Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 1916  febbraio 13 Domenica calendario

Corriere

Briand in Italia. Le polemiche pei discorsi di Salandra. Le espulsioni politiche. Sturmer succeduto a Goremykin in Russia. Il suicidio di Jussuff Izzedin. Il prestito della vittoria.– Alessandro Manzoni nel 1866 Ben venga Aristide Briand! Mentre scrivo egli viaggia alla volta di Roma. I giornali radicali plaudono alla sua venuta, ed il presidente dei ministri, Salandra, ed i suoi colleghi si preparano a fargli festa. Dunque ministero e radicali sono perfettamente d’accordo!... Oibò!.. I discorsi, i forse troppi discorsi che Antonio Salandra, pur non volendoli fare, ha fatti a Torino, hanno messo di malumore il radicalismo ed il socialismo riformista italiano, i quali minacciano guai al capo del gabinetto ed a tutto, magari, il gabinetto, occorrendo!
Salandra, rispondendo alle parole rivoltegli in Torino dal marchese Ferrero di Cambiano – uno dei pochi superstiti di quel costituzionalismo classico, aspramente combattuto sì, mai piegato dal giolittismo più o meno radicale – rievocò e mise in luce le benemerenze del partito liberale costituzionale italiano nello svolgersi del Risorgimento nazionale, ed anche nella determinazione della guerra attuale – tirandosi così addosso i malumori che ora lo attorniano e resuscitando una discussione mai finita e che data, per lo meno… dal 1848!...
Pare però che ogni malumore ed ogni contrasto finirebbe se Salandra facesse una piccola crisetta ministeriale, aprendo così il passo al soddisfacimento dell’ambizione di portafogli a qualche socialista riformista!... Sono le voglie di un anno fa per un ministero – dicevasi – di concentrazione; poi allora i momentaneamente vogliosi si persuasero che un ministero migliore di quello Salandra-Sonnino non sarebbe stato possibile; lo sorressero, lo acclamarono, lo alzarono sugli scudi, lo eccitarono a dichiarare la guerra, e la dichiarò. Ora la guerra la combatte e la sostiene col vigore e la energia che le circostanze consentono… Cosa vogliono di più?...
E mentre il paese, tutto il paese, è largo dei propri danari, e del miglior sangue dei suoi generosi figli, mentre le cannonate italiane – come annunzia nel suo bollettino di ieri il generalissimo Cadorna – arrivano nella valle del fiume Drava, è proprio cosa ammirevole che le complottazioni parlamentari rimescolino ancora – come nei tempi bassi, che parevano per sempre tramontati – i gruppi e gruppetti di Montecitorio, non d’altro ansiosi che di una crisetta a beneficio di impazienti brame?...
Prendiamo nota, frattanto, delle dichiarazioni che Salandra ha fatte ad un corrispondente della torinese Gazzetta del Popolo:
«Prolungare una discussione fastidiosa è inutile. Dico inutile, perché nei governi parlamentari, se crisi vi han da essere, esse devono correttamente determinarsi in Parlamento, dopo che coloro che le determinano hanno chiaramente spiegato al Parlamento ed al Paese i motivi della loro condotta politica; ed è prossima la riconvocazione della Camera. Questo solo dirò, e questo intendevo dire a Torino, che la Camera ha modo ogni giorno di manifestare ad un Ministero la sua sfiducia e di suggerirgli di andarsene; ma che né alcuni giornali o uomini politici, né un gruppo o un partito, né la maggioranza stessa della Camera possono imporre ad un presidente del Consiglio di disfarsi di alcuni colleghi e prendere altri in loro vece. Il che mi pare semplice, chiaro ed incontrastabile».
E siccome qualcuno pareva volesse far credere che l’inspiratore della campagna per la crisetta fosse il capo dei socialisti riformisti, Leonida Bissolati, il presidente del Consiglio ha soggiunto:
«– Nelle polemiche suscitate in questi giorni dalle parole da me dette a Torino all’Unione Liberale Monarchica, ho visto con molto mio rincrescimento mescolato il nome dell’on. Bissolati. Ora io tengo a dirle, e la prego di ripeterlo, che prima e dopo la nostra partecipazione alla guerra ho avuto ripetute occasioni di sperimentare la perfetta dirittura politica e l’alto disinteresse personale dell’on. Bissolati. né da lui, naturalmente, né da altri per lui, mi è pervenuta mai qualche sollecitazione diretta o indiretta per una sua partecipazione al Governo. È una testimonianza che gli devo e gli dò di gran cuore».
Bissolati non è uomo da procacciare per sé – e l’ha dimostrato; ma le dichiarazioni di Salandra hanno eccitato maggior rumore dei discorsi di Torino.
Per il primo di Marzo la Camera si riaprirà di nuovo – e vedremo. Gl’idi di Marzo, dalla fine di Cesare in poi, hanno tutta una storia… anche parlamentare. Poi l’aìre di buttare le celebrità proprie dalla finestra è da un pezzo il metodo dei partiti italiani. Anche ieri a Roma i radicali hanno radiato dal loro ruolo il battagliero e brillante pubblicista Fovel; a Ferrara i socialisti ufficiali hanno scacciati dal loro seno due o tre caporioni che fecero accoglienze a Benito Mussolini che ritornava al fronte; a Verona la Giunta ed i consiglieri comunali socialisti hanno pronunciato la scomunica maggiore contro il deputato Todeschini, carne della loro carne… Dunque il presidente Salandra si tenga per avvisato!...
Frattanto ben venga, ripeto, Aristide Briand, accompagnato da Leone Bourgeois.
Il Matin crede di poter annunziare al suo pubblico boulevardier che «il governo di Roma uscirà da questo convegno ancora più fortemente sorretto dalla opinione pubblica, e gli alleati vi troveranno il mezzo di orientare i loro sforzi a uno scopo comune».
Sempre divertenti certi giornali francesi!... Ci mancherebbe che la forza di un governo in Italia dovesse essere condizionata alle simpatie o meno dei governanti di un paese straniero – per quanto amico ed alleato! Di queste cose, né con gli alleati di una volta, né con quelli di adesso.
Ma certi francesi sono sempre fuori di tono e di conoscenza quando parlano e scrivono delle cose d’Italia.
Ho qui il terzo volumetto delle Tablettes chronologiques de la guerre, èdite dalla Libreria Larousse, e che arrivano, per ora, Fino al giugno I915.
Alla data «24 maggio 1915» – il giorno in cui la guerra cominciò per l’Italia – ecco qua che cosa è stampato nel volumetto francese:
«La reine d’Italie et la cour italienne s’installent à Florence, ou les oeuvres d’art des villes de l’Italie, exposées à l’invasion, ont été transportées».
Aristide Briand visitando a Roma la Regina, potrà tornare a Parigi a dire ai cronologisti del Larousse come stanno realmente le cose.
E quanto alle ragioni della visita di lui e di Bourgeois a Roma, mi pare sia piuttosto nel vero il Petit Parisien, accogliendo quanto vi scrive il collega italiano Campolonghi, il quale giustamente osserva che Briand e Bourgeois venendo fra noi potranno rendersi conto di certe verità essenziali e riconoscere de visu che esse costituiscono la migliore giustificazione dell’Italia in faccia agli alleati.
«Le difficoltà inimmaginabili di cui è irto il fronte italiano, non ancor giunto alla rettificazione che ci darà 1’immunità assoluta, sono l’unica causa della lentezza di cui certuni sembran lagnarsi. La frontiera strategicamente ancor debole consiglia una ragionevole prudenza al Governo. Le ripercussioni degli avvenimenti militari son ben altre in un paese che ha voluto la guerra, che in un paese che l’ha soltanto accettata. Infine l’evoluzione dello spirito italiano, che portò alla guerra, non è lontana dalla sua logica fatale soluzione. Quando Briand e Bourgeois avranno capito tutte queste cose, una nuova corrente di fiducia e di simpatia si stabilirà fra i due paesi. I risultati saranno il chiarimento leale di quanto ancor può esservi di maldefinito nelle relazioni fra gli Alleati, l’assistenza vicendevole per la soluzione dei problemi economici interni più urgenti, l’unità di preparazione, cioè lo scambio regolato e permanente del materiale da guerra, l’unità di direttiva nell’azione politica e militare».
Dunque, Jussuff Izzedin – il principe ereditario di Turchia – si è suicidato, o «l’hanno suicidato»?... Suo padre, il sultano Abdul-Aziz, fu trovato morto, nel suo gabinetto da bagno, nelle identiche condizioni, il giugno 1876, quaranta anni sono, e da allora entrò nel linguaggio dei giornali, nel linguaggio popolare l’uso del verbo «suicidare» all’attivo!... Una vena aperta, una scia di sangue nel bagno, un paio di forbici insanguinate sul tappeto – la morte degli antichi, dei filosofi stoici, la morte di Seneca, la morte per obbedienza ad un ordine irrecusabile, o magari, come pare fosse il caso di Abdul-Aziz, per mano di un sicario imperiale.
Sul conto di Jussuff Izzedin, molte e diverse sono le dicerie. Fra lui ed Enver-pascià – il ministro per la guerra tiranno, che, alla testa del violento partito giovine-turco, ha legate le sorti della Turchia a quelle dei due Imperi Centrali – sono accaduti fieri contrasti, scene violente. Enver-pascià nutre grandi ambizioni; è capace di sognare il giorno in cui il trono degli Osmani possa diventare il suo, grazie alla violenza militare. Costantinopoli, l’antica Bisanzio, conosce da secoli le successioni imperiali imposte dai giannizzeri. Jussuff Izzedin era contrario alla tirannia militare di Enver-pascià; ma era troppo debole di spirito, troppo infermiccio – lo afferma anche un medico italiano vissuto a Costantinopoli e che bene lo conosceva – per potere rappresentare quando che fosse un grave ostacolo per lui. Dunque si può ammettere anche la versione del suicidio: era – dicono – un paranoico, viveva in ansie diurne e notturne per le condizioni della propria salute: era qualche cosa più di un mattoide – può benissimo essersi suicidato – sebbene in certe forme di decadimento dell’energia nervosa, delle normali facoltà volitive, sembri anche difficile – secondo le conclusioni della scienza – che un uomo trovi la volontà necessaria a mettere fine ad una esistenza intollerabile.
La Russia ha un nuovo presidente dei ministri. Il signor Goremykin ha fatti valere i suoi motivi di salute, e lo Czar lo ha esonerato dall’alto ufficio di presidente del Consiglio, nominandolo consigliere privato di prima classe. A succedergli nella presidenza dei ministri è stato chiamato il signor Sturmer, membro del Consiglio dell’Impero, vale a dire senatore.
Goremykin presiedeva il ministero russo da circa due anni, è avanti in età, ha attraversato, specialmente dall’agosto del 1914, un periodo difficile per la politica interna ed esterna della Russia, e si può ammettere, senza ricorrere ad almanaccamenti, che il suo ritiro dal potere sia stato realmente determinato da vero bisogno di riposo.
Inoltre egli era da qualche tempo esposto agli attacchi dei liberali in causa della politica interna prevalentemente reazionaria.
Il signor Sturmer, però, non pare sia stato chiamato alla presidenza dei ministri per dare ai liberali russi una qualche soddisfazione. Egli si è affrettato a dichiarare che la politica interna non muterà – non è certamente questo il momento per mutarla. Ma con uguale prontezza ha soggiunto che non muteranno nemmeno, né la politica internazionale, né la condotta della guerra.
Valgano queste dichiarazioni per coloro che nell’assunzione dello Sturmer avevano voluto vedere come un sintomo di una supposta tendenza russa ad avviarsi ad una pace separata con l’Austria e con la Germania.
Il signor Sturmer, in un’intervista accordata ad un redattore della Novoie Vremia, ha esplicitamente dichiarato che di pace separata è fin ridicolo parlare; è il sogno di coloro che credono che la Russia si trovi in condizioni di esaurimento.
«Coloro che parlano di esaurimento finanziario ed economico della Russia – ha detto egli – mi sembrano comici, perché né il popolo russo, né la Russia possono essere esauriti o vinti».
Dunque avanti, fino alla vittoria – verso la quale tendono tutti, di una parte e dell’altra!...
Così in Italia ora chiamiamo «prestito della vittoria» quello che il nostro popolo va accogliendo con sempre più rassicurante fiducia, la quale da parte delle masse popolari italiane ha un innegabile carattere di novità, in confronto delle antiche consuetudini di diffidare del collocamento del danaro in titoli pubblici.
Un comunicato ufficiale dà per sottoscritti a tutto il 3l gennaio due miliardi e seicentocinquanta milioni. La sottoscrizione è prorogata al 1° marzo prossimo. Non è dunque esagerata la previsione che i tre miliardi saranno raggiunti.
Alcuni istituti fanno dono ai sottoscrittori di un elegante diploma di benemerenza, che rimarrà fra i ricordi di questa epoca storica nella quale l’Italia ha mostrato di saper fare la sua parte, orgoglio degl’italiani presenti e dei venturi.
Anche nel 1866 – per la guerra contro l’Austria, onde la Venezia fu liberata – fu fatto qualche cosa di simile. Ecco lì, alla parete, in una cornice di noce, tal quale lo trovai appeso ad un muricciuolo di fianco alla banca di un rivendugliolo di anticaglie, il certificato-diploma intestato nientemeno che a «l’on. Alessandro Manzoni, senatore del Regno». Il diploma porta la data l° agosto 1866, certifica che l’illustre autore dei Promessi Sposi versò (al Consorzio Nazionale) cento lire, ed è firmato da Massimo d’Azeglio presidente e da Cesare Correnti, segretario!
Tre grandi nomi nella medesima pagina – i nomi di tre glorie nostre che esulterebbero nel vedere alla prova l’Italia d’oggidì, dopo i generosi ardimenti e le amarezze di quel 1866, di cui ora i nostri valorosi soldati e marinari stanno facendo eroicamente le vendette!...
9 febbraio