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 1916  febbraio 20 Domenica calendario

Corriere

Briand e Bourgeois a Roma. Gli aereoplani austriaci sopra Milano. Quindici vittime innocenti!... Lo Czar dei Bulgari e
il «gran ponte» fra Occidente ed Oriente. I tedeschi a Costantinopoli. A marzo!...
Le accoglienze dell’Italia in Roma ai ministri francesi Briand e Bourgeois sono narrate altrove, in queste pagine, dall’amico Diego Angeli, con la vivezza di sensazioni particolare a chi le vide.
Li aspettavamo anche a Milano, Briand e Bourgeois, ma essi passarono nella notte dalla domenica al lunedì scorsi: avessero toccato Milano in ore meno antelucane, avrebbero assistito anch’essi alla visita, generalmente inattesa, che una squadra di velivoli austriaci – approfittando della purezza dell’atmosfera – vollero fare, finalmente, alla città delle Cinque Giornate.
A Roma era stata proclamata l’identità di vedute politiche e l’unità di intenti e di sforzi per l’azione militare; ed i velivoli austriaci capitarono a dimostrare l’uniformità vandalica degl’intendimenti dei due alleati teutonici, e come essi volessero fare a Milano un uguale trattamento che a Parigi. Vivissime grazie!...
A tutta prima nessuno ebbe in mente si trattasse di aereoplani nemici. Le prime detonazioni lontane, fecero alzare gli occhi verso il calendario. – Che ricorrenza è oggi, perché debba sparare il cannone?... – San Valentino, prete – Uhm!... non è questo un santo militare, certamente. Nascite reali o principesche oggi non ricorrono… Sarà una manovra! – Ma le detonazioni continuano, e si avvicinano. Che diamine!... La guerra alle porte di Milano!... Ed era proprio la guerra – la guerra dall’alto – la guerra nel cielo!...
Io mi era fatto fuori, sul balcone, per gridare ad una mia gentile vicina soprastante cosa le fosse venuto in mente di cacciare all’aria a quel modo i mobili della sua casa, quando, alzando gli occhi a nuove detonazioni, vidi nel limpido cielo tre bianche nuvolette gonfiarsi e svanire… Era proprio la guerra, la battaglia nell’aria, e non c’era che da assistervi. Meglio che il balcone, prestavasi la terrazza nella quale culmina il mio tetto, e vi salii, in tempo, per vedere la lotta fra un aereoplano nostro ed un aviatich nemico, giallo, con una gran croce nera sotto, dirò così, al ventre. I piccioni sentivano nell’aria l’elemento estraneo e correvano a stormi, spauriti, da colombaia a colombaia, tenendosi bassi. Il maledetto aviatore austriaco tenevasi alto, puntando verso nord, il nostro incalzavalo, e intanto il nemico – velocissimo – lanciava due o tre bombe sul piazzale del Cimitero Monumentale. Due esplosioni, violentissime, scotenti la terra, parve avvenissero proprio sotto i miei piedi!... Furono le ultime – nel quartiere Tenaglia-Volta. Da altri punti della periferia ne erano risuonate altre, alle quali avevano risposto i cannoni anti-aerei e la fucileria di alcune vedette nostre. Alle 9,40 precise tutto era finito, e proprio a quell’ora, dinanzi ai miei occhi, l’ascensore della torre Stigler risaliva, portando le vedette a guardare… il cielo rapidamente annebbiatosi.
Milano, senza preavvisi – e penso che piuttosto che un male, fu un bene – aveva assistito al proprio battesimo di fuoco; Milano erasi trovata in piena guerra guerreggiata – avvenimento che non le era capitato più, dal 4 agosto 1849 in poi, allorché gli austriaci di Radetzky, battuto definitivamente Carlo Alberto, avanzavansi da porta Romana a rioccupare la città!... Udì ancora Milano, dieci anni dopo, tuonare, lontano però, il cannone – il sabato, 4 giugno, dalla parte di Magenta, tutto il giorno, e il mercoledì,8, per parecchie ore, dalla parte di Melegnano. Quelle furono le cannonate liberatrici, alla distanza di cinquantasette anni dalle quali, le bombe degli aereoplani austriaci hanno trovata a Milano un’accoglienza tale, da far loro, probabilmente, passare la voglia di ritentare la prova!...
I velivoli nemici si allontanavano, inseguiti, verso Greco, verso Turro, verso Bergamo e Brescia, e la irrefrenabile curiosità dei milanesi rovesciavasi nelle vie, correndo a cercare, a vedere qua e là le traccie delle bombe scellerate – mancate, assolutamente ad ogni scopo militare – non avendo né incendiato stabilimenti industriali siderurgici, né distrutti binari, né colpite caserme – ed avendo fatte soltanto delle vittime affatto innocenti ed inconsapevoli – un bambino di quattro anni, due donne e dodici uomini dediti a mestieri diversi. Nemmeno fra i circa quaranta feriti si può additarne uno solo che appartenga a corpi o istituti attinenti a servizi di guerra.
È stata – come dovunque altrove in ogni consimile occasione – una scellerata, barbarica strage, che ha caratterizzato ancora meglio il nemico, ma non ha influito gran che sullo spirito pubblico.
Cinque ore dopo quella incursione teutonica, corsero per la città – non si sa perché – le trombette allarmatrici dei pompieri. Tutti fummo di nuovo o in strada, o sui balconi, o sulle terrazze, per vedere… E potemmo ammirare sette od otto velivoli nostri che esploravano il cielo.
Se il nemico si era proposto di intimidire Milano e l’Italia, può contare ugualmente su un risultato del tutto opposto. Non si sono uditi, non si odono che propositi di rappresaglia; l’effetto è di incitamento, di accanimento maggiore per una guerra, nella quale episodi come quello di lunedì, rendono sempre più viva la sensazione che il nemico è quello secolare, immutabile, come immutabile è il nostro spirito nazionale!
Così, a Milano – come a Ravenna – come in Ancona – come a Rimini, a Brescia, a Vicenza, dovunque, insomma, 1’ira nemica sfoga, alternamente, il suo bestiale furore, nell’impossibilità di vincere quella mirabile resistenza e quell’offensiva costante che le oppongono i nostri bravissimi soldati su un fronte, che è il più aspro, fra tutti quelli che oggi formano, dal mare del Nord al Caucaso, quella ideale linea di guerra nella quale sono unite le forze e le volontà degli alleati contro la teutonica barbarie!...
Una risposta eloquente al nemico la dà ora Milano, riaprendo, con rinnovato slancio, la grande sottoscrizione per i bisogni della guerra: poco meno di sette milioni sono stati raccolti, a fondo completamente perduto, in circa otto mesi di guerra; e Milano ne darà senza dubbio in breve altrettanti: mentre la dura guerra richiede nuovi sagrifìzi, nuove affermazioni di concordia e di fede. Un nuovo milione era già sottoscritto nelle prime ventiquattro ore dal nuovo appello!...
Frattanto lo Czar dei Bulgari, Ferdinando, è in giro di visita. Ospitò il mese scorso a Nisch il Kaiser; ora egli ha restituito la visita al Quartiere generale tedesco, e ieri l’altro ha visitato il vecchio imperatore a Vienna, e qui ha fatta l’apologià del «gran ponte» aperto, attraverso la Bulgaria, tra l’Oriente e l’Occidente. Egli ha augurato che il «gran ponte» sia solcato lungamente nell’avvenire dai convogli di pace, ad intensificare gli scambi fra i due Imperi Centrali, la Bulgaria e Costantinopoli. Lo Zar Ferdinando non può certamente allontanarsi, nelle sue enunciazioni pubbliche, da quel quadro di illusioni onde i governi di Berlino e di Vienna cercano di nutrire giornalmente le speranze dei loro popoli. Ma la realtà, probabilmente, non corrisponde a tali illusioni.
Un personaggio turco che ha lasciato Costantinopoli da appena una quindicina di giorni, arrivato a Ginevra, ha fatte al Journal de Genève delle confidenze, che non giustificano le rosee previsioni dello Czar dei Bulgari per i futuri traffici pacifici del «gran ponte».
A Costantinopoli hanno creduto più volte di vedere arrivare davanti alle magiche banchine del Bosforo le navi degli alleati franco-inglesi. All’epoca del grande attacco navale contro i Dardanelli, i palazzi dei ministeri turchi furono affrettatamente sgombrati. Era deciso che, insieme al Sultano, i ministeri venissero trasferiti in Anatolia.
«Io penso – ha detto il personaggio turco – che se l’ammiraglio in capo avesse perseverato per un’ora ancora, senza lasciarsi impressionare dalla perdita della corazzata Bouvet,la flotta anglo-francese sarebbe entrata allora nel Mar di Marmara. Da allora, molto frequentemente, le munizioni fecero difetto ai turchi.
– E la spedizione in Egitto? – chiese l’intervistatore al turco.
– Non prestatevi fede affatto. Nel primo tentativo l’esercito di Djemal pascià fu quasi totalmente distrutto. I soldati erano stati provvisti di occhiali gialli od affumicati: ciò non valse a salvarli dalle oftalmie infettive, che in mezzo ad essi fecero strage
– E a Costantinopoli?...
– Regna Enver pascià, ma col terrore e sorretto dai tedeschi. Nel ministero non ha che un fautore fidato. Halil-bey. Gli altri ministri, guidati da Talaat-bey, vorrebbero ribellarsi. ma non osano. E il padrone, Enver pascià, gira per Costantinopoli in automobile blindato, con la rivoltella in pugno, attorniato da ufficiali devoti.
– E il popolo?
– Il popolo è sempre il medesimo: esclama: «è il destino! è il destino!»
– E i tedeschi?...
– Non dissimulano le loro intenzioni: essi dicono ai cristiani, armeni e greci: «sono secoli che voi rosicchiate il turco; è venuto il nostro turno!...».
Questa, in realtà, la valorizzazione del «gran ponte» al quale ha brindato re Ferdinando di Bulgaria a Vienna.
Tutti aspettano a Costantinopoli qualche cosa di straordinario per marzo – il mese della universale germogliatura. Tutti aspettano a marzo… e non solo a Costantinopoli!...

16 febbraio