la Repubblica, 10 agosto 2016
Ode a Federica che ci ha portato a nuotare nel mondo
Era la vecchiona: 28 anni. Ha lottato, contro le sue eredi, contro il piccolo grande squalo del futuro, l’americana Ledecky. E ha perso. Quarta, senza mai poter dare l’impressione di fare di più, di recuperare, che era la sua forza.
Federica Pellegrini, sconsolata, scende dall’onda. Era stata amara Londra, lo è anche Rio. Ma con lei l’Italia ha nuotato nel mondo. Da padrona. Nei 200 stile libero: dove serve testa, velocità, resistenza. Quattro vasche di tutto. È quel tutto è scritto sull’acqua: quattro Olimpiadi, quattro finali. Sei mondiali, sei volte sul podio nella stessa gara in cui dal 2007 è primatista mondiale (1’52”98). Federica è stata il talento, la diversità, la disciplina. E anche la bellezza. La prima ad allenarsi «come un uomo», la prima a scegliere (e a scartare allenatori).
Altro che scialla. Federica è stata la nostra gioventù, lo scoprire che anche una ragazza della provincia veneta (Spinea) poteva tenere testa a chi da sempre tatua nell’acqua la sua supremazia, come America e Australia. Federica è stata l’incoscienza impunita dell’adolescenza, il piercing sul seno, ma con la mano alla mamma, la ragazza che va via di casa a trovare una sua corsia, la donna che vuole scegliere chi amare, che si schiera con la maglietta contro la violenza maschile «Ferma il bastardo», che soffre di attacchi di ansia, perché anche piacersi è un traguardo da conquistare.
Federica è stata l’Italia che non annegava più. La bambina che si cambia e mangia gli spaghetti in macchina mentre si sposta dalla scuola alla piscina, dopo la sveglia alle cinque di mattina. L’argento di Atene 2004, la più giovane italiana a vincere una medaglia olimpica. L’oro e la gioia di Pechino 2008, il pugno contro l’acqua, lo schiaffo al primato del mondo. E poi ancora il cronometro migliorato ai mondiali di Roma 2009 e i pianti con Castagnetti per un animo troppo emotivo. E poi i pianti per la morte di Castagnetti, il padre tecnico, e lei che il giorno dopo a Verona si butta in piscina e per cinque minuti nuota lentamente in omaggio ad Alberto che non c’è più. I mondiali di Shanghai 2011: con le ali in corsia e il cuore slacciato (arriva Magnini, via Marin). Il fallimento a Londra 2012, tutto troppo di corsa, cambio di allenatore compreso, crisi, stop, ripresa ai mondiali di Barcellona. Federica è stata sempre con noi. Ci ha preso sulle spalle, pure se pesavamo, e sì qualche volta ha anche provato a scaricarci. Ma noi sempre lì a dire: non ci lasciare soli in questo mare.
Undici tatuaggi. Il suo corpo che parla. Il primo, a 14 anni: un draghetto sulla caviglia destra. A 15 un tribale sul fondo schiena, passione per il nero. A 17: l’Araba fenice sul collo sinistro, per simboleggiare il rilancio e i cambiamenti dopo la crisi. A 18: «Nient’altro che noi», sulla schiena per rafforzare il legame con il fratello Alessandro. A 19: Balù, sul piede destro, in omaggio al fidanzato Luca Marin (col quale si è slegata nel 2001). A 20: le piume della Fenice sul collo del piede sinistro, dopo l’oro di Pechino 2008. A 21, tre rose: una bianca, le altre rosse, su una c’è il nome di Alberto Castagnetti, il suo allenatore morto nell’ottobre 2009. A 22: una lungo pensiero sul suo carattere. A 23: il teschio messicano con fiori sul braccio. A 26: la scritta rock’n roll sul collo. A 27: la sua gatta Mafalda (morta). Vediamo cosa aggiungerà ora. Se la storia continua o s’interrompe qui.