giornalista, Stephen Bannon, il “Trump Team” ha visto la costante erosione nei sondaggi. Ora alle porte dell’autunno, le statistiche, per quello che valgono, danno a Hillary Clinton l’87 per cento di probabilità di vittoria in novembre.
Da giorni, da quando i numeri di Hillary avevano cominciato a segnare distacchi crescenti negli Stati teoricamente in bilico, come Pennsylvania o Colorado, rimonte negli Stati incerti e addirittura minacce di sorpasso in Stati ultraconservatori del Sud, le notizie di panico dentro il cerchio d’oro del sedicente mliardario newyorkese erano circolate. «C’è un clima da suicidio qui nel quartier generale», aveva twittato un suo collaboratore.
Proprio nel sacrario della campagna, all’ultimo piano della Trump Tower sulla, Quinta Strada di Manhattan, ornata dalle enormi lettere d’oro con il suo nome, martedì sera i cardinali del culto trumpista si sono riuniti in conclave per decidere l’ennesimo rimpasto. Mentre Donald comiziava a West Bend, un sobborgo tutto bianco di una Milwaukee in fiamme per le sommosse di afroamericani, promettendo “Legge e Ordine” e chiedendo il voto dei neri a una platea composta esclusivamente di bianchi, i cardinali,guidati dalla vera eminenza grigia, il genero del boss, Jared Kushner marito di Ivanka, decidevano di invertire ancora una volta la rotta.
Basta con il fallito tentativo di normalizzazione di Trump e della sua trasformazione in un candidato più serio. E grande balzo all’indietro, per riesumare il personaggio deliziosamente sgangherato che aveva monopolizzato le telecamere e mobilitato l’elettorato più becero, nazionalista e razzista. Quegli americani esclusi dal banchetto della prosperità disposti a eleggere come salvatore chi a quel banchetto siede dalla nascita, Donald lo speculatore bancarottiere, che tiene nascoste le dichiarazioni del reddito. La nuova parola d’ordine per l’autunno torna a essere quella della gloriosa primavera di vittorie: “Let Trump be Trump”. Lasciate che Trump sia Trump.
Via con l’odiato Teleprompter, i leggii trasparenti sui quali i politicanti normalmente leggono i testi dei discorsi preparati da ghostwriter di professione e avanti con l’improvvisazione, la mimica, la gestualità istrionica che avevano scandalizzato anche i Repubblicani più tradizionali ed eccitano le folle nelle arene che alternano il coro di U-S-A! U-S-A! all’invocazione di “Lock ‘er up”, mettela in galera, rivolta a Hillary Clinton. «È ora di levarsi i guanti e di infilarsi i guantoni» ha deciso il nuovo Commissario Tecnico del Team Trump, colui che dal sito web di propaganda di destra, il Breitbart News, mena da anni colpi bassi ai Democratici. Così vogliono i grandi elemosinieri della campagna, i multimiliardari fratelli Koch arricchiti fra l’altro dai combustibili fossili dunque fieri nemici dell’ambientalismo, così vuole il potente marito della figlia e così suggerisce il nuovo “consigliori” segreto, quel Roger Ailes creatore della Fox News, cacciato da Ruper Murdoch dopo una raffica di accuse per assunzioni in cambio di sesso da parte delle sue giornaliste.
Con l’imprimatur del nuovo “Cerchio d’Oro”, Trump tornerà a essere Trump. Come il giocatore d’azzardo in quei casinò che lui bene conosce avendone costruiti due ad Atlantic City, The Donald raddoppierà la puntata per cercare di rifarsi, contando su qualche nuova rivelazione imbarazzante sulla corrispondenza elettronica dell’avversaria, la «disonesta Hillary», magari passata opportunamente dagli hacker russi a Wikileaks, sulle insinuazioni di problemi di salute di lei messi in circolazione in Rete e che la raccontano come un rudere affetto da sincopi, carcinoma alla lingua, Parkinson e principio di Alzheimer e soprattutto sul dibattito tv del 26 settembre.
Per cautelarsi, il nuovo vecchio Trump ripeterà che una sua sconfitta elettorale sarebbe frutto di brogli, delegittimando preventivamente il risultato, qualcosa che neppure il suo modello Richard Nixon osò fare nel 1960, dopo la torbida vittoria di John Kennedy. Trump il giocatore deve puntare tutto,”all in” sul tavolo, come nel poker alla texana. E sperare che il casinò presidenziale non fallisca, come sono falliti tutti i suoi casinò.