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 2016  agosto 10 Mercoledì calendario

Nei tre accampamenti di Milano l’emergenza migranti ormai è la norma

«Come dite voi... benedette?». Sì, diciamo così. E allora benedette siano le folte fronde di quest’alberello al centro dell’aiuola in via Vittor Pisani, davanti alla stazione Centrale, dove Rashid, iracheno, 32 anni, ha appoggiato un trolley rosa alla base del tronco, e sopra ci ha sistemato un borsone nero; a terra, sull’erba, ha invece steso una coperta lisa, ha aggiunto un cartone e là si è buttato lui: a sonnecchiare. I rami carichi di foglie («benedette!») assicurano l’ombra nel caldo pomeriggio del 9 agosto a Milano.
Sono tutte occupate da transitori micro accampamenti le altre macchie di riparo dal sole sul piazzale Duca D’Aosta, dove si radunano le esistenze in attesa, almeno 2-300 persone: palestinesi, pachistani, somali, sudanesi, sdraiati sotto «la Mela» (opera-installazione dell’artista Pistoletto) o intorno a un padiglioncino residuo dell’Expo. Valigie qua e là, sacchetti di vestiti nei carrelli dei supermercati, un ragazzo che alle 17 carica acqua da una fontanella e la rovescia sulle teste dei tre uomini in pantaloncini che gli stanno in coda di fronte: turni per la «doccia». Ecco, messe insieme, tutte queste scene non rappresentano, in alcun modo, una novità. Sono la norma, l’effetto di un’emergenza profughi fisiologica e stabilizzata. Con un paradosso: perché a Milano, di profughi, ne arrivano sempre meno.
Il Comune tiene dettagliate statistiche: 52.631 arrivi nel 2014 (soprattutto dalla Siria), 31.855 nel 2015, 10.137 transitati nei primi 7 mesi di quest’anno. Analisi: «Nel primo semestre del 2016 si registra un calo del 65 per cento degli ingressi nelle strutture comunali rispetto al 2015». E allora, come si spiega l’«emergenza»?
Ieri un quotidiano nazionale titolava in prima pagina che a Milano starebbero arrivando 3.300 profughi. In realtà, quel numero non rappresenta una previsione, ma l’ultimo conteggio delle persone ospitate. Il vero nodo è un altro: fino all’anno scorso, i profughi erano di passaggio. Oggi, invece, si fermano: oltre il 75 per cento degli «ospiti» attuali ha una richiesta di asilo politico. Nel 2014 e 2015, con decine migliaia di migranti in viaggio, le domande furono poche decine. Conclusione: gli oltre 3 mila posti della rete d’accoglienza milanese restano per la maggior parte «bloccati» per mesi e mesi (in attesa che vengano esaminate le pratiche). Così, per i nuovi arrivi, anche se sono meno rispetto al passato, le possibilità di sistemazione sono ridotte. Fino al 2015, dice il Comune, «i “transitanti” rappresentavano la quasi totalità degli ospiti (98 per cento)».
La trasformazione ha tre motivazioni. Primo: la legge europea impone che la richiesta di asilo venga presentata nel primo Paese di ingresso. Per tutto il 2014, e in parte nel 2015, l’Italia ha però fatto finta di non vedere le decine di migliaia di migranti che approdavano in Sicilia, salivano a Milano e da qui partivano verso Svezia e Germania. Poi è arrivato il richiamo della Ue. Ma non solo. Perché Svizzera e Austria hanno stretto i controlli alle frontiere: i viaggi illegali sono sempre più difficili. E Milano, per molti, da tappa è diventata arrivo. Infine, sono cambiate le nazionalità di provenienza: nel 2014, i siriani erano l’80 per cento, nel 2016 sono scesi sotto l’1. E diventano invece predominanti gli eritrei (58 per cento nel 2015), i somali (oltre 15 per cento nel 2016), i sudanesi (15 per cento), gli etiopi (11 per cento). Un enorme flusso di «migrazione economica» si è innestato sul corridoio aperto tre anni fa da chi scappava dalla guerra in Siria.
Riflette Alberto Sinigaglia, presidente della Fondazione progetto Arca, che gestisce alcune strutture per conto del Comune: «Con fatica ci occupiamo di un’emergenza che non si può più definire tale, perché la situazione è strutturale e destinata a durare». Nel centro di prima accoglienza in stazione, meno di 200 posti, due notti fa hanno dormito quasi 430 persone.
In questo scenario, ieri la politica milanese s’è avvitata in un dibattito surreale su «una tenda in più o una in meno»: quando a Milano, oltre gli otto centri, esistono già tre spazi del genere che accolgono oltre 700 profughi. Il più strutturato è quello di Bresso, a 100 metri dal confine con la città, dove la Croce Rossa gestisce un «villaggio» di 54 tende. Molti migranti dal Corno d’Africa continuano a passare giorni e notti in zona Porta Venezia, dove si trova la storica osteria «La luna piena» di Peppino Cusmai, che ieri pomeriggio raccontava: «Il lavoro è crollato. Sabato sera ho chiuso la cler e me ne sono andato in vacanza». Il suo marciapiede, in via Palazzi, è zona di bivacco perenne. «Qualche giorno fa è arrivata la polizia e sono corsi tutti via. Almeno sono riuscito a sistemare fuori due tavolini». Sospiro serale del ristoratore milanese: «Vivo di speranza, ormai. Ma forse è una speranza persa».