la Repubblica, 10 agosto 2016
Senza cibo e medicine, sotto bombardamenti continui: così vivono gli ultimi abitanti di Aleppo
«Non capisco perché le Nazioni Unite lancino soltanto adesso l’allarme per la catastrofe umanitaria che starebbe minacciando noi abitanti di Aleppo. Negli ultimi anni abbiamo vissuto infinite volte situazioni come questa, e forse anche peggiori. La nostra quotidianità è di essere bombardati dai caccia e dagli elicotteri da combattimento del regime, e di restare per giorni senz’acqua, senza elettricità e senza cibo». Dalla Stalingrado siriana, la voce di Hamed Kodmani ci giunge lontana. La comunicazione a tratti s’interrompe. Cinquant’anni, Kodmani è avvocato di professione ma dall’inizio della guerra civile, ossia dal marzo 2011, fa anche il contadino, il fornaio, il facchino, l’autista di ambulanze e, soprattutto, il becchino.
“GLI OSPEDALI SONO STRAPIENI”
«Ogni giorno le bombe che cadono dal cielo falciano in media tra 30 e 40 persone. Ci sono squadre di volontari, alle quali ogni tanto mi associo, che vanno a recuperare i corpi. Il problema si pone quando troviamo dei feriti e non sappiamo dove portarli perché gli ospedali sono già strapieni. La maggior parte delle volte per loro non ci sono letti disponibili, ma neanche l’anestetico per poterli operare», racconta l’avvocato, che vive nei quartieri orientali di Aleppo, in mano ai ribelli. Assieme a Kodmani, sono trecentomila i civili intrappolati in quel settore della città, stretti tra i fuochi di una battaglia che si sta facendo campale, quella tra i ribelli e tra l’esercito del presidente Assad per contendersi il controllo dell’intero nord del Paese. Dalla fine di luglio, e cioè da quando è partita l’offensiva dei rivoltosi (tra cui si contano sia gruppi islamisti sia soldati dell’Esercito siriano libero) per rompere l’assedio delle truppe lealiste, la stampa internazionale ha cominciato a occuparsi dei cruenti combattimenti in corso, che secondo l’attendibile Osservatorio siriano per i diritti umani hanno provocato più di 1000 morti solo nell’ultima settimana. Di riflesso, si parla anche di una popolazione allo stremo. Da settimane, infatti, aleppini dell’Est della città non ricevono più gli aiuti necessari alla loro sopravvivenza, che consistono in cibo ma anche in farmaci, sapone, insetticida. Le scorte eroicamente accumulate nei mesi scorsi sono quasi del tutto esaurite.
“VIVIAMO CHIUSI IN CASA”
Dice ancora Kodmani: «Viviamo in una città spettrale, perché per tutti la regola è di rinchiudersi in casa, e di non uscire per nessun motivo, nella speranza che non ti cada sul tetto un razzo lanciato da un caccia russo o di Damasco. Sono mesi che impedisco ai miei figli di uscire per la strada, perché troppo pericoloso. Io sono il capofamiglia, per me è diverso». L’uomo racconta di aver partecipato nei giorni scorsi all’accensione di falò di copertoni di camion nella vana speranza di oscurare il cielo con il fumo e quindi di impedire i raid aerei. «All’inizio è servito a qualcosa. Poi, però, i caccia russi hanno ricominciato a sganciare massicciamente le loro bombe, spesso alla cieca, come fanno ormai da inizio anno. E poi, nelle strade dove bruciavamo le gomme, l’aria si faceva così irrespirabile che abbiamo dovuto smettere».
“I CORRIDOI DELLA MORTE”
Tramite Kodmani riusciamo a contattare un combattente dell’Esercito siriano libero. Si chiama Nizar, ha 30 anni e prima che scoppiasse il conflitto lavorava in una compagnia di trasporti. Gli chiediamo che cosa ne è dei corridoi umanitari aperti per consentire alla gente di lasciare la città. «Più che di corridoi umanitari parlerei di corridoi della morte, perché per arrivarci sei costretto ad attraversare due strade dove sono appostati i cecchini del regime. E appena provi a passare loro aprono il fuoco. E poi perché questi corridoi sono gestiti dai russi e dal regime per dimostrare la loro volontà di aiutare la popolazione di Aleppo». Alla domanda se vede uno sbocco alla guerra, Nizar risponde di no, quanto meno non al momento. «Le forze in campo si stanno preparando a uno scontro che sarà ancora lungo e sempre più spaventoso. Assad sta inviando altri soldati e stanno arrivando ad aiutarlo anche tanti miliziani del movimento sciita Hezbollah mentre i russi non la smettono di colpirci. Ma il regime perderà comunque e sarà la battaglia di Aleppo a segnare la sua fine».
“QUI MANCA TUTTO”
Quando invece entriamo in contatto con l’attivista Khaddour Adji e gli chiediamo a che punto sono le riserve di cibo lui scoppia a ridere. Poi dice: «Ma quali riserve? Abbiamo finito tutto. Soprattutto mancano del tutto frutta fresca, verdura e latte per i bambini. Prima dell’assedio, c’era chi riusciva a far arrivare i suoi prodotti fino a noi. Ora non più. E quel pochissimo che ancora si trova ha raggiunto prezzi da capogiro. Certo, ogni famiglia ha da parte ancora qualche scatola di ceci e qualche chilo di farina, ma tra poche settimane non rimarrà davvero più nulla».