la Repubblica, 12 agosto 2016
Il più sconfitto di tutti nel caso Schwazer è Sandro Donati
Si esce tutto sconfitti dalla brutte storie. Da quelle che si attorcigliano e alla fine avvinghiano, senza fare più respirare. Donati-Schwazer-Iaaf-Tas. Sarebbe stata un bella favola, ma appunto anche le fiabe vanno a male. E se si cercano sentenze, quelle vanno rispettate. Anche se possono sembrare irrispettose e molto giustizialiste, e con una punta di vendetta, come quella che ha condannato Alex Schwazer a 8 anni di squalifica. Più sconfitto di tutti ne esce Sandro Donati che era tornato ad allenare un atleta. E a vivere la quotidianità di un agonismo sportivo. Tornava alla sua antica passione e al suo vecchio lavoro: studi, tabelle, metodologia, ma sul campo. Dove ci sono risposte immediate. La carica viscerale che ha messo in questo rientro è stata forte, si è messo in gioco in tutti i modi, facendosi anche carico dei problemi finanziari. Da accusatore che sapeva come si rovinano gli atleti con il doping, si è messo al servizio di un’idea di normalità di pratica sportiva. Schwazer si è allenato a Roma su un percorso cittadino, dove passeggiano pensionati, bambini e cani. Donati si è speso molto, è eccessivo nelle sue ragioni (nel senso che non ha mai dubbi), perché tutto il sogno si è nutrito di eccesso. Far vedere agli altri che Schwazer poteva rivincere da pulito, senza doping. Dimostrare agli altri che Schwazer era stato era stato lasciato solo con i suoi demoni, senza puntellare le sue fragilità. Non è stata più una lotta per far recuperare l’eccellenza a un ex ragazzo di talento, ma una guerra al mondo, al passato, ai vecchi e nuovi nemici, a chi lo aveva allontanato e messo lì a marcire. La rivalsa di Donati è stata una macchia che si è allargata e che si è fusa con quella di Schwazer. Dentro, nessuna leggerezza, ma una pesantezza scura, infelice. Un pozzo nero dove tutti e due volevano riprendersi una cosa loro: credibilità, capacità, futuro. E soprattutto un sogno olimpico che è diventato per altri un sogno da scrostare.
Donati si è buttato nella crociata, con fede assoluta, e a testa bassa. Lavorandoci, credendoci, impegnandosi. Il vero sconfitto è lui. Prima di rientrare insieme con Schwazer in Italia ha definito la sentenza un ergastolo sportivo. «È stato tutto costruito, gli indizi sono una montagna. Solo che noi non abbiamo una telecamera che riprende chi ha manipolato tutto. Vorrei vedere chi può ricostruire una faccenda che ti comunicano con 6 mesi di ritardo: noi abbiamo ricevuto la positività il 21 giugno e le analisi erano state fatte il primo gennaio. A quel punto non abbiamo potuto far altro che ricostruire tutto l’insieme trovando molti punti oscuri. Io ho parlato di delitto sportivo, non credo sia stato perfetto perché stanno già emergendo parecchi punti deboli. Qui si tratta di mettere insieme, con pazienza, tutti i pezzi del puzzle e poi però non farli giudicare da un organismo di giustizia sportiva che segue delle regole particolari, ma dalla giustizia ordinaria». Intanto però la 20 km di marcia parte senza Schwazer e senza un tecnico che finalmente tornava ad allenare sulla strada.