Corriere della Sera, 14 agosto 2016
In morte di Ettore Bernabei
Paolo Conti per il Corriere della Sera
Addio a Ettore Bernabei, personaggio chiave della storia politica e mediatica del secondo Novecento italiano, di quella Prima Repubblica che si lasciò alle spalle il fascismo, le distruzioni della guerra, per costruire un’Italia nuova, libera dalla dittatura e finalmente democratica, con tutte le contraddizioni che la storia ha già registrato.
Aveva 95 anni, era nato a Firenze, dove si era laureato in Lettere moderne e aveva diretto dal 1951 al 1956 «Il giornale del Mattino», quotidiano di ispirazione democristiana. La fede cattolica, e il credo politico legato a quell’ideale, saranno sempre il suo orientamento. Infatti nel 1956, sotto Amintore Fanfani, il suo mentore politico e amico di una vita, viene chiamato a dirigere Il Popolo, il quotidiano della Democrazia cristiana.
Ma la vera avventura di Ettore Bernabei è la direzione generale della Rai, dal 1961 al 1974. È lui a ideare, per incarico della Dc, una tv pedagogica e culturale. L’obiettivo è l’ unificazione anche linguistica di un Paese ancora largamente legato a una cultura contadina, afflitto da vaste aree di analfabetismo e da un profondo divario tra Nord e Sud. La Rai di Bernabei acculturò gli italiani e portò nelle loro case (spesso anche nei bar o nei cinema) i grandi sceneggiati adattati alla tv. Per fare un solo esempio, nel 1963 milioni di italiani seguirono col fiato sospeso in prima serata «Delitto e castigo» di Dostoevskij per la regia di Anton Giulio Majano e con attori del calibro di Ilaria Occhini, Luigi Vannucchi e Gianrico Tedeschi. Si potrebbe citare anche il celeberrimo «I promessi sposi» di Manzoni, del 1967, per la regia di Sandro Bolchi con un cast indimenticabile: Giancarlo Sbragia, Paola Pitagora, Nino Castelnuovo, Lilla Brignone, Tino Carraro, il meglio del teatro di prosa del tempo. La tv di Bernabei fu anche quella didattica di «Non è mai troppo tardi», straordinario appuntamento di alfabetizzazione degli adulti che durò fino al 1968, destinato soprattutto a quelle aree rurali in cui intere generazioni non erano state scolarizzate: il maestro Alberto Manzi, autore di splendidi libri per l’infanzia, individuò una chiave didattica originale e convincente (basata sull’affabulazione, sui disegni, su una grafia comprensibile) per sottrarre migliaia di contadini italiani alla loro condizione di analfabeti.
Sarebbe banale e ingiusto ridurre Bernabei al famoso episodio delle calze nere imposte alle Kessler in «Giardino d’inverno» nel 1961. Lo spiegò chiaramente in un’intervista al Corriere della Sera rilasciata nell’agosto 2012 a chi scrive, in una giornata in cui apparve particolarmente ironico e puntuale, nonostante i suoi 91 anni: «Ne hanno scritte di tutti i colori, hanno parlato di censure, d’interventi papali… l’unica verità e che io e i miei collaboratori, a partire da Pier Emilio Gennarini, eravamo convinti che la donna fosse l’altra metà del cielo. Non eravamo misogini ma avevamo un’idea dell’immagine femminile nella società italiana opposta rispetto all’oggetto di strumentalizzazione che vediamo oggi in tv…».
Nel 1970 apparve il primo ombelico in tv, quello di Raffaella Carrà. Ed ecco il ricordo di Bernabei, sempre in quell’intervista: «Anche in quel caso, lì per lì, ci furono perplessità. Ma poi le superammo. Raffaella Carrà era giovane, molto bella, soprattutto molto brava. Il prodotto finale non aveva nulla di torbido. Anche qui, il segreto fu l’eleganza, la misura, il buon gusto. Se vogliamo, il famoso ”Tuca Tuca” non era proprio una faccenda da bambini… Ma non si debordava mai».
Il Bernabei del dopo 1974, quando dovette lasciare viale Mazzini sull’onda della riforma, si ritrova alla guida dell’Italstat, finanziaria a capitale statale specializzata nella progettazione di grandi infrastrutture, che nel 1991 lascerà con un capitale sociale di 1.500 miliardi di lire ed un fatturato annuo di 6 mila miliardi di lire. Nel 1992 l’avventura personale, la fondazione della società di produzione «Lux Vide», specializzata in storie bibliche, in vite dei santi, in Don Matteo. Ma sempre con un occhio sulla società italiana. Famosa la sua polemica sui reality, «modello che nulla ha a che fare con i milioni di italiani che studiano, ricercano, o la mattina si alzano prestissimo». Etica televisiva, fino all’ultimo.
Silvia Fumarola per la Repubblica
La Rai come missione, per unire l’Italia con la lingua, creare la tv pedagogica e sperimentare: Ettore Bernabei, il più rivoluzionario dei democristiani, è morto ieri a 95 anni. E’ stato il direttore generale della Rai che nel 1960 “inventò” la televisione per tutti”. I novant’anni furono celebrati con una sua lectio magistralis presso la Pontificia Università Lateranense il 16 maggio 2011.
Nato a Firenze nel 1921, laurea in Lettere moderne, dal 1951 al 1956 è direttore del Giornale del Mattino, quotidiano fiorentino d’ispirazione cristiana. Vicino a Amintore Fanfani, nel 1956 è chiamato a Roma a dirigere
Il Popolo, organo di stampa della Democrazia Cristiana. Ma è la televisione il suo destino: dal 1961 al 1974 fu direttore generale della Rai, allora unica emittente televisiva e radiofonica in Italia. Da “Tv7” agli sceneggiati tratti da opere letterarie come l’Odissea, i romanzi di Tolstoj, di Manzoni, di Cronin, Bernabei apre le porte ai grandi autori: affida a Rossellini “Gli Atti degli Apostoli” e a Zeffirelli il “Gesù di Nazareth”. In tv c’è anche il maestro Manzi e il suo “Non è mai troppo tardi” che fa lezione agli italiani. Tra gli episodi più discussi la censura a Franca Rame e Dario Fo per uno sketch sui morti sul lavoro a Canzonissima. Era il 1962, la polemica durò a lungo e lui rivendicò sempre la scelta.
Carattere forte, ironia toscana, otto figli, uomo di potere e patriarca — non c’è dirigente della Rai che non lo abbia consultato — dopo l’esperienza all’Italstat dove resta fino al 1991, nel 1992 fonda a Roma la società di produzione televisiva Lux Vide (dove lavorano come produttori i figli Luca e Matilde e con cui realizza successi come Don Matteo e La Bibbia).Gli anni della Rai sono rimasti nella storia: «Quando divenni direttore generale, dopo qualche tempo decisi di costituire un ufficio che si occupasse delle raccomandazioni. Mi arrivavano ogni anno tra le diciassette e le diciottomila segnalazioni. Sei impiegati le raccoglievano, le catalogavano comunicandomi poi i segnalati e i segnalatori… Gli impiegati rispondevano a tutti. E in certi casi intervenivo personalmente».
Assume Enzo Biagi e Arrigo Levi. «Un giorno», ricordava, «la segretaria mi avvertì che al telefono c’era un certo Ingmar Bergman. Mi spiegò in francese che voleva fare per la Rai un film sulla Passione di Cristo. Anche se si vantava di essere protestante e diceva che la sua visione della Passione sarebbe stata diversa da quella cattolica, gli risposi che il film lo volevo fare. Mi ricordo che ne parlai anche in segreteria di stato con il cardinale Benelli, uomo d’intelligenza acuta, un po’ Mazzarino e un po’ Richelieu. Purtroppo però Bergman si ammalò ai polmoni e non se ne fece più niente».
Una zia della moglie gli segnala Renzo Arbore che da ragazzo girava nei piccoli teatri pugliesi: «Ha fatto una carriera splendida perché era un uomo di cultura e di valore». Diceva che il segreto è saper scegliere gli uomini «e per fare la televisione bisogna sceglierli tra quelli che la sappiano pensare». Cattolico convinto, legatissimo all’amico Fanfani, di casa in Vaticano, Bernabei si vantava di capire gli italiani.Via le gonne lunghe, lanciò in televisione le gemelle Kessler: «Quelle gambe in calzamaglia erano un capolavoro un po’ platonico». Non aveva dubbi: «Le Kessler mandavano gli italiani a dormire tranquilli, gli italiani che poi dovevano votare. Le Veline invece fanno venire voglia di dargli un morso. Ma poiché poi, in realtà, non c’è nulla da mordere, la gente si arrabbia».
La Stampa
Ettore Bernabei, 95 anni, è morto ieri nella sua casa all’Argentario. Giornalista prima e manager dopo, ma, soprattutto, direttore generale della Rai per quasi 15 anni. Un’esperienza a cui è rimasto legato il suo nome.
«Si è spento serenamente - racconta il figlio Luca - in un luogo che amava tanto e dove gli piaceva riunire la famiglia, forte del senso di accudimento per i suoi che ha sempre avuto. Era a tavola e fino al pomeriggio ha parlato di politica e di economia. Se n’è andato tranquillo, pronto a questo momento».
Nato a Firenze il 16 maggio 1921, Bernabei era un cattolico praticante. Padre di 8 figli, aveva dedicato la vita al giornalismo. Laureato in Lettere moderne, aveva iniziato l’attività giornalistica a 25 anni. Dal 1951 al 1956 aveva diretto il Giornale del Mattino, quotidiano fiorentino d’ispirazione cristiana. Vicino all’allora segretario della Democrazia Cristiana Amintore Fanfani, nel 1956 era poi stato chiamato a Roma a dirigere Il Popolo, organo di stampa della Dc.
Nel 1961 l’inizio della lunga esperienza ai vertici della Rai. Fu il direttore generale fino al 1974, negli anni in cui la televisione pubblica aveva la «missione» di educare gli italiani e in cui trasmise programmi come Tv7 e sceneggiati tratti da grandi opere letterarie come l’Odissea e i romanzi di Tolstoj, Manzoni e Cronin. Furono inoltre realizzate serie tv come Gli Atti degli Apostoli per la regia di Roberto Rossellini o Gesù di Nazareth di Franco Zeffirelli.
Nel 1974, conclusa l’esperienza in Rai, Bernabei iniziò la sua «seconda» vita, da manager chiamato a dirigere l’Italstat, finanziaria a partecipazione statale specializzata nella progettazione e costruzione di grandi infrastrutture e opere di ingegneria civile. L’Italstat aveva un capitale sociale di 100 miliardi di lire e un fatturato annuo di 450 miliardi. Quando, nel 1991, Bernabei ne lasciò la presidenza, il capitale sociale era di 1.500 miliardi e il fatturato di 6 mila miliardi.
Nel 1992 fondò a Roma la società di produzione televisiva Lux Vide, che puntava a produrre fiction televisive per le famiglie. Il progetto più impegnativo fu Le storie della Bibbia, serie televisiva di ventuno episodi tratti dall’Antico e dal Nuovo Testamento trasmessi in Italia e in altri 143 Paesi.
Il Messaggero
Si è spento ieri sera all’Argentario, dove si trovava in vacanza con la famiglia, Ettore Bernabei, 95 anni, storico direttore generale della Rai e produttore televisivo. A confermare la notizia della morte è stato il figlio Luca: «Papà s’è spento serenamente, in un luogo che amava tanto, dove gli piaceva riunire la famiglia, forte del senso di accudimento per i suoi che ha sempre avuto. Era a tavola e fino al pomeriggio parlava di politica ed economia. Se n’è andato tranquillo, pronto a questo momento».
CHI ERA
Nato a Firenze il 16 maggio 1921, Bernabei era un cattolico praticante, molto vicino al Vaticano, padre di otto figli e con una grande passione: il giornalismo. Bernabei si era laureato in Lettere moderne all’Università di Firenze. Il 1946 è l’anno in cui comincia il suo lavoro come giornalista. Dal 1951 al 1956 è già direttore del Giornale del Mattino, quotidiano fiorentino d’ispirazione cristiana. Vicino all’allora segretario della Dc Aminore Fanfani, nel 1956 è chiamato a Roma a dirigere Il Popolo, organo di stampa della Democrazia Cristiana. Un’avventura che lo proietta, dal 1961 al 1974, alla direzione generale della Rai, allora unica emittente televisiva e radiofonica in Italia. Sono quelli gli anni in cui la televisione di Stato produce e trasmette programmi come Tv7 e sceneggiati tratti da grandi opere letterarie come l’Odissea e i romanzi di Lev Tolstoj e Alessandro Manzoni. Prendono vita in questi anni, inoltre, alcune grandi serie televisive di successo, come Gli Atti degli Apostoli per la regia di Roberto Rossellini, o Gesù di Nazareth diretto da Franco Zeffirelli.
È nel 1974, con l’addio alla Rai, che Bernabei inizia la sua seconda vita da manager: è chiamato a dirigere l’Italstat, una finanziaria a partecipazione statale specializzata nella progettazione e costruzione di grandi infrastrutture ed opere di ingegneria civile. In quell’anno il fatturato di Italstat è di 450 miliardi di lire. Quando, nel 1991, Bernabei ne lascia la presidenza, la cifra è lievitata a 6 mila miliardi di lire. Il 1992 è un altro anno cruciale per Bernabei, perché fonda a Roma la società di produzione televisiva Lux Vide, che si propone di produrre programmi di fiction televisiva e che oggi è guidata dai suoi due figli Luca (amministratore delegato) e Matilde (presidente). Il progetto più impegnativo realizzato dalla Lux è Le storie della Bibbia, la serie televisiva di ventuno film tratti dall’Antico e dal Nuovo Testamento.