ItaliaOggi, 10 agosto 2016
Goldman Sachs è stata condannata dalla Fed a pagare una multa di 36,3 milioni di dollari. Anche a New York ci sono i «furbetti del quartierino»
Mentre le borse europee e in particolare quella italiana crollavano trascinate dall’andamento delle banche dopo la pubblicazione degli stress test, sui principali organi di informazione finanziaria internazionale faceva capolino una notizia singolare. Goldman Sachs è stata condannata dalla Fed a pagare una multa di 36,3 milioni di dollari (32,7 milioni di euro) relativamente ad accuse a un suo dipendente di aver usato materiale confidenziale della Federal Reserve.
Secondo la banca centrale americana, un dipendente di Goldman avrebbe ripetutamente ottenuto usato e diffuso informazioni regolamentari segrete che includevano rating e documenti confidenziali.
Il dipendente di Goldman accusato aveva in precedenza lavorato per la Fed e riceveva queste informazioni da un ex-collega che invece era rimasto presso la banca centrale.
Per i legali dell’accusato, questi riceveva tali informazioni come parte del proprio lavoro in modo da consigliare i propri clienti mentre la banca d’affari sostiene di aver avvisato la Fed immediatamente dopo aver scoperto il fatto e di avere migliorato i controlli interni.
Lo scambio di informazioni «segrete» tra la principale banca d’affari del pianeta e la prima banca centrale è una questione delicata, soprattutto quando ex dipendenti della Fed vanno a lavorare per Goldman Sachs o viceversa.
Sarebbe interessante sapere quanto business Goldman abbia ottenuto grazie a questi scambi, ma non è questo il punto.
Nella zona grigia tra informazioni riservate e ricerca e contatti o connection c’è da sempre nell’industria finanziaria la possibilità di fare la maggiore quantità di soldi sia per i singoli che per l’impresa.
Se il dipendente fa fare soldi alla banca, tendenzialmente la banca è riconoscente; e per questo ci sono tutti gli incentivi a mettere il piede in questa zona grigia cercando di non travalicare la linea che fa passare dal grigio al nero dei reati.
Questa zona grigia rimarrà sempre grigia per tantissimi motivi e moltissime banche si tutelano facendo sottoscrivere enciclopedie di regolamenti interni che probabilmente nessuno ha mai letto per intero con il sospetto che un’eventuale puntuale applicazione porterebbe al blocco di qualsiasi attività. Siamo sicuri che questo non è il caso di Goldman Sachs, il cui portavoce ha dichiarato che «non tolleriamo l’uso improprio di informazioni di vigilanza riservata»; rimane il fatto che lo scambio, secondo la Fed, è avvenuto e che c’era un ex dipendente della Fed che lavorava per Goldman.
Il secondo fatto è che la multa di cui sopra rappresenta circa lo 0,5% degli utili annuali di Goldman Sachs e lo 0,05% della sua capitalizzazione; nel caso ipotetico che certi canali fossero più aperti di quello che si pensa ci si potrebbe chiedere se per caso non ne fosse valsa la pena.
In ogni caso è abbastanza chiaro che non si tratta di un episodio infelice normale, perché lo scambio di informazioni privilegiate direttamente dalla banca centrale non è nella zona grigia, ma in quella nerissima eperché le due istituzioni coinvolte sono Goldman, la banca di investimento per antonomasia, e la Fed che è la banca centrale della prima potenza economica mondiale.
Tutto questo è avvenuto non in una provincia di una nazione «latina», come per esempio l’Etruria, ma a New York e non in una banca dalla governance subottimale come una popolare, ma in una spa anglosassone, dove secondo una certa letteratura certe cose non succedono e se succedono ci sono delle punizioni che neanche in un girone dantesco.
Scopriamo invece che anche a New York ci sono i «furbetti del quartierino» e che le punizioni non sono proprio così paurose.
Nessuno però si azzarda a mettere in discussione il sistema ed è singolare, perché negli ultimi anni abbiamo letto di scandali Libor, manipolazioni di materie prime, ecc. in cui sono state coinvolte primarie istituzioni finanziarie globali.
Nella settimana del crollo delle «cattive» banche italiane ci potremmo consolare con il più classico dei classici «mal comune mezzo gaudio» se solo avessimo la voglia di scoprire cosa succede al di là delle Alpi dove a certe cose non si vuole mai fare pubblicità.