Corriere della Sera, 10 agosto 2016
I No Global non sono morti, sono solo cambiati
A ottobre, i promotori del World social forum (Wsf) hanno tenuto un seminario per discutere la scaletta della kermesse No global che si è aperta ieri a Montreal. Alla riunione c’erano appena cinquanta persone, e solo quindici appartenevano a organizzazioni sociali. La prima avvisaglia del flop. Creato nel 2001 come contraltare al «capitalista» Forum economico mondiale, che riunisce a Davos il gotha della finanza, il Wsf si autodefinisce come spazio alternativo per il dibattito «decentralizzato». I summit precedenti (in Brasile, Mali, Tunisia...) hanno attirato fino a 100.000 delegati. In Canada saranno meno della metà. Troppo caro viaggiare fino al Grande Nord, troppo difficile ottenere i visti per il debutto del Forum nell’«emisfero dei ricchi». La scarsa affluenza – nonostante la presenza della guru «No logo» Naomi Klein – rivela un fallimento più profondo.
I pessimisti mormorano che il Wsf è vicino alla fine. Ha scommesso sui nuovi movimenti occidentali – come Occupy Wall Street o Indignados – visto che i «vecchi» (sindacati, ong, ecc.) sembrano aver perso la capacità di mobilitare le persone. E temi più glamour come l’evasione fiscale o l’ambiente hanno sostituito la lotta alla mondializzazione. Non ha funzionato. Sarà che il «new No global», più spontaneo e orizzontale, è difficile da imbrigliare, sarà che il nuovo è già vecchio. Come scrive Micah White, cofondatore di Occupy, in The End of Protest: «Le mobilitazioni di massa non possono più cambiare la società. L’attivismo è a un crocevia: l’innovazione o l’irrilevanza». Il futuro del movimento è ancora da scrivere. Intanto, però, oltre il 70% della popolazione mondiale continua a vivere con meno di 10 dollari al giorno.