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 2016  agosto 12 Venerdì calendario

Alex Schwazer vuole cambiare vita subito: «Spero di esserne capace». Intervista

RIO DE JANEIRO Il taxi per l’aeroporto è arrivato, Alex no. È uscito presto a camminare sulla spiaggia di Copacabana, quella dove mercoledì mattina ha svolto l’ultimo allenamento della carriera: 36 chilometri sotto il diluvio con Sandro Donati a ruota in bici. Dodici ore dopo la sentenza di squalifica Alex Schwazer ha ancora occhiaie profonde e viso scavato, ma è più sereno.
Come sta?
«Come uno che deve chiudere un capitolo della sua vita in fretta per non farsi male. Non voglio scappare, devo cambiare. Spero di essere capace».
Lei ha un precedente, una lunga squalifica per doping. Non le ha indicato delle vie di uscita?
«È diverso. Nel 2012 è stato faticoso ma più facile: ero colpevole, imbroglione, dopato. Mi sono salvato tornando nel mio mondo, che adesso non esiste più. Ora sono una vittima. Dopo la positività ho passato una settimana allucinante. Mi ha salvato la lotta per la verità che abbiamo iniziato con Sandro Donati. Ma abbiamo perso. Lui continuerà a lottare, con tutto il mio appoggio. Io devo cambiare vita. Subito».
Non era preparato? Come poteva pensare di sconfiggere la federazione internazionale?
«Sono – anzi ero – un atleta, mica un avvocato. Quando affronti una gara lo fa sempre per vincere, anche se hai poche speranze».
Cosa farà adesso?
«Non lo so. Durante la squalifica ho provato col ristorante, gli anziani, l’università. Ho sempre fallito e mi spaventa fallire ancora. Allenamento è massacrarsi di fatica per un obiettivo altissimo. La maggior parte dei lavori è routine, allenamento di scarico. Non riesco a immaginarlo».
Ci sarà un progetto che aveva in mente per il fine carriera.
«Un lavoro nello sport. Ma mi viene da ridere: che mestiere può fare un dopato nel mondo dello sport? Allena i ragazzi?».
Nel 2012 il doping le costò anche la fine del rapporto con Carolina Kostner. Oggi al suo fianco c’è Kathia.
«In questi mesi di allenamento a Roma e poi in queste settimane di angoscia lei è stata un riferimento fondamentale. È una relazione importante, vorrei fosse quella della vita. Amore a parte, ammiro la sua indipendenza: si è costruita un’attività e l’ha portata avanti da sola fin da ragazza. Vorrei essere capace di fare così: inventarmi un mestiere normale con l’entusiasmo che ci mette lei ogni mattina. Kathia non sa nulla di sport, di controlli, di doping. Con Carolina era tutto in comune. Solo vivendo in mondi diversi riesci a non impazzire».
Continuerà a marciare?
«Continuerò a correre e pedalare. Non posso stare fermo, mi viene troppo da pensare. Quando Sandro mi ha detto che avevamo perso, sono andato a camminare sulla spiaggia. Non sono scappato dalle telecamere, io posso dominare i pensieri solo muovendomi. Marciare no: mai più, nemmeno per un metro. La marcia non è libertà, ma controllo maniacale dei movimenti del corpo: le gambe, le braccia, le spalle. La marcia è dolore e agonismo. Non sarò mai più un marciatore».
Scrittori e intellettuali la sostengono, la maggior parte dei suoi colleghi la odia.
«Non ricambio il loro odio, anzi lo capisco. L’atletica è tutti contro tutti. Dare del dopato a un collega è il miglior modo per giustificare che vai più piano di lui o sei meno popolare. Non odio Tamberi: lui non sa chi sono, cosa ho vissuto. Non può capire, per lui e per gli altri sono solo un dopato. Pazienza».
La prima cosa che farà arrivato in Italia?
«Prenderò un treno per Bolzano e il bus fino a Vipiteno. Poi salirò in bici e scalerò il Passo Giovo».
Resterà a Vipiteno?
«È la mia terra, ci sono i miei genitori. Non potrei mai lasciarla».
Guarderà le gare olimpiche di marcia?
«Le ho cancellate dalla mente».