La Stampa, 10 agosto 2016
Franz Kafka scarcerato a un secolo dalla morte
A quasi un secolo dalla morte, la Suprema Corte di Gerusalemme ha finalmente «scarcerato» Franz Kafka. Dopo una causa durata mezzo secolo è arrivata ora la sentenza definitiva: i manoscritti portati in Israele nel ’39 da Max Brod (che curò la pubblicazione dell’opera come la conosciamo) spettano alla Biblioteca Nazionale, e gli eredi dell’amico di Kafka devono consegnarli, in modo che siano accessibili agli studiosi.
Si tratta di un tesoro ancora inesplorato. Com’è noto, alla morte di Kafka Brod disattese l’invito dello scrittore a distruggere tutte le sue carte, anzi se ne fece editore, donando al mondo uno dei grandi autori del Novecento. Ma ovviamente non pubblicò tutto. E fuggendo dalla Cecoslovacchia invasa da nazisti mise in salvo l’archivio. Il suo progetto era che finisse a un’istituzione pubblica, tant’è vero che ne aveva già ceduto una parte all’Università di Oxford, nel ’61. Nel ’68, morendo, affidò il materiale alla sua segretaria, Esther Hoffe (forse era qualcosa di più di una segretaria) con questo mandato. Che la signora ignorò. Stivò tutto nel suo appartamento, pare piuttosto umido, affollato di cani e gatti, e attese gli eventi, cercando di guadagnarci qualcosa.
Lo Stato di Israele la teneva d’occhio ma non poteva sequestrarle il tesoro, solo impedirle di esportarlo. Cominciò un ringhioso confronto a distanza, non senza passi falsi. L’indomita signora riuscì a piazzare un’asta milionaria da Sotheby’s, a Londra, per il manoscritto del Processo, acquistato da un emissario del governo tedesco. Era il 1988. Successivamente la donna venne fermata all’aeroporto mentre cercava di portare in Svizzera lettere e documenti. Questa volta incassò il colpo, e concesse all’Archivio di Stato la possibilità di catalogare la collezione. A lavoro compiuto, però, nessuno si sentì appagato. Non si poteva sapere se Frau Hoffe non si fosse cautelata nascondendo i reperti più preziosi.
Solo quando morì, nel 2008 (a 101 anni), lo psicodramma sembrò giunto al suo termine fisiologico. Ancora una volta, però, non era così: le carte passarono alle due figlie, che le tolsero sì dall’umida cella, ma per depositarle in impenetrabili cassette di sicurezza. Ora comincia il conto alla rovescia, non senza suspence: ci sarà davvero il grande inedito vagheggiato da molti? O non si scoprirà nulla che già non si conoscesse? In questo deprecabile caso, la trama è già stata scritta, dallo stesso Kafka, nel 1922. Parrebbe quella del «Castello».