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 2016  agosto 10 Mercoledì calendario

Teresa Almeida, portiere della pallamano dell’Angola, con la sua stazza può parare anche se resta immobile. E insegna che si può essere campioni anche con un corpo diverso

Teresa riempie l’Olimpiade con un’idea enorme: ogni corpo conta perché è il tuo. Grasso, magro, alto, basso, che importanza ha. Teresa Almeida con i suoi 98 chili, scesa da un quadro di Botero per occupare la porta dell’Angola, torneo di pallamano, ma soprattutto per fare a pezzi i pregiudizi (anche sportivi, soprattutto sportivi) del fisico perfetto e scolpito, disegnato dalle diete e dalle rinunce, vessato dalle proteine e dai frullati di carota, martoriato dalla palestra, tormentato dai pesi e dall’idea malata che tante vittime sta mietendo tra le ragazze: vali e sei bella soltanto se sei magra. Pericolosissima fesseria.
«Io mi sento felice come atleta e come donna, devo solo faticare un po’ di più. Ma sono di più anche le soddisfazioni». Pur sapendo di correre un rischio non inferiore a quello del pregiudizio contro i cicciottelli, e cioè diventare un fenomeno da baraccone social, dove peraltro Teresa è già un mito, il portiere (portiera?, portieressa?) più pesante dei Giochi (ed è alta solo 1,70!) si elegge a simbolo: «Voglio essere la portabandiera dei grassi, tutti loro devono sentirsi fieri e orgogliosi quanto me. Non siamo gente inferiore, non partiamo battuti in niente. Beh, okay, forse è più difficile correre i cento metri ma un sacco di altre cose si possono fare ad alto livello, anche nello sport». Per esempio vincere. L’Angola di Teresa Almeida, per tutti “Bà”, questo il suo soprannome, ha infatti già battuto Romania e Montenegro, squadre piene di gente in perfetto peso forma, e domani proverà a mettere sotto pure la Norvegia. Risultati, non solo curiosità. «Lo so, riempio la porta, e per le avversarie è più difficile fare gol». Ma bisogna vedere come salta Teresa, e quant’è agile: attenti, chi si sorprende deve fare una bella dieta di pregiudizi.
«Ci sono tanti modi diversi di essere atlete, di essere donne e anche di essere belle», dice la psicologa Anna Oliverio Ferraris. Il messaggio di Teresa la intriga: «Il modello contemporaneo di bellezza in stile pubblicitario è alle corde e ha prodotto non pochi danni. Quello che conta è sentirsi bene dentro se stessi, e questo non lo stabilisce una bilancia. Lungi da me, ovviamente, l’elogio dell’obesità che può diventare una malattia sociale, però è altrettanto sbagliato demonizzare qualche chilo in più». È l’eterno dibattito tra forma e contenuto. Dove, nello sport, molto spesso la forma è contenuto, o almeno una buona parte di questo. Ma l’idea che soltanto un tipo di corpo possa essere vincente è sbagliatissima. «Fino al 1997, nelle isole Fiji non esisteva la televisione e le ragazze credevano che la bellezza fosse essere più grasse che magre. Poi si sono confrontate con le immagini della tv americana e tutto è cambiato», racconta la psicologa. «Certo, lo sport è un mondo strano: da un lato può rafforzare discriminazioni e pregiudizi, dall’altro può abbatterli con il suo messaggio globale. L’area di ambiguità resta notevole: i preconcetti fanno male, però fanno male anche troppe merendine».
Ma Teresa vola più alto dei dibattiti, pensa alle sue partite e alla sua grande occasione. «Sono nata a Luanda nel 1988, gioco a pallamano a questi livelli da tre stagioni e mi considero già una veterana, con 34 presente in nazionale». È una forza della natura, come sanno bene i tifosi della sua squadra, l’Atletico Petroleos, e come si sono accorte montenegrine e romene, compresa la campionessa Cristina Neagu che proprio non sapeva dove infilare quella palla, non c’era un solo millimetro libero, ogni parte di Teresa faceva diga e lei ci scherza: «Posso parare anche restando immobile». È spiritosa, questa eroina del “phisically incorrect” che dalle Olimpiadi lancia un’idea a suo modo rivoluzionaria: si può essere campioni in tanti modi, e con tanti diversi tipi di corpo. «Ma dopo Rio mi metto a dieta, altrimenti a dicembre come entro nel vestito da sposa?». Tranquilla, Teresa, è più difficile che la palla entri in porta.