Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  agosto 10 Mercoledì calendario

Intervista a Giuseppe Tassi, il direttore di Qs licenziato per il titolo sul trio delle cicciottelle: «Chiedo scusa. Ma era in tono affettuoso. Comunque quando evidenziammo la forma non perfetta di Galiazzo non ci furono accuse di sessismo»

Direttore, come vi è venuto in mente quel titolo sulle «cicciottelle»?
«Mi lasci partire dalle scuse, per favore».
Va bene.
«Abbiamo chiesto scusa, sul sito e sul giornale, a chi tra i nostri lettori si è sentito toccato dal termine “cicciottelle” ritenendolo non adatto. Scuse doverose».
Giuseppe Tassi è il direttore di Qs, la testata che gestisce le notizie di sport de Il Resto del Carlino, La Nazione e Il Giorno, e che ieri per quel titolo – «Il trio delle cicciottelle sfiora il miracolo olimpico», comparso l’8 agosto – è stato rimosso dall’incarico dal suo editore. Le «cicciottelle» in questione sono Guendalina Sartori, Lucilla Boari e Claudia Mandia, le atlete che hanno fatto sperare all’Italia una medaglia olimpica nel tiro con l’arco, prima di chiudere in quarta posizione. Mentre una delle tre, Claudia Mandia, lancia su Facebook l’hashtag #jesuiscicciottello, sui social non si placa la polemica, aperta dalla Federazione Italiana Tiro con l’Arco: «Focalizzare l’attenzione sull’aspetto fisico delle ragazze su un quotidiano che scandalistico non dovrebbe essere è stato davvero di cattivo gusto», ha scritto il presidente Mario Scarzella.
Perché ricorrere all’attributo fisico per descrivere delle atlete?
«Mi creda: non c’era alcuna intenzione discriminatoria o sessista nel titolo. Il termine aveva una connotazione affettiva».
Scusi?
«Siamo partiti da un fatto che chi ha seguito la gara ha sicuramente notato: le tre arciere azzurre hanno un aspetto insolito per delle atlete di livello olimpico. Con questo titolo volevamo rilevare – ripeto, in tono affettuoso – che anche le persone comuni possono diventare delle atlete di altissimo livello».
Ammetterà che l’aggettivo invece poteva apparire dispregiativo, o perlomeno inopportuno…
«Lo abbiamo pensato anche noi: al punto che abbiamo corretto il titolo in seconda edizione. Ci siamo resi conto che poteva urtare la sensibilità di alcune persone».
Perché non correggere prima?
«È stato un errore dovuto alla concitazione dei tempi di lavorazione e di chiusura del giornale».
Se fossero stati tre arcieri avreste titolato «Il trio dei cicciottelli»?
«Se avessero avuto connotazioni fisiche simili, sì. Ricordo che nel 2012 dell’arciere Marco Galiazzo fu messa in luce la sua forma fisica “non perfetta”. L’intento era lo stesso. Ma in quel caso non ci furono accuse di sessismo».
Quelle che invece vi sono piovute addosso dai commenti su Facebook e Twitter...
«I social sono una piazza democratica imprescindibile. Ma gli utenti di queste piattaforme devono maturare: devono rendersi conto che esprimendo giudizi trancianti impegnano se stessi. Ci vogliono senso di autocontrollo e moderazione: le stesse che vengono chieste ai titolisti. La leggerezza di certe espressioni finisce sui social come sulle pagine dei giornali. Ripulire il nostro linguaggio è un traguardo da inseguire, ma senza ipocrisia».
In che senso?
«Parlo del famoso limite del politicamente corretto, che dipende dalla sensibilità delle persone. Ognuno dovrebbe avere misura, anche quando è in disaccordo».
Trent’anni fa una frase del genere avrebbe fatto meno scalpore?
«Certo. Questi sono i tempi del politicamente corretto e di una maggiore sensibilità. Tutti dobbiamo adeguarci: per questo è stato giusto chiedere scusa. Abbiamo fatto un errore e lo abbiamo ammesso».