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 2016  agosto 10 Mercoledì calendario

Che aria tira quest’anno alle feste dell’Unità

«Certo tre anni fa tirava di più Matteo, a me piaceva assai, un bel giovane, svelto di parola, deciso, ma poi lui è andato più a destra, ha strizzato l’occhio ai signoroni...». «Guardi noi teniamo per il sì al referendum, come vede mia cognata qui è più per il no». Bosco Albergati, un pugno di case a una manciata di chilometri da Bologna e Modena, qui tutti sono politicizzati, pure quelli di destra, e da questa festa dell’Unità con spazio balera e gran caffè, tre anni fa Matteo Renzi partì alla conquista del Pd. Qui dove oggi le famiglie di compagni sono divise come una mela tra chi vota no rischiando di far cadere il governo di sinistra e chi vota sì; qui dove è più difficile strappare un assenso convinto che un paio di ovazioni, torna il leader ad arruolare le truppe per la missione finale. E pure se alla fine prova a dire «stavolta è stato meglio di tre anni fa», mentre va via sommerso da richieste di selfie, incassa più di tutto quell’incoraggiamento in dialetto, «tin bota!», tieni botta, tieni duro, che tanto gli serve in un momento incerto come questo.
Torna oggi per riconquistare la base, quella che pesa più di contare, quella di ex comunisti. «Io vengo dalla Fgci, a dodici anni mi hanno messo ai tortellini, poi Pci, poi Pds, ho fatto tutta la filiera e sono incazzato perché non si ascoltano quelli della minoranza», sbotta Luciano, seduto con la moglie Fiorella prima che arrivi il segretario. Per poi sussurrare, «certo D’Alema vota no ma non ha fatto ben capire perché».
Renzi non si fa attendere, arriva e si fa strada in un pratone blindato dalla sicurezza con recinti per la stampa, seguito da un Delrio quasi ieratico nella sua magrezza: che poco dopo sfotte dal palco per non aver preso chili da quando è arrivato a Roma. Camicia bianca, jeans blu notte nuovi di zecca, poco di sinistra come look a guardare il popolo di militanti e pensionati tornati qui ad ascoltarlo. «Voglio vedere se mi convince», dice quello ex Fgci. E la moglie lo strattona. «Io sono straconvinta ma mi fanno male tutte queste divisioni dentro il Pd».
E a un certo punto, dalle labbra di uno di quelli che ne hanno viste tante, affiora l’epiteto terribile, quello che ai tempi veniva considerato un insulto in casa Pci. «Estremisti». Lo dice a mezza bocca Emilio da Piumazzo di Castelfranco, quando dice che «Matteo è ricattato anche dai nostri in Parlamento». E chi sono gli estremisti? «Ma i Bersani, i D’Alema, sono loro. E poi Bersani, che ha sempre lanciato le riforme... mai mi sarei aspettato si comportasse così...». Ecco l’accusa ai compagni, «estremisti». Marino che gli sta a fianco è più critico «io voto sì ma vorrei che Renzi guardasse più a sinistra e non a Verdini». E Matteo non li delude. Fa battute, scherza, li fa ridere, celebra le radici. Suona musica per le loro orecchie, «più soldi per chi non ce la fa, per la scuola, per la cultura, le pensioni minime sono troppo basse». E con questi compagni che trascinano la sedia dai ristoranti sotto i gazebo, rilancia la metafora del fritto servita con un cross perfetto dal segretario regionale Paolo Calvano: quando da ragazzo fu promosso a cuocere il fritto, scoprì che su come si fa la pastella si litigava di brutto tra compagni, ma quando dai camerieri partiva l’urlo «frittiiii», tutti zitti e via a impiattare. Perché appena c’è da servire i cittadini le polemiche si mettono da parte.
Ecco la metafora in stile Renzi, rivisitata a voce alta e scroscio di applausi assicurato: «A chi vuole cambiare il segretario dico che questa è casa vostra». Ogni riferimento a Bersani, pronunciato nella rossa Emilia, è voluto. «Ma con la regola del fritto di Calvano: chi vuole farlo, c’è il congresso ogni quattro anni, perché fuori dal Pd c’è solo una destra viva e i cinque stelle...». E quando strappa l’ovazione con «noi siamo immuni dalla sindrome di Bertinotti», non manca di salutare «Prodi che a pochi chilometri di qui festeggia il suo compleanno e che si ricorda bene cosa voleva dire, lui lo sa». I selfie, i baci, i bravo, poi lui fugge all’altra festa e il popolo rosso resta spaccato, sfilano via le famiglie e discutono, discutono. Ma il segretario è rinfrancato da questa prima prova del fuoco col popolo delle feste. «Quanto affetto da Bosco Albergati», twitta mentre corre verso Villalunga nel reggiano.