Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 1916  febbraio 13 Domenica calendario

La politica russa prima della guerra¹

Il principe Gregorio Trubezkoi appartiene a una di quelle famiglie dell’aristocrazia russa in cui l’arte della politica è come un appannaggio ereditario. La struttura sociale della Russia fa che, anche ora, tali uomini soltanto sono in grado di parlare ed agire per i destini totali del paese, di cui essi sono per lunga tradizione i depositari. Le nostre nazioni d’occidente, che anche nei momenti supremi affidano la somma delle loro volontà e delle loro energie a uomini che, giustamente, si gloriano di essere dei semplici borghesi, avrebbero torto a meravigliarsi che in Russia questo non avvenga: intanto, se prestano attenzione a ciò che della politica del suo paese medita e scrive un uomo come il principe Trubezkoi, sanno di ascoltare tale che parla con conoscenza ed esperienza di causa. Specialmente dove l’argomento del discorso è di politica balcanica: poiché il Trubezkoi è stato per lungo tempo capo del dipartimento degli Esteri per gli affari dell’Oriente europeo e poi, fino a ieri, rappresentante del suo governo presso quello della Serbia.
Il suo libro sulla politica estera della Russia, che esce oggi tradotto in italiano sotto il titolo La Russia come grande Potenza, è senza dubbio un libro retrospettivo. Scritto nel 1910, cioè prima delle due guerre balcaniche che hanno creato quella situazione internazionale da cui è scaturita la guerra europea che stiamo combattendo, non è un libro che possa rispondere alle nostre curiosità più ansiose.
L’autore stesso non nasconde di avere esitato a consentire oggi a che fosse tradotto questo suo libro di ieri. Quasi di ieri l’altro, poiché gli eventi si sono in questi ultimi anni accavallati con tale precipitazione che il ritmo del tempo si è accelerato e i fatti di ieri sembrano già proiettati a distanza di un decennio: nell’unica guerra europea in realtà si combatte una serie di guerre che in altri tempi si sarebbero distribuite lungo la vita di qualche generazione.
Il libro appare tuttavia opportuno perché anche là dove non ha rapporto immediato con i casi d’oggi, si collega alle loro origini, e li illumina indirettamente. Opportuno in ogni caso, perché la politica in genere dell’Impero russo non è di quegli argomenti che sieno famigliarissimi anche tra coloro che oggi avrebbero caro di seguire il corso degli avvenimenti non solo con il cuore palpitante ma anche con gli occhi aperti.
La sintesi della politica russa vi è tratteggiata con evidenza e con sincerità. Se non ha da fare romanzesche rivelazioni di Gabinetto, il principe Trubezkoi non ha nemmeno da nascondere oscuri e pericolosi disegni di governo.
Per questo il libro del politico russo è proprio in antitesi con il libro analogo del cancelliere germanico, Bülow. Mentre questo, ante bellum, rifletteva un programma di Potenza tutta orientata a certi fini e preparata a tutti i suoi fini con altrettanti mezzi militari e politici, l’opera del Trubezkoi riflette l’azione di un grande Stato piuttosto potenziale che effettivo, alimentato da alcune fondamentali idealità politiche ma incerto nella direzione dei suoi sforzi; disposto a deviare, a ricredersi, a ritornare su sé stesso: una mole possente che tende ad agire con grandiosità, ma che nella stessa sua grandiosità può dare l’impressione di volubile e incoerente.
La Russia tra le grandi Potenze europee è stata da un secolo quella che, in proporzione con i suoi mezzi, ha avuto minori successi. La sua costituzione, per cosi dire fisica, è di quelle che in qualunque caso la assicurano dal disastro: ma questa fortuna negativa non si è congiunta con altrettale fortuna positiva. Ha pesato sulla Russia il curioso destino di non poter mai sfruttare la vittoria: sembra che le sia mancato del tutto quell’arte che la Germania ha esagerato fino al punto da deformare il suo capolavoro in un mostro.
Fa, nel ’76, contro la Turchia, la guerra più popolare – popolare perché il panslavismo inteso nella sua funzione di liberatore ortodosso degli ortodossi è l’unico movente che in Russia valga a commuovere la più vasta anima nazionale – la vince, e il trattato di Berlino le toglie anche i resultati morali della vittoria, costringendola ad abbandonare i serbi e i montenegrini alla soperchieria austriaca. Come svogliata e delusa, abbandona, più che non si creda, a sé stessi i popoli balcanici redenti dal giogo turco, e si volge altrove. Sembra rassegnata alla diffidenza di tutta l’Europa che la tiene lontana, e si ricorda di essere anche una enorme Potenza asiatica. Ma anche nel centro dell’Asia si imbatte in quella stessa Inghilterra che in Europa è la più severa custode della porta chiusa degli Stretti: l’Imperialismo pesante della burocrazia russa non ha molta fortuna in Persia e nel Tibet contro la più agile arte di dominio coloniale propria degli inglesi.
Avviene allora la grande deviazione verso l’estremo Oriente. Il principe Trubezkoi afferma – e gli si può credere – che nemmeno laggiù l’espansione russa aveva precisi intenti di conquista. Ma, urtatasi nel Giappone, del quale subito non aveva compresa la vera forza, si lascia trascinare, mediocremente preparata, alla terribile guerra di Manciuria. È vinta ma non a tal punto che il trattato di Portsmouth non sembri sproporzionato ai reali vantaggi ottenuti militarmente, almeno per terra, dal Giappone. Non importa; anche il Trubezkoi è contento di quel trattato perché quel trattato, completato dal successivo accordo di Pietroburgo del 21 giugno 1910, riesce ad una liquidazione totale. È la rinuncia ad un sogno imperialistico di origine burocratica; è una garanzia di pace perpetua con il rivale che potrebbe diventare laggiù un ottimo alleato.
Con l’alleanza francese e con la Conferenza di Algesiras, che segna l’allontanamento definitivo dell’Inghilterra dalle Potenze centrali e il suo avvicinamento alla Duplice, avviene anche il ritorno della Russia in Europa. Ma la crisi del 1908 per l’annessione austriaca della Bosnia-Erzegovina sorprende una Russia troppo stanca della guerra giapponese per poter imporre rispetto alle crescenti rapacità austro-tedesche. In caso di guerra con la Germania e con l’Austria la Russia del principe Trubezkoi non sperava nemmeno di poter contare assolutamente sulla Francia alleata: la Francia era plutocratica e perciò pacifica. Ma fu allora, durante la crisi del 1908, che si accorse di poter avere in Europa una alleata naturale contro l’Austria nelle faccende balcaniche: l’Italia. Gli interessi di questa sull’Adriatico non le potevano permettere di essere, ancora più che non fosse, soffocata sul mare troppo angusto per poterci vivere in due. Ecco perché anche l’Italia intravide fin da allora che, attraverso i Balcani, bisognava tendere una mano alla Russia per tagliare la strada alla spinta austro-germanica verso l’Jonio e l’Egeo.
La parte che tocca all’Italia nel quadro della politica internazionale disegnato dal principe Trubezkoi nel 1910 non è cospicua ma è la sua. Il diplomatico russo fa sue le parole di un suo collega francese che ammoniva i russi a non considerare l’Italia una Potenza secondaria: nota una certa sproporzione tra i fini che l’Italia si propone e i suoi mezzi, ma non trova quei fini illegittimi e apprezza lo sforzo per accrescere i mezzi di conseguimento. La situazione dell’Italia d’allora in equilibrio tra i suoi alleati – che se la alienavano ogni giorno più trasformando la Triplice pacifica del 1882 nella Triplice aggressiva di Agadir – e le Potenze dell’altro gruppo gli sembrava una situazione utile per l’equilibrio dei due gruppi. Poiché questo equilibrio era anche per la Russia l’intento supremo della sua politica europea, il mantenimento della pace. A qualunque costo: la volontà di pace è così viva in Russia che il Trubezkoi cerca di convincersi che perfino l’annessione della Bosnia-Erzegovina, tutto sommato, non è stata un danno irreparabile per lo slavismo nei Balcani. E si culla anche lui – nel 1910 – col progetto della linea ferroviaria transversale sboccante sull’Adriatico che sbarri all’Austria e alla Germania la via di Salonicco. Anche in regime di pace l’Italia diventa una forza su cui deve contare e su cui si conta infatti con soddisfazione: «La politica russa dal canto suo, che non aveva alcun modo di contrastare l’espansione dell’influenza economica nei vicini Stati e provincie slave, constatò con piacere la possibilità di opporre al bacillo austro-tedesco il controveleno italiano».
La guerra ha confermato questa reciproca necessità d’intesa fra Italia e Russia. I casi d’oggi stanno dimostrando quale ventura sarebbe stata per la fortuna dell’Europa combattente contro l’aggressione del germanesimo, se gli slavi balcanici non si fossero opposti con i loro egoismi a una cooperazione fin da principio più risoluta tra Russia e Italia, se le prime vittorie della Serbia non avessero creato illusioni panslavistiche che dell’Italia si potesse fare a meno per assicurare allo slavismo non lo sbocco adriatico ma quasi la sua sostituzione su quel mare al predominio austriaco.
Il panslavismo oggi è sconfitto. Ed è una lezione per tutti: per quei russi che forse veramente sognavano una russificazione degli Stati slavi meridionali, ma anche per quelli italiani che, sospettando nel panslavismo una forza meno ideale e più reale di quanto sia mai stato, hanno avuto incertezze sulla strada da seguire perché l’Austria esca da questa guerra sostanzialmente diminuita. Oggi è la dimostrazione, anche troppo cruda, di quello che a principio della guerra molti di noi affermavamo con sicurezza, essere il panslavismo un fantasma e il pangermanismo un corpo, il primo un pericolo immaginario, il secondo un pericolo effettivo.
È venuta l’ora in cui anche il meno accorto dei politici vede come sia urgente arginare nel sud-est dell’Europa la forza espansiva del germanesimo oramai – ed è la prima parte della vittoria assicurata all’Intesa – arginato nel nordovest. Anche il principe Trubezkoi afferma che ad un certo momento ogni politico è anche stratega come ogni stratega deve essere anche un uomo politico. Il consiglio di non abbandonare militarmente ad altri tutto il còmpito dell’arginatura ne rampollerebbe come la più naturale delle conseguenze. Ma è consiglio per una parte troppo ovvio e per un’altra – da parte di chi non sappia tutto quello che veramente si può – troppo presuntuoso. Gli italiani guardano senza ombra di sgomento ciò che avviene oggi nei Balcani: i russi vi guardano con la medesima serenità. Ma rimane il fatto che, pur ammettendosi che la soluzione della guerra europea non potrà essere data su nessun fronte balcanico, oggi è indispensabile vincere anche la campagna balcanica perché poi la vittoria sia agevole sui fronti essenziali. Russia e Italia hanno eguale interesse che si apra una via tra le loro forze alleate per quella ideale linea ferroviaria trans-balcanica che non è stata costruita ma che gli eserciti alleati potrebbero segnare con le loro marce vittoriose. Per il momento preme che almeno la stazione di arrivo sull’Adriatico, l’Albania, sia ben sicura in mano nostra come è ben sicura Salonicco nelle mani degli alleati franco-inglesi.
 
¹ G. TRUBEZKOI. La Russia come grande Potenza. Traduzione di F. Guariglia. Milano, F.lli Treves, 1915.

Dal Marzocco