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 2016  agosto 11 Giovedì calendario

A Sirte è caduto il quartier generale dell’Isis

Tripoli Finisce il tempo di utilizzare i condizionali. Da ieri pomeriggio è chiaramente cominciata la battaglia finale per Sirte. Per la principale roccaforte libica di Isis inizia il conto alla rovescia verso la disfatta militare. Il collasso del Califfato nelle ex province di Muammar Gheddafi appare imminente. Le milizie di Misurata e Tripoli sono scattate all’attacco sin dall’altra sera grazie alla crescente copertura aerea americana. Dai due o tre scarni raid quotidiani dei primi di agosto si è passati alla ventina delle ultime ore. «Siamo riusciti a liberare Ouagadougou, abbiamo preso l’ospedale Ibn Sina, il palazzo della Compagnia Indiana e la zona universitaria. L’offensiva continua. Ma le perdite sono tante. Almeno una ventina di morti e oltre 30 feriti in una sola giornata», ci hanno detto ieri sera per telefono i comandanti della «Mujahed», una delle milizie più importanti di Misurata. Per capire la rilevanza della notizia occorre sottolineare cosa rappresenti Ouagadougou. Si tratta di una serie di giganteschi palazzoni posti nelle periferie meridionali della città. Gheddafi li aveva voluti negli anni Novanta a simbolo del suo rapporto privilegiato con i Paesi africani. Le sue truppe lo avevano utilizzato come base militare contro le formazioni ribelli durante le ultime battaglie nell’ottobre del 2011. Qui si era arroccato Isis sin dalla presa di Sirte oltre un anno fa. Nei suoi sotterranei si trovano depositi di cibo e munizioni, i suoi muri spesso di cemento armato rappresentano ottime difese contro le bombe.
«Preso Ouagadougou, presa Sirte», dichiaravano in giugno i responsabili dell’assedio dopo aver sconfitto Isis nel deserto verso Misurata. Non a caso le formazioni delle milizie migliori si erano posizionate tutto attorno, tenendolo di mira con le loro mitragliatrici pesanti piazzate sui pick up. Tre giorni fa eravamo con loro sulle prime linee, a circa 1.000 metri dai muri bianchi del compound. «Ci vorrà tempo. Isis ha minato tutto attorno. I suoi cecchini ci prendono di mira da posizioni super-protette», spiegavano. Tuttavia i raid Usa hanno rovesciato la situazione. Le bombe intelligenti hanno fatto saltare i campi minati, sconvolto i nidi dei cecchini, distrutto gli ultimi tank, i mortai, reso difficilissimo ai jihadisti il movimento lungo i sette chilometri di trincee e bunker ancora nelle loro mani, dalla zona costiera ai campi verso il deserto.
Difficile però dire con precisione quando Isis sarà definitivamente sconfitto. Quella per Sirte è una classica guerriglia urbana. Ci si batte strada per strada, casa per casa, addirittura stanza per stanza. Isis si ritira minando tutto attorno. Le forze assedianti dai primi di maggio hanno avuto già quasi 400 morti (compresi quelli delle ultime ore) e circa 2.100 feriti. Gli aiuti alleati sono importantissimi, ma ad avanzare fisicamente sul campo sono i libici.
Le milizie di Misurata ci hanno mostrato il luogo ove sono situati gli uomini dell’intelligence americana e inglese incaricati di passare le informazioni fornite dai droni. «A combattere con le truppe di terra però siamo solo noi», ci dicono. Nessuno negli ultimi due mesi ha mai neppure accennato alla possibile presenza di truppe italiane nelle aree di combattimento in Libia. Secondo i servizi d’informazione libica inoltre «centinaia, se non migliaia, di jihadisti di Isis nelle ultime settimane hanno avuto modo di scappare verso il deserto». Ciò significa che a Sirte potrebbero rimanerne solo un numero limitato. Quanti? «Forse trecento e quattrocento», dicono a Tripoli. Il pericolo è che molti di loro siano fuggiti verso il Sudan, altri potrebbero essere alla macchia nel deserto di dune presso l’oasi di Sabha. È una battaglia dove non si fanno prigionieri.
In genere gli assediati, quando presi in trappola, si fanno saltare in aria e uccidono i loro prigionieri. Anche le milizie in avanzata eliminano i nemici caduti nelle loro mani. Nel cuore della città resta inoltre ancora una piccola presenza di popolazione civile, valutata a circa 5.000 persone. Tra loro, moltissimi seguaci del vecchio regime.