La Stampa, 12 agosto 2016
Elisa Di Francisca contro l’Isis (non ridete)
Gianni Riotta per La Stampa
Elisa Di Francisca ha appena vinto l’argento nel fioretto femminile ai Giochi Olimpici di Rio de Janeiro 2016. Un reporter italiano le porge la bandierina blu dell’Unione Europea con le stelle, e l’agente della Polizia di Stato, gruppo sportivo Fiamme d’Oro, non esita. La prende e la sfoggia con il sorriso accattivante con cui ha vinto in tv le gare di Ballando con le Stelle nel 2013, dopo l’oro olimpico a Londra 2012. A ogni vittoria promette di fidanzarsi, smettere di fumare, fare un figlio.
Finora solo il primo impegno è stato mantenuto, Elisa vive a Jesi, patria della scherma con Vezzali e Trillini, una storia d’amore a distanza con un producer tv («mi scoccia non averlo sempre tra i piedi… un fidanzato aiuta a sistemare gli armadi»), ma ancora fuma e, a 33 anni, il bambino si fa attendere.
La bandiera europea era già un sogno quando sfilano gli atleti ai Giochi Invernali del 1992 ad Albertville, e Romano Prodi, presidente europeo, auspica dopo Atene 2004: «Spero che a Pechino 2008 gli Stati europei sfilino insieme, con la bandiera dell’Unione Europea accanto a quelle nazionali» vantando le 82 medaglie d’oro vinte dagli atleti Ue, più di Usa, Cina e Russia. Il tempo vola e da quelle speranze l’Europa si è ormai ritratta. Elisa Di Francisca accetta il vessillo offerto inorgoglita dai successi e dall’unità del vecchio, litigioso, continente da cui la Gran Bretagna è appena uscita. Con franchezza, la poliziotta De Francisca spiega che il gesto è omaggio alle vittime del terrorismo fondamentalista islamico: «L’Europa esiste ed è unita contro il terrorismo. Ho portato la bandiera europea sul podio per le vittime di Parigi e Bruxelles. L’Isis? Il terrorismo non deve vincere. Dobbiamo essere uniti e non dobbiamo darla vinta al terrore. Non diamola vinta a chi vuole farci chiudere dentro casa».
La campionessa non è mai banale, né è nuova a posizioni pubbliche coraggiose, ha parlato delle violenze subite dal suo compagno quando era a scuola, «da una spinta si passa a uno schiaffo e poi…», mentre dal sito «La Mia Africa» documenta la missione umanitaria del 2012 in Kenya con la onlus Intervita. Le parole con cui accompagna il gesto di accettare la bandiera Ue sul podio sono nitide, «Non darla vinta ai terroristi Europa!», ma subito si apre la gara a travisare, edulcorare, strumentalizzare. La ministro degli Esteri europea Federica Mogherini, con senso della misura, twitti da @federicamog «La bandiera dell’Europa, gli ideali della meglio gioventù. Brava due volte», ma non basta e la portavoce della Commissione Europea, Mina Andreeva, non resiste a tradurre la vicenda in pomposo Euroburocratese: «Il ruolo positivo dello sport che permette di costruire network e dialogo» tra le diverse culture, la Ue «celebrerà lo sport e il suo valore per incoraggiare il rispetto reciproco ed il dialogo». Il presidente del Parlamento Ue Martin Schulz elogia Elisa «per il messaggio di unità».
Dialogo? Network? Unità? Fiutata l’aria, la Di Francisca prova a chiarire il messaggio, già nitido a chi ascolta: «Viviamo nella paura, negli aeroporti e negli ascensori. C’è meno Europa di prima, ma possiamo convivere tutti insieme con amore. Il mio è stato un atto di amore, mi è venuto dal cuore. Non c’è un messaggio politico ma solo di coscienza: vogliono che abbiamo paura uno dell’altro, noi invece dobbiamo rispondere con l’amore. Ci teniamo alla vita, per chi crede è un dono di Dio da rispettare… non possiamo fare il «loro» gioco. Ci vogliono antagonisti, rivali, vogliono che abbiamo paura uno dell’altro, provano ad infondere terrore…». Chiaro, no? Elisa ha accettato di buon grado la bandiera per raccogliere gli europei in ricordo delle vittime di Parigi e Bruxelles. Punto. Inutile trascinarla in un petulante talk show su Brexit ed euro, tra europeisti inamidati e anti-Ue fracassoni. Elisa Di Francisca non se la prenda, i velocisti americani Smith e Carlos salutarono col pugno chiuso dal podio olimpico 1968 e finirono fischiati dai messicani e squalificati dalla Federazione per il loro coraggio. «Non celebravamo il Potere Nero – scrive nelle sue memorie Tommie Smith – ma i diritti civili ed umani». Li capì l’altro atleta sul podio, il bianco australiano Peter Norman, che indossò un distintivo dell’Olympic Project for Human Rights in solidarietà contro il razzismo e aiutò ad organizzare la protesta. Tornato a casa si vide insultato da politici e giornalisti, cadendo in depressione. Al funerale di Norman, ottobre 2003, la bara venne vegliata da Smith e Carlos e il Parlamento australiano gli porse finalmente le scuse. Sono serviti 35 anni per capire quel gesto, vedremo quanti ce ne vorranno per intendere bene Elisa Di Francisca. Intanto brava, e forza!
Paolo Brusorio per La Stampa
Elisa Di Francisca, il giorno dopo. Un aereo da prendere al volo, ha chiesto e ottenuto di rientrare in Italia con ventiquattr’ore d’anticipo. La medaglia d’argento nel fioretto al collo e quella bandiera dell’Ue mostrata dopo la premiazione che ha fatto il giro del mondo e non smette di sventolare.
Ma quando le è venuto in mente?
«Avevo questa idea in testa da moltissimo tempo. Non ne potevo più di tutti quegli attentati in giro per l’Europa, ogni volta era un colpo alla nostra civiltà. Con quel gesto ho dato voce al mio tormento».
Che cosa la tormenta?
«Che il terrorismo possa entrare nella testa delle persone. Se succede finiremo che avremo paura uno dell’altro».
Perché la bandiera dell’Ue?
«Perché sono europea. Perché siamo europei e dobbiamo rimanere uniti contro chi ci minaccia, contro le paure».
Paura degli attentati?
«Non solo. Noi dobbiamo essere uniti contro chi ci vuole dividere, contro chi vuole costringerci a una vita da segregati per il timore delle bombe. Io me ne accorgo quando vado in giro, c’è la paura. Ecco, con le dovute precauzioni, ma non possiamo smettere di vivere un vita normale perché l’Isis ci minaccia. Ma l’Isis non vincerà».
Lei è stata la prima a compiere un gesto simile: è la più coraggiosa o agli altri atleti manca una coscienza civile?
«Credo che ognuno di noi senta questa angoscia dentro e questa voglia di ribellarsi. Il mio gesto arriva dal cuore e l’avrebbero potuto fare moltissimi altri atleti. Perché io allora? Perché ero sul podio e per una questione di carattere. Altri forse sono più timidi di me».
È arrivata dall’Italia con la bandiera dell’Ue?
«Da casa sono arrivata con l’idea. La bandiera l’ho recuperata qui a Rio».
Lei gira molto: ha mai avuto paura?
«Io? Sempre, ma ho anche tanto coraggio. Lo stesso che metto in gara. Alterno paura e coraggio: in gara, due sere fa, sono stata una leonessa che, però, non ha voluto rompersi il naso. Vede? Coraggio e paura insieme».
Che cosa le hanno detto gli altri atleti?
«Tutti mi hanno fatto i complimenti. Per la medaglia e per il gesto, l’hanno condiviso. Hanno capito che veniva dal cuore. Noi non nasciamo kamikaze, noi teniamo alla vita. C’è gente che tutti i giorni si aggrappa alla vita con tutte le proprie forze. E’ la nostra civiltà».
Lei ha avuto la ribalta olimpica, ma come si sostengono ogni giorno questi valori?
«Lavorandoci sempre. Innaffiandoli quotidianamente. Non dobbiamo lasciare che gli altri prendano il sopravvento».