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 2016  agosto 11 Giovedì calendario

«Non abbiate paura delle montagne ma sappiate che non perdonano la presunzione». I consigli di Facci per non fare la brutta fine di alcuni escursionisti della domenica

Altri due alpinisti morti sul Cervino, soltanto pochi giorni fa. E, ieri, altri due alpinisti morti sul massiccio del Monte Rosa, se vogliamo chiamarli alpinisti: è brutto da dire, ma molta gente in montagna muore perché se l’è cercata. Nella migliore delle ipotesi hanno affrontato un rischio calcolato (male) e nella peggiore, e più probabile, non hanno neppure badato alle previsioni del tempo. Ieri mattina sono morti due tedeschi sul Breithorn centrale (massiccio del Rosa) che sono precipitati da una cresta alta 4000 metri in un tratto che – come tutti gli altri – si deve affrontare legati in cordata, anzi «in conserva» come si dice.
SULLA CORNICE
Facile che uno dei due, cadendo, abbia trascinato giù anche l’altro: succede anche agli esperti, ma più facilmente ai meno esperti. Oppure i die hanno camminato su una cornice di neve che non avevano individuato (causa maltempo) e che era fresca e quindi appena formata (causa maltempo) e che insomma li ha traditi, ha ceduto: succede anche agli esperti, ma più facilmente ai meno esperti. Causa maltempo. E il punto non è che la traversata del Breithorn è il 4000 più «facile» delle alpi (c’è la funivia che ti porta a poche centinaia di metri di dislivello dalle vette) nonostante la traccia su ghiacciaio resti perigliosa per via dei crepacci. Il punto è che c’era brutto tempo, e col brutto tempo non si sale, stop, fine: a meno che tu sia scemo, dolosamente consapevole o Reinhold Messner. Peraltro era un brutto tempo ampiamente previsto, ergo dovevi prevederlo, non era uno di quegli imponderabili temporali che scoppiano sulle vette (con bufera di neve) mentre poco più in basso, sul ghiacciaio, permane un sole che ti acceca: succedeva sul massiccio del Bianco la settimana scorsa, ma anche questo era ampiamente previsto. Pochi giorni fa, invece, due inglesi peraltro non freschissimi (67enni) sono arrivati a Cervinia con il camper e hanno deciso di scalare il Cervino così, come cogliere ciliegie: senza guardare le previsioni del tempo o fottendosene dopo averle guardate. Risultato: li hanno trovati morti assiderati a 4000 metri, questo dopo ripetuti tentativi di soccorso bloccati dal maltempo. Sepolti dalla neve: li hanno individuati solo perché uno dei due zaini spuntava dal manto imbiancato.
A DIECI SOTTO LO ZERO
C’era 10 sotto zero, ma loro erano partiti vestiti leggeri: anche se, per scalare il Cervino, servono almeno due giorni con sosta notturna alla Capanna Carrell, a quota 3800. Anche qui: non stiamo parlando chessò, del duro passaggio che per qualche metro costringe a issarsi su una corda fissa con la forza delle braccia, o delle scariche di sassi che possono esserci sotto il Colle del Leone, o ancora dei tanti passaggi da vertigine che non consentono distrazioni: stiamo parlando di gente che pensava si salire il Cervino senza neanche sbirciare il meteo sul cellulare. Non c’entra la retorica della «montagna assassina» (come dare dell’assassino a un sasso) o della mancanza di una pedante «cultura della montagna», non c’entrano gli opposti estremismi di chi vorrebbe fare delle montagne una palestra a cielo aperto o di chi vorrebbe stradicare anche le croci dalle vette: qui c’entra essere scemi, perché nessuno sforzo o campagna di sensibilizzazione potrà salvarci dalla follia lucida: figurarsi da quella offuscata. Tra quelle più praticate, l’alpinismo resta la disciplina probabilmente più pericolosa che esista (assieme alle immersioni subacquee) e gli incidenti capitano anche ai professionisti: all’inizio di luglio una nota guida alpina già di casa in Himalaya, Norbert Joos, è morta mentre scendeva dal Bernina con due clienti italiani: uno dei due è scivolato e ha trascinando gli altri con sè.
ALLARME NEVE
Sul massiccio del Bianco i recuperi di alpinisti anche esperti sono all’ordine del giorno, anzi, di questi giorni. In maggio una valanga ha sepolto otto persone sul Monviso, mentre sul modesto Resegone di 1800 metri (che poi modesto un cavolo, ha più lapidi di un cimitero) è precipitato un tranquillo escursionista di 58 anni. La montagna è pericolosa, e senza pericolo non può esistere oppure non è montagna: e c’è chi – tra questi lo scrivente – la sceglie proprio per questo, perché è pericolosa, perché consente di misurare i propri limiti e la propria natura come nient’altro. Se è una scelta cosciente, resta una scelta di libertà: anche perché la montagna è uno dei pochi posti al mondo dove è ancora possibile farsi i cazzi propri. Se è una scelta incosciente e inadeguata, sconsiderata, accompagna alla tragicità della morte il biasimo del ridicolo.