Corriere della Sera, 10 agosto 2016
Sollevamento pesi, la pecora nera delle Olimpiadi che ormai non interessa più a nessuno. La colpa? Il doping, ovviamente
La sala pesi del Rio Centro è vuota. A metà pomeriggio sugli spalti non ci sono più di venti spettatori, tutti addetti ai lavori. La pecora nera degli sport olimpici non interessa più nessuno. Le gare sono cominciate nel silenzio, interrotto soltanto dai grugniti degli atleti, che arrivano all’impianto già scaldati e vanno via subito, anche senza fare la doccia, nel tentativo di ridurre al minimo i contatti con l’esterno e le domande.
Il sollevamento pesi ha ucciso se stesso a forza di doping. Il Cio ha lasciato a casa gli atleti bulgari e russi, che stanno a questa disciplina come brasiliani e argentini al calcio. Ma il processo di autodistruzione è cominciato molto tempo prima. All’ultimo campionato del mondo, nel 2014, ci furono 24 test positivi al doping sulle prime tr enta posizioni.
Il riesame delle provette di Pechino 2008 e Londra 2012 ne ha beccate altre venti, compresi quattro campioni olimpici. E prima di Rio 2016 i giudici hanno cacciato oltre 40 sollevatori, donne e uomini di Armenia, Ucraina, Moldavia, Nord Corea, Cipro, Turchia e Kazakistan, compilando una specie di guida pratica a ogni sostanza proibita.
Le tribune deserte del Rio Centro dove ieri Deng Wei ha ottenuto il record mondiale nella categoria 63 chili, e i rari fischi che arrivano da passanti per lo più in possesso di biglietti omaggio, non sono certo una sorpresa. La diffidenza è d’obbligo date le premesse. Gli ululati di disapprovazione e dileggio all’indirizzo dell’atleta cinese, innocente fino a prova contraria, dimostrano soprattutto che per questa disciplina sarà ben difficile avere nuovamente qualche apertura di credito. «Siamo vittima della nostra natura» raccontava ieri al Media press center Matt Cameron, uno dei coach della spedizione Usa. «È come nel basket, dove la gente vuole vedere le schiacciate e le prodezze atletiche. Da noi vogliono i record del mondo, i bilancieri sempre più curvi sotto il peso dei dischi. Solo dopo si fanno le domande su come gli atleti possono sostenere certi sforzi e certe masse muscolari. Non voglio assolvere nessuno, ma se c’è uno sport che dovrebbe far venire dubbi sulla liceità del doping, quello è il nostro. La repressione è giusta, ma esiste ancora un corto circuito ipocrita che riguarda non solo noi del sollevamento pesi, ma anche il pubblico».
Il pesista australiano Dan Rigney ha raccontato ridendo al New York Times che la sua specialità è l’unica nella quale bisogna attendere quattro anni per sapere chi ha vinto le Olimpiadi. «A Tokyo 2020 la classifica di Rio 2016 potrebbe non essere più la stessa». La probabilità sono molto alte, è andata così nelle ultime tre edizioni, e nonostante le squalifiche e le messe al bando non c’è ragione per credere che questa volta possa andare diversamente. Lo scarso pubblico del Rio Centro sa di assistere a una messa in scena, a una commedia dal finale aperto. Dev’essere per questo che a ogni alzata di peso molti spettatori si danno di gomito e ridono.