la Repubblica, 11 agosto 2016
Francesco Pagliuso, avvocato degli ’ndranghetisti, è stato freddato nel suo fuori strada. È successo poco dopo le 22.30 di martedì a Lamezia Terme
Il film del suo assassinio è stato ripreso dalle telecamere piazzate a protezione della sua villa. Nessuna minaccia esplicita, pare, ma di certo non si sentiva al sicuro l’avvocato Francesco Pagliuso se, da qualche tempo, aveva fatto installare un sistema di sorveglianza e soprattutto se andava in giro con una 44 magnum con il colpo in canna di cui non faceva mistero. Doveva saperlo bene anche il killer che martedì sera si è introdotto all’interno del vialetto privato protetto da un cancello telecomandato e ha atteso il legale mentre rientrava a casa scaricandogli addosso tre colpi di pistola che lo hanno raggiunto in testa e al torace uccidendolo sul colpo prima che potesse avere il tempo di tirare fuori l’arma.
L’omicidio è avvenuto poco dopo le 22.30, stando all’ora delle telecamere che hanno ripreso il killer di spalle mentre spara e poi raccoglie i bossoli, ma il cadavere, inchiodato al sedile del suo fuoristrada bianco con il cane accanto, è stato ritrovato alle 3 del mattino quando – allarmata per la mancanza di notizie dell’uomo che non rispondeva al cellulare – la fidanzata si è rivolta ai carabinieri andando con loro fino in via Marconi, dove sorge la bella villa in pietra in cui l’avvocato 43enne viveva da solo dopo la separazione dalla moglie dalla quale aveva avuto un figlio di sei anni che aveva visto proprio poche ore prima di morire.
Giovane avvocato alla scalata del foro di Lamezia, segretario della Camera penale, con uno studio molto conosciuto dove si incrociavano boss della ‘ndrangheta, uomini d’affari e politici, ma anche intraprendente imprenditore con interessi nel campo della ristorazione e delle attività alberghiere e una vita privata complicata. Ce n’è abbastanza perché il procuratore Luigi Maffia proceda con prudenza prima di indicare con certezza la matrice mafiosa di un delitto che certamente non è stato improvvisato ed è stato portato a termine con freddezza e professionalità. «Non possiamo restringere il campo ad una sola ipotesi. Il fatto è molto grave anche perché la vittima era molto conosciuta in svariati ambienti e aveva una molteplicità di clienti operanti in vari settori», dice.
Dopo aver sentito i primi testimoni, tra cui la sorella di Pagliuso, avvocato anche lei, che sembra aver fornito qualche interessante indicazione, il procuratore Maffia e il pm Marta Agostini nel pomeriggio hanno personalmente guidato la perquisizione nello studio del penalista in via Galvani portando via i fascicoli dei casi più recenti. A cominciare dalla sua ultima vittoria, l’azzeramento in Cassazione delle condanne all’ergastolo di Domenico e Giovanni Mezzatesta, che (ripresi dalle telecamere) avevano ucciso tre anni fa in un bar di Decollatura Francesco Iannazzi e Giovanni Vescio. Nonostante la prova schiacciante della colpevolezza dei due, Pagliuso era riuscito a provare la non premeditazione. Tra i fascicoli allo studio dei carabinieri di Catanzaro diretti dal colonnello Alceo Greco e di Lamezia guidati dal capitano Fabio Vincelli anche quelli dei più grossi processi di mafia della zona in cui Pagliuso aveva difeso boss del calibro dei Giampà, (7 del clan sono tornati in carcere proprio ieri) e dei Torcasio. Ma anche quello del sequestro di beni di Franco Perri, notissimo imprenditore, titolare del più grosso centro commerciale della Calabria, al quale Pagliuso era riuscito a far restituire parte dei 500 milioni di euro sequestrati.
In un palazzo di giustizia dove si rievoca la paura provata nel 2002 con l’omicidio rimasto irrisolto di un altro avvocato, Torquato Ciriaco, si ritrovano increduli il presidente del tribunale Bruno Brattoli e il presidente dell’Ordine degli avvocati Antonello Bevilacqua. «Esigiamo la massima attenzione dello Stato. Non possono lasciarci soli», dice Brattoli mentre Bevilacqua aggiunge: «La nostra categoria è a rischio».